ETICA E POLITICA
Solitamente quando la politica incontra l’etica per la strada non la riconosce o se la riconosce si gira dall’altra parte per non salutarla. È successo poche volte di vederle passeggiare insieme in città, province, nazioni. Sono le volte in cui la civiltà ha fatto un passo in avanti progredendo.
Oggi l’etica è sempre più un affare interno alla filosofia o ad un senso individuale di vita che cerca, in qualche modo, di porsi in relazione con gli altri. La politica avanza inesorabilmente nei territori bigi di un mondo chiuso nel suo individualismo esasperato. Prime vittime: gli altri (immigrati, clandestini, nomadi, vagabondi, accattoni, prostitute, barboni…).
L’ordine post-moderno rassomiglia sempre più al panottico descritto da Jeremy Bentham alla fine del Settecento, ossia un carcere di sorveglianza in cui i controllati (ossia i prigionieri) non possono mai vedere il guardiano che li controlla. Ogni elemento “altro” che in qualche modo cerca di entrare nella fortezza occidentale deve fare i conti con l’occhio del sorvegliante che tutto vede. E se l’altro è indesiderato per il semplice motivo che è “altro” a tutti gli effetti (e quindi clandestino) viene automaticamente represso, condannato, incarcerato.
Un grande filosofo francese, Renè Girard, ha descritto in modo arguto lo sviluppo della violenza mimetica, ossia la violenza che nasce dalla rivalità fra due o più persone. Quando questa violenza si compatta in forma etnocentrica, di autodifesa di un gruppo, allora esplode la rabbia verso il capro espiatorio, colui che per una infausta coincidenza di destino si trova ad essere tacciato come il nemico da abbattere.
Oggi i nemici della politica dominante sono i figli della globalizzazione, i migranti che fuggono la fame, la sete, la miseria o la guerra. Fuggono dal sud, dall’est, dall’ovest, arrivano sulle carrette dei mari stracolme o appollaiati sotto i tir per non farsi vedere, fanno viaggi allucinanti scappando di frontiera i frontiera, vengono per partecipare al grande banchetto delle risorse. Ma guai a loro per tanto coraggio. L’ordine ha deciso di espellerli, il panottico di chiuderli nelle sue mura per controllarli.
Certo che le grandi migrazioni portano con sé problemi di ordine pubblico. Anche gli italiani che sono emigrati nelle terre del Nuovo Mondo hanno portato, insieme al loro coraggio e alla loro capacità lavorative, una percentuale di delinquenza, di insicurezza e di inadattabilità a stare nelle regole del gioco. Ma non per questo sono stati rifiutati, perseguitati, cacciati. Le regole sociali vanno rispettate e la delinquenza repressa fermamente ma ai poveri vanno date delle chance per vivere meglio, vanno aiutati a risollevarsi per riscattarsi. Non può la politica abdicare al suo cuore profondo che è la premura per le sorti del cittadino (la polis dell’antica Grecia) e a maggior ragione se questo cittadino è un “vulnerabile straniero”.
Emmanuel Lévinas è forse il filosofo più importante del Novecento. L’etica per lui si manifesta con la rivelazione del volto dell’Altro. Nel momento in cui l’altro si mostra, con il suo volto in carne ed ossa e questo volto solleva in noi un enigma, a quel punto si rende esplicita l’etica, ossia, il farsi carico della vita degli altri.
Oggi viviamo il tempo di una eclissi della politica intesa come etica e il trionfo di una politica fatta di divieti, di condanne, di clausole rigide e impermeabili. Gli altri sono rifiutati a priori, come elementi di disturbo di un ordine sociale che sempre più diventa chiusura etnocentrica. Non è un problema unicamente di posizionamento ideologico. È un problema generale, culturale. È la politica senza etica che non sa farsi carico del volto d’altri.
In fin dei conti questa è la pace: accoglienza del volto altrui. Rifiuto del volto: questa è la guerra.
Francesco Comina in Mosaico di Pace, la rivista di Pax Christi , giugno 2008