ESSERE E AVERE

Essere e avere. Questa celebre coppia s’incontra lungo la .strada che porta a riconoscere i valori, dunque a costruire un’altra economia. Di solito si dice che in teoria conta l’essere e non l’avere, ma in pratica è l’inverso. Nel cumulo di pregiudizi che sorregge l’economia dominante questo schema persiste tenacemente.. Ma è falso. Non solo per il suo cinismo, ma perché spezza la relazione tra essere e avere, finendo per dissolvere il primo nel secondo. Così conterebbe la proprietà, non la dignità o il nudo essere delle persone; il conto in banca, non le vite, gli affetti, le relazioni.

L’errore opposto e complementare a questo cinismo sta nel moralismo che condanna l’avere per esaltare il puro e nobile “essere”. Il soggetto umano non è disincarnato, sradicato da relazioni, bisogni, desideri, possessi. Essere e avere sono comunque correlati. Il punto non è separarli o disprezzare uno dei due, ma viverli nel giusto rapporto. Ognuno deve imparare a correlare l’essere e il ricevere, l’avere e il dare, il trattenere per sé e il condividere, il perdere e l’ottenere, il consumare e il rigenerare. Si tratta di riuscire a diventare noi stessi nell’essere insieme agli altri.

La logica della competizione globale strappa di continuo il tessuto della relazionalità che è la sostanza delle nostre esistenze e il luogo che può ospitare quel miracolo pur sempre sperabile che si chiama felicità. Di conseguenza resta solo l’avere come un fine in sé. È l’avere che nasce dalla lotta, dal sacrificio di se stessi e degli altri, dal rifiuto della condivisione, dalla mancanza di riguardo e di scrupoli, dalla coazione ad accumulare e trattenere tutto in mano nostra. Se ci consegniamo a questo stile di vita, i beni che possediamo non basteranno a restituirci i valori essenziali che così perdiamo: gli altri, l’originalità del nostro essere, gli affetti, la dignità, la gratuità, la felicità possibile, la solidarietà, la compassione, la lucidità.

La possibilità di capire che un simile stile di vita è una trappola non viene dalla condanna morale della proprietà e dell’egoismo. Viene anzitutto dall’interruzione. Da un risveglio. Dal fatto di accettare di fermarci in una sosta, anche breve, che ci dia la distanza critica da quello che siamo diventati. Da una voce che ci dica “respira”. Serve un silenzio che ci permetta di ascoltare. Uno specchio che ci insegni a vedere la realtà per la prima volta. Un volto che ci ricordi quanto la felicità condivisa sia il solo sogno attendibile per cui un cuore umano può continuare a battere. Se in questa sosta ascoltiamo ciò che di vero vive in noi, ci accorgiamo che esiste un altro avere, genuino ed essenziale. È l’avere che scaturisce dall’aver ricevuto, dall’essere stati accolti in una condivisione, per poter a nostra volta ricomunicare, inaugurare, ospitare. Del resto questo libero condividere è l’unico modo effettivo per ricevere veramente. Quando si riconosce tale condizione strutturale, si può giungere a vivere l’avere autentico. Un bene lo si ha effettivamente se, in un certo senso, lo si è. E se questo bene è donato ad altri. “Abbiamo” in realtà ciò che siamo diventati in positivo: i tratti di intelligenza, di gentilezza, di passione per la solidarietà che abbiamo interiorizzato sono indelebilmente nostri. Così è “nostra” la dignità di persone, senza che sia una proprietà acquistabile e vendibile. È realmente nostro ciò che di buono siamo riusciti a dare ad altri: non è perduto o sacrificato, perché al contrario vive nell’esistenza di quanti ci sono compagni di felicità. Di quanti entrano in quella comunità invisibile che è la gioia condivisa. Ciò che condividiamo in questo modo sarà con noi per sempre. Curare che ciò accada nei confronti dei bisogni di tutti è la giustizia.

Umanizzare noi stessi e la società richiede l’opera di tessitura che intreccia il vero avere con il diventare sé e con la convivenza equa. Perciò il riorientamento della vita economica è così importante sul piano antropologico, oltre che su quello etico e politico.

A chi impara a coltivare le forme dell’avere che è amico dell’essere non suonerà troppo difficile o eccessiva la visione di Mohandas Gandhi: “Non dovremo più preoccuparci di ottenere quello che possiamo, ma rifiuteremo di prendere quello che non tutti possono avere” (Teoria e pratica della nortviolenza. Einaudi, pag. 119).

 

Roberto Mancini,     rivista "Altreconomia" Maggio  2007