Essere antirazzisti oggi

Comunicato dell’ufficio stampa del ministro della Difesa: “Nel rispetto dei tragici avvenimenti che
hanno coinvolto i nostri militari in Afghanistan, per una maggiore completezza d’informazione si
precisa che il ministro Ignazio La Russa assisterà alla partita Inter-Bayern con un bel tappo in
bocca, fatto di tre, quattro confezioni di caffè Borghetti conficcate a forza. Per evitare incidenti
diplomatici»
.
 

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Laura Balbo è una cara amica: la conobbi quando frequentavo la seconda liceo del Domenico
Alberto Azuni di Sassari, un secolo fa. Lei si trovava in Sardegna, con Alessandro Pizzorno e altri
che avevano “fondato” la nuova sociologia italiana, per condurre una ricerca sul nascente polo
industriale del nord dell’isola: e io aspiravo a far parte di quel gruppo di ricercatori. Come andò a
finire non è importante, ma lo ricordo per dire da subito quanta amicizia corra tra noi. Vent’anni più
tardi - nella seconda metà degli anni ’80 - decidemmo di costituire Italia-razzismo, con Gian Enrico
Rusconi e altri sodali, tra cui Romana Sansa. Questo per dire come, sul tema dell’immigrazione e –
in particolare – su quello del rapporto tra italiani e stranieri, ci arrabattiamo da circa un quarto di
secolo. Laura Balbo ha una conoscenza della questione molto attenta alla comparazione
internazionale e, forse da questo sguardo non provinciale, discende la sua insofferenza verso
stereotipi e schemi rigidi di interpretazione e di comportamento. In particolare, da tempo riflette
sulla inadeguatezza della categoria di “antirazzismo” per come viene manovrata nel dibattito
italiano.
«Mi interessa come, sulle vicende dell’immigrazione ci muoviamo noi: i residenti - dice la Balbo -.
Tre, e solo tre, sembrano essere le categorie: gli “immigrati”, i “razzisti” e gli “antirazzisti”. Non mi
va bene. Parlo di me. Non sono “immigrata”. E naturalmente “non sono razzista”. Resta la terza
categoria, o definizione, o identità: “antirazzista”. Gli “antirazzisti” hanno idee chiare, sanno
sempre cose dire, si sentono a posto. Non hanno esitazioni a delineare la via d’uscita. E sono contro.

Ma per capirla davvero, la fase che viviamo, e per affrontare il futuro, continuare così non basta
proprio. Dovremmo cercare di capire che banalizzando cambiamenti e conflitti, le cose non si
risolvono: anzi, si aggravano.

Propongo, allora, di complicare il quadro. Ci sono i “razzisti”, che si
dichiarano e si organizzano come tali, in tutta Europa crescono i partiti della “destra estrema” e
formule ed espressioni “leghiste” proliferano nel nostro discorso pubblico
.
Altri appoggiano queste posizioni occasionalmente, senza conoscerle bene, ma sono disponibili a
mobilitarsi in determinate circostanze. Altri ancora aderiscono a quei movimenti, con un livello
ridottissimo di consapevolezza: e, nel clima attuale di crisi ecomico-finanziaria, si schierano con
quanti vogliono riservare ai soli cittadini diritti e tutele. E con quanti dichiarano di difendere
identità e tradizione. Per altri, infine, contano esclusivamente i problemi della vita quotidiana.
Diverso ancora è il caso di quelli - non pochi - che sono delusi, o più spesso furiosi, nei confronti
della classe politica e delle istituzioni, le cui scelte vengono avvertite come irreparabilmente lontane
e ostili. Se regalassimo tutti questi gruppi e tutte queste insoddisfazioni ai “razzisti”, saremmo fritti.
Piuttosto dovremmo trovare spazi e modi perché questi diversi settori di opinione vengano coinvolti
in una riflessione collettiva sul proprio futuro
».

A monte di tutto ciò, forse, c’è una tendenza, che sarebbe scioccamente provocatorio definire
“razzista”, ma che è senza dubbio incolta e reazionaria. La tendenza a omologare, ad assemblare, a
fare di ogni erba un fascio.
«Dovremmo aver imparato, tutti, che viviamo in una società plurale - continua
la Balbo - dove appartenere a diverse generazioni e fasi nel corso della vita fa la
differenza; e dove, naturalmente, contano le risorse di cui si dispone e il contesto in cui si è collocati
(contesto urbano, professionale, di classe sociale). E invece troppo spesso gli immigrati vengono
messi insieme in una comune definizione: mentre diverse sono le provenienze, i percorsi, le
situazioni. Donne e uomini. Seconde e terze generazioni
».

Come si vede, la Balbo propone innanzitutto un esercizio che potremmo definire di “antirazzismo”
ben temperato, l’opposto di quello che ha oggi maggior corso: un atteggiamento che, innanzitutto,
discerne, distingue, approfondisce. E, dunque, non omologa non assimila non confonde. Il
fondamento, cioè, del rispetto dell’altro: ovvero il riconoscimento della sua singolarità e
irripetibilità.

Luigi Manconi