Eraclito e il pericolo del pensiero teologico integrale
Qualche tempo fa Gianni Riotta, in risposta alle critiche
di alcuni quotidiani sulla sovraesposizione mediatica di cui godrebbe l'augusta
persona del papa nei tg, ci aveva fatto sapere che nei primi sei mesi del 2007
la percentuale dei servizi dedicati all'informazione di carattere religioso dal
tg1 è stata appena del 2,44%. Che strano, pensavo fosse di molto inferiore.
Avranno forse contribuito a innalzare il dato - bisognerà domandarlo ai
responsabili del sondaggio - le aperture dedicate a Benedetto XVI dal tg1 in
quei sei mesi; avranno senz'altro contato di più dei servizi cui non è toccato
il privilegio della copertina. Certo si poteva pensare di estendere il calcolo
anche al secondo semestre; un punticino in meno, data la scarsa attenzione
riservata alle ingerenze vaticane in quel periodo, ci sarebbe sicuramente stato.
Se non altro si sarebbero messi a tacere i soliti maligni, Pannella in testa,
che hanno calcolato in un esagerato 30% l'occupazione di suolo informativo
pubblico da parte di Benedetto XVI e delle gerarchie ecclesiastiche.
Giuliano Ferrara prima si proclama «ateo devoto», promuovendo dalle pagine del
Foglio una moratoria sull'aborto «omicidio perfetto», quindi annuncia la sua
partecipazione alle veglie espiatorie di preparazione all'Angelus domenicale
sponsorizzato dal cardinal Ruini. A quando la sua prossima, stupefacente
incarnazione? Ci dobbiamo aspettare il «cattolico miscredente»? O magari il
«fustigatore penitente», doppione simbolico di una senatrice Binetti che ha
sposato la tortura del cilicio alle metaforiche frustate inferte a avversari e
tiepidi difensori della bandiera dell'orgoglio cristiano? Uno spassionato
consiglio: non sarebbe meglio di antiestetiche e costringenti cinture di setole
equine annodate, che riempiono di piaghe il girovita, un bel piercing anellare,
in stile taurino, alla base del naso? Non sarà così cool ma almeno, fatto il
buco nella cartilagine, non si soffre più.
Livio Fanzaga, conduttore dell'inquietante Radio Maria, ha messo in guardia i
suoi radioascoltatori, qualora fossero mai intenzionati a prendere (o
intraprendere), anziché la via di Damasco, la strada dell'università italiana,
dalla presenza incombente del male in aule e corridoi: si aggirerebero negli
atenei gruppuscoli di giovani «al limite del satanismo» e «professori cornuti
con tanto di tridente e di coda» che, a spruzzargli addosso dell'acqua santa,
«esce fuori il fuoco» e «fumano». Ho provato a fare la prova sul mio corpo ma
non è successo niente.
Forse in me, «ateista impenitente», il Maligno ha pensato bene di non stare a
dimora; altrimenti sarebbe andata a finire - non bastassero i sintomi di
«astinenza dalla ricerca» (per mancanza di fondi) - che mi sarei dovuto
sottoporre a un esorcismo. Ma forse Belzebù staziona per ora nella sola
«Sapienza», del resto quel 67 - tanti sono stati i docenti contrari alla lectio
magistralis che il Papa avrebbe dovuto tenere proprio lì - non può mancare di
turbare: non è 666 il numero della Bestia? e non sono forse 7 i peccati
capitali? Le risate intanto si sprecano tra i 500 e più autori dei messaggi che
si possono leggere su You Tube a commento delle amenità di padre Fanzaga; il
quale, probabilmente, ha fumato lui (scambiando Maria con la maria).
Il Süddeutsche Zeitung ha ribaltato su Benedetto XVI le accuse di intolleranza:
come si può accettare, questa la tesi del quotidiano tedesco, che
nell'università più antica e prestigiosa di quella Roma che ha condannato al
rogo Giordano Bruno si pretenda di sostenere che le antiche contese per la
ricerca della verità siano state un'«ppassionante competizione» fra teologia e
filosofia? Un po' indelicati, però, i tedeschi. Hanno dimenticato quell'intervento
del Santo Padre a casa loro, all'università di Ratisbona (12 settembre 2006),
nel quale si menzionava un dialogo tra Manuele II Paleologo e un dotto persiano
in cui l'imperatore bizantino, trattando di jihad, diceva a un certo punto al
suo interlocutore «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi
troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di
diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava»?
Fuor d'ironia. Già agli albori della civiltà occidentale un filosofo (Eraclito)
ci ha messo in guardia dal pericolo del pensiero teologico «integrale»
appellandosi alla ragione, che sa ancora tenere separate, fortunatamente, la
giustizia e l'ingiustizia. Giustizia e ingiustizia sono cosa ben diversa dal
bene e dal male, da sempre disuniti e l'un contro l'altro armati, e la verità
scientifica è cosa ben diversa da quella per fede. È un'assurdità aver voluto
invitare un papa a tenere in una pubblica università italiana non un discorso
qualunque ma la relazione di apertura dell'anno accademico, una relazione nella
quale si sarebbe detto che la «verità significa più che sapere: ha come scopo la
conoscenza del bene»; che è quanto di più stravagante si possa sostenere di
fronte a un pubblico di persone che hanno deciso di dedicare la loro vita alla
ricerca. E se qualcuno volesse saperne di più sulle idee in materia di scienza e
di fede dell'attuale pontefice vada per favore a leggersi la sua «Svolta per
l'Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei rivolgimenti» (Roma, Edizioni
Paoline, 1992). Intanto monta la protesta tra i professori universitari italiani
solidali con il «gruppo dei 67».
Il recente appello di alcuni di loro è stato pubblicato sulle pagine di questo
stesso giornale. Quanto a me, vorrei rispondere alle provocazioni dei vari Ruini,
Bertone, Bagnasco - e della solita, ipocrita politica che ha sfilato a San
Pietro per puro calcolo elettorale - con una frase che ho trovato impressa sulla
fascetta pubblicitaria di un volume di Giulio Giorello («Di nessuna chiesa. La
libertà del laico», Milano, Cortina, 2005): «I laici tendono a difendersi, è
tempo di attaccare». Valga la stessa cosa per i ricercatori e i professori
universitari, e per gli insegnanti della scuola secondaria ed elementare.
È tempo di cominciare a rendere duri i tempi per chiunque pretenda di sostituire
quel che resta del magistero di antichi educatori in nome di ragioni che con la
ragione, la formazione pubblica e la scienza non hanno nulla a che spartire.
È tempo di controbattere a chi può permettersi impunemente di definire un ateneo
come «La Sapienza» un luogo di «asineria e marginalità sociale di generazioni di
studenti» (Ferrara, ancora lui); chi scrive, in quella università ci ha studiato
e gli è toccato in sorte di avere ottimi «buoni maestri». Chissà che, in questa
battaglia di elementare civiltà , si possa trovare sostegno proprio tra i nostri
studenti. Chissà che ne sappiano anzi più di noi. Che stiano già guardando oltre
con occhi nuovi e coraggiosi, appena un po' lucidi di quell'inquieta incertezza
che sarebbe oggi davvero un potente antidoto al perentorio, quotidiano
squadernamento dell'Unica Teoria dell'Indiscussa Verità Superiore. Che siano in
molti casi fatti di quella pasta laica di una volta che, a modellarla, sembra
sia stata la mano di un Dio avveduto e un po' complice. Un Dio che, anziché far
levitare i suoi emissari, preferisce di gran lunga far lievitare le coscienze.
Un grande.
Massimo Arcangeli il manifesto 1/2/2008