Enti ecclasiatici, evasione per 6
miliardi l'anno
Il governo Prodi mantiene i privilegi concessi da Berlusconi, basta che le
strutture commerciali facciano anche altro
Sconto
del 50% dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche, esenzione dall'Iva,
esenzione dall'imposta sui terreni e - nonostante le promesse fatte in campagna
elettorale dal premier, Romano Prodi - esenzione dall'imposta comunale sugli
immobili (la famigerata Ici). Non si tratta di un'anticipo delle promesse della
nuova campagna elettorale di Silvio Berlusconi, ma sono solo alcune delle
gentili concessioni fiscali che lo stato italiano riconosce agli enti
ecclesiastici, i quali otterrebbero grazie a ciò benefici per almeno 6 miliardi
di euro annui.
Dallo studio effettuato dall'Ares (agenzia ricerca
economica e sociale) intitolato «Enti ecclesiastici: le cifre dell'evasione
fiscale» emerge infatti che se le attività commerciali possedute e gestite dalla
chiesa fossero sottoposte allo stesso regime di tassazione di quelle gestite dai
comuni mortali, il 20% del fabbisogno per la prossima finanziaria sarebbe già
nelle casse dell'erario.
La norma che rende possibile questa inspiegabile e
intollerabile disparità di trattamento è contenuta nella legge 121/85 che
considera «non commerciali» - quindi meritevoli di una tassazione soft -
gli enti ecclesiastici con strutture dedicate al culto o ad attività religiose.
In Italia la santa sede e gli enti ecclesiastici
possederebbero non meno di 90mila immobili, anche se un censimento preciso non è
mai stato fatto e molti di questi non figurano nel catasto. Un patrimonio
valutabile nella stratosferica cifra di 30 miliardi di euro, che viene
utilizzato per ospitare chiese e parrocchie, ma anche veri e propri esercizi
commerciali. Non solo strutture ricettive di ogni genere - da alberghi a case di
cura - ma anche negozi, appartamenti e interi stabili «di pregio» destinati
all'uso commerciale.
Nella sola Roma, ad esempio, ci sono centinaia di
pensionati per studenti gestiti secondo le più ferree logiche di mercato: i
costi sono ridotti all'osso - grazie all'utilizzo di personale religioso che non
ha molte pretese -, ma sul lato dei prezzi la politica è totalmente diversa. Per
un posto letto in una stanza doppia, i caritatevoli ordini cattolici sono pronti
a chiedere il pagamento di una retta che supera agevolmente i 500 euro al mese.
Facendo due calcoli è lecito ipotizzare che tali strutture siano capaci di
accumulare utili abbondanti; che però sfuggono per grandissima parte alle maglie
del sistema impositivo. E' assai difficile, infatti, dimostrare che l'ente,
accanto all'attività lucrativa, non eserciti anche attività di culto o
religiosa, quella che dà diritto alle esenzioni fiscali. Per di più la classe
politica italiana non ha mai esitato a schierarsi dalla parte del Vaticano
quando qualcuno ha cercato di limitarne i privilegi: nel 2005 il governo
Berlusconi decideva di stanziare 25 milioni di euro nella finanziaria per
saldare il debito che la santa sede aveva nei confronti dell'Acea (società che
fornisce acqua potabile e gestione delle acque reflue). Ma l'ultimo intervento
«provvidenziale» in favore del Vaticano è arrivato da parte del governo di
centrosinistra di Romano Prodi. Dopo aver dichiarato guerra al regime di
esenzione totale dall'Ici - favorito dal governo precedente - per i beni
immobili della chiesa, l'esecutivo di centrosinistra è riuscito ad approvare un
inutile decreto legge che non ha cambiato di una virgola la situazione
precedente. Nel decreto si legge infatti che «l'esenzione si applica solo nel
caso in cui nei locali degli enti le attività svolte non abbiano natura
esclusivamente commerciale». Grazie a quella parolina «esclusivamente»
l'esenzione viene mantenuta per quasi tutti gli enti, e le casse dei comuni
continuano a restare vuote.
Basta infatti che una clinica privata (o un labergo)
di proprietà ecclesiastica riservi una struttura alle funzioni religiose per
neutralizzare l'«esclusività commerciale» ed evitare il pagamento dell'Ici.
Stefano Raiola il manifesto 06/09/06