Encicliche usa e getta
I mass media esaltano,
ancora prima di averla letta, la prima enciclica di Benedetto XVI, attribuendole
una importanza al di là del tempo e delle vicende storiche. Forse è bene
ridimensionare. Come è noto, i media esaltano ma dimenticano presto. Lo conferma
una occhiata alle encicliche precedenti: tutta quella serie, ad esempio, che va
sotto il nome di «encicliche sociali», ieri citatissime, oggi quasi dimenticate.
La serie era stata iniziata dalla famosa
Rerum novarum
di Leone XIII (1891). Fu accolta come una novità sconvolgente: la chiesa diceva
di no al socialismo, ma affrontava per la prima volta la questione operaia.
Metteva i piedi per terra. Poi è venuta tutta una serie di documenti: il
Vaticano confermava e precisava. Fra le altre vennero la Quadragesimo anno
di Pio XI, radiomessaggi e altre encicliche, fino alla
Centesimus annus
di Giovanni Paolo II. Una serie che, a suo tempo, sembrava destinata ad
orientare tutto l'impegno cattolico. Una via intermedia, fra il
socialismo-comunismo, più o meno anticlericale ed ateo, e il capitalismo, almeno
quello «sfrenato», come si era soliti dire in Vaticano. Su questa linea,
stimolati dalle encicliche vaticane, si sono mossi per decenni i vari partiti
«democratico cristiani» in Europa e anche in America Latina. Oggi non più: oggi
quelle encicliche sono un ricordo storico. Come mai? Che cosa è successo? Molte
cose, dal crollo dei muri al crollo dell'Urss. Spariva la via intermedia,
proprio quella delle encicliche sociali. Non restava che il capitalismo
abbracciato più o meno da tutti , mentre il papa di Roma rischiava di apparire
come il cappellano della Casa Bianca.
Il Vaticano non aveva più una «sua» dottrina
sociale: predicava o un amore spirituale, disincarnato, o un amore che avrebbe
il suo luogo soltanto nella famiglia regolare. Una oscillazione della cui
ambiguità sembra che risenta anche la nuova enciclica di Benedetto XVI.
FILIPPO GENTILONI il manifesto 2/01/06