Enciclica del papa. Quel “bene comune” è troppo generico

Quando i potenti della terra si riuniscono per mettersi d'accordo sul come produrre ricchezza e
come equamente distribuirla sul pianeta, i "dannati della terra", i derubati, gli emarginati, i
prigionieri, i respinti verso le piagge della miseria e della violenza, per dare sicurezza al benessere e
al bene-stare dell'occidente sviluppato, dovrebbero acuire i loro sensi ed attendersi qualche spiraglio
di speranza di liberazione. Temo proprio che nei campi di profughi dal Darfour, nella prigione a
cielo aperto di Gaza o fra gli iracheni accampati ai confini della Siria, o in qualsiasi altro Lager in
cui sono rifugiate le vittime delle guerre e dei conflitti etnico religiosi non si aspettino alcunché da
qualsiasi G si riunisca.
Si possono attendere qualcosa, al momento in cui il papa prende in mano la penna per scrivere
una lettera al mondo circa la giustizia e la carità?
L'interrogativo è pressante al momento in cui esce l'enciclica di papa Benedetto Caritas in veritate
(La carità nella verità). Probabilmente la lettera non arriverà direttamente ai "poveri della
terra" che difficilmente la leggeranno, certo arriva a tutti coloro che per fede religiosa o per
coscienza umanitaria sono coinvolti nel problema della povertà nel mondo e attendono parole
nuove da coloro che sono debitori di una speranza fondata sulle promesse bibliche e
sull'annuncio evangelico.

Purtroppo l'enciclica papale si dilunga e si ripete, intrecciando i concetti di giustizia, carità e verità,
senza dare prospettive concrete e innovative. Che cosa si intende nell'enciclica per verità appare
abbastanza evidente nel continuo riferirsi all'autorità del romano pontefice e nella totale assenza
di una armonizzazione degli interventi nell'ambito ecumenico e inter-religioso
. Sembra proprio
che la verità di cui, si parla sia la dottrina cattolica, rigorosamente controllata dalla
Congregazione per la dottrina della fede.
Di collaborazione sul piano ecumenico non se ne parla
proprio. Certo il papa si rivolge al mondo e quindi può ignorare che in Italia ci sia, a breve
scadenza, la dichiarazione dei redditi con inclusa la destinazione dell'otto per mille. Ma chi ci
assicura che qualche predicatore, sconsiderato sul piano teologico e furbetto su quello
pragmatico, non colga l'occasione per usare l'enciclica come strumento di appoggio alla pubblicità
della chiesa cattolica in tv? Le statistiche ci informano che le chiese evangeliche hanno una base
di conferimento dell'otto per mille assai più ampia di quanto si potrebbe attendere dai loro
membri di chiesa; questo potrebbe derivare dal fatto che le chiese protestanti pubblicano i loro
bilanci sull'otto per mille e ne usano i proventi solo per interventi sociali, strutturali e
assistenziali, escludendone l'uso per il mantenimento del culto e dei pastori.
Il fatto che la chiesa
cattolica usi questi fondi anche per il mantenimento del clero, può aver convinto molti cattolici a
dare il loro contributo ai protestanti. Ed ecco l'illuminazione che potrebbe discendere da qualche
pulpito: ma la carità dei protestanti non è "nella verità"- lo dice il papa! - e quindi non è vera
carità. Grande gioia spirituale e generoso passo avanti nell'ecumenismo si verificherebbe il giorno
che le chiese, di qualsiasi denominazione, e un giorno le religioni di tutto il pianeta, convergessero
con gli "uomini (...e le donne) di "buona volontà" nell' affrontare il problema della povertà nel
mondo.
Allora si potrebbe esclamare con le parole della Bibbia: "E la luce fu". Un aspetto
positivo dell'enciclica di papa Benedetto è nello spazio dato al Concilio e ai documenti sociali
di Paolo VI. Fra le molte affermazioni dei documenti conciliari sui valori della povertà e sulla
dignità e le speranze dei poveri si deve ricordare quanto affermato nella Apostolicam
actuositatem
(L'attività apostolica) a proposito del rapporto fra giustizia e carità.
Nel paragrafo 8 di questo documento riguardante il ruolo dei laici nella chiesa, si legge: "...la
purezza d'intenzione non sia macchiata da ricerca alcuna della propria utilità o da desiderio di
dominio; siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non si offra come dono di carità
ciò che è già dovuto a titolo di giustizia; si eliminino non solo gli effetti ma anche le cause dei
mali.."
e l'azione sia ordinata a liberare dalla dipendenza e creare autosufficienza. Questo pensiero
fu ripreso da papa Giovanni Paolo II nel messaggio per la pace del 2000, in vista del giubileo, ma
poi è stato dimenticato e sommerso dalla pratica delle indulgenze e dei pellegrinaggi.
Sarebbe
tempo di riprenderlo e affrontare ormai il tema dei "beni comuni" invece di seguitare sempre a
parlare di convergenza verso il "bene comune" che poi ciascuno interpreta come vuole, magari
considerando i respingimenti dei richiedenti asilo come azioni volte al bene comune e le cene di
beneficenza come l'alternativa alla solidarietà vissuta.
La prassi di solidarietà è ben conosciuta fra coloro che si impegnano sulle fasce sociali deboli e
unisce credenti e non credenti in progetti concreti e liberanti. Qui c'è una verità e una onestà
di azione che andrebbe più conosciuta e apprezzata.

Giovanni Franzoni      Liberazione 12 luglio 2009