Emigranti, tutte le parole per dirlo

Le voci qui anticipate sono tratte dal nuovo lavoro di Gian Antonio Stella “Il viaggio più lungo”
(Rizzoli, libro+Dvd, pp. 138, € 19,50): una sorta di viaggio in forma di dizionario sull'emigrazione
italiana, accompagnato dal Dvd dello spettacolo teatrale “L'Orda”, tratto da un bestseller di Stella,
con le musiche di Gualtiero Bertelli e della Compagnia delle Acqua per la regia di Filippo
Macelloni.


BALIE  « Sia la nutrice di mediocre grassezza, abitualmente sana e vigorosa senza deformità
apparenti, piuttosto bruna, che bionda, non mai di capelli rossi: le donne di rossa capigliatura hanno
d’ordinario una traspirazione cutanea assai fetida. Abbia bianchi ed interi denti, le gengive sode, le
labbra vermiglie, l’alito dolce, non abbia la pelle scabra, sudicia, coperta da eruzione. (...) Sia la
voce soave e bene articolata. (...) Sia accostumata, onesta, sobria». (Andrea Bianchi, Dello
allattamento, 1833: le balie italiane all’estero furono decine e decine di migliaia).

DAGO  È forse il più diffuso e insultante dei nomignoli ostili nei Paesi anglosassoni, vale per tutti i
latini ma soprattutto gli italiani e l’etimologia è varia. C’è chi dice venga da «they go», finalmente
se ne vanno. Chi da «until the day goes» (fin che il giorno se ne va), nel senso di «lavoratore a
giornata». Chi da «Diego», uno dei nomi più comuni tra spagnoli e messicani. Ma i più pensano che
venga da «dagger»: coltello, accoltellatore, in linea con uno degli stereotipi più diffusi sull’italiano
«popolo dello stiletto».

FUNERALI  «Come mai ai funerali italiani portano la bara soltanto in due?». «Perché i bidoni della spazzatura hanno soltanto due maniglie!». È il testo di una insultante vignetta anti-italiana pubblicata su un giornale australiano nel secondo dopoguerra e usata polemicamente come
copertina dell’Italian Joke Book di Tommy Boccafucci. I due italiani raffigurati mentre portano un
bidone da cui esce il braccio di un cadavere hanno la barba lunga, la faccia minacciosa, gli occhiali
neri, l’aria dei malavitosi.

HANDICAP  Gli Stati Uniti, come spiegano Maurizio Eliseo e Paolo Piccione in Transatlantici,
2001, con la legge del 26 febbraio 1891 introducono norme «selettive e impietose» vietando
l’ingresso a «ciechi, zoppi, gobbi, sordomuti, mutilati o deformi. Alle donne con bambini che non
dimostrino di essere chiamate da parenti. Alle donne incinte non maritate o con prole senza marito.
A chi è affetto da malattia nauseante o pericolosa per motivo di contagio». Una nuova legge votata
dal Congresso il 20 febbraio 1907 «inasprì ulteriormente le norme istituendo severe visite mediche
per l’accertamento delle persone "fisicamente e intellettualmente difettose"». Gli immigrati
venivano dunque sottoposti a visite «psicologiche» con test mentali tipo: «Conti da 20 a 1 andando
all’indietro».

HOLLYWOOD  C’è chi ha detto che Hollywood ha fatto fortuna su due figure: l’indiano che urla e
l’italiano che spara. Certo è che l’Italic Studies Institute di New York, nel 2000, si prese la briga di
esaminare 1.057 pellicole girate nella Mecca del cinema a partire dal 1928, cioè dall’avvento del
sonoro, in cui qualcuno aveva fatto la parte dell’italiano. I film che davano di noi un’immagine
positiva erano 287 (27 per cento), negativa 770 (73 per cento). Più in dettaglio, ricorda Ben Lawton
nel suo saggio pubblicato nella raccolta Scene italoamericane, gli italiani criminali erano 422 (40
per cento) contro 348 (33 per cento) rozzi, bigotti, stupidi o buffoni. Eppure molti dei grandi
protagonisti di Hollywood sono stati di origine italiana: da Rodolfo Valentino a Frank Sinatra, da
Robert De Niro a Leonardo Di Caprio, da Frank Capra a Martin Scorsese, da Al Pacino alla
straordinaria Anne Bancroft, il cui vero nome era Anna Maria Italiano.

PENTOLE  Da ogni centro della Calabria partirono centinaia di poveri diavoli rimasti senza risorse,
quasi tutti con un numeroso seguito di familiari, portando a tracolla il badile e le pentole di cucina.
Si presentarono ai valichi di frontiera ciascuno col regolamentare documento nel quale si certificava
che il titolare era un turista diretto a Nizza, oppure un signore che aveva la digestione difficile e si
recava a Vichy per un breve periodo di cura. I gendarmi francesi per tre anni non fecero mai
discussioni di fronte a quel documento, passarono tutti i disoccupati che salivano dalla Calabria con
un plotone di figli che li seguiva, ciascuno con una pentola a tracolla. Dal gennaio del 1954 alla
metà di dicembre del ’57 entrarono in Francia 50 mila di questi turisti in cerca di lavoro. E, il lettore
farà fatica a crederlo, in quegli anni, benché fosse così facile entrare regolarmente nel territorio
francese, ci furono molti che varcarono la frontiera clandestinamente con una lunga marcia sui
nevai della Vésubie e diedero a chi li guidò un compenso che era almeno cinque volte il costo di un
passaporto. Furono 10 mila i calabresi che salirono fino a Ventimiglia per concludere questo
assurdo contratto. (Tommaso Besozzi, «Il Giorno», 9 febbraio 1958.)

SCHIAVI  In Brasile i nostri emigranti furono chiamati spesso a sostituire gli schiavi neri dopo
l’abolizione della schiavitù. Racconta Emilio Franzina nel saggio La terra, la violenza, la frontiera:
«Un telegramma d’un fazendeiro brasiliano reclamava perfino un carico di giovanette italiane, dai
16 ai 25 anni, per surrogare le abolite schiave nella lavanda dei piedi ai padroni quando essi
rientravano impolverati e stanchi dalle piantagioni del caffè».

TERZA CLASSE  La differenza tra le classi era enorme. Ci volle una legge, ai primi del Novecento,
per costringere i transatlantici ad aver sale da pranzo per gli emigranti. Fino ad allora, raccontano ne
Il pane duro Oreste Grossi e Gianfausto Rosoli, «la distribuzione del cibo era fatta in maniera
umiliante, senza l’osservanza delle elementari norme igieniche». Scrive nel 1910, nel libro
L’assistenza sanitaria degli emigranti e dei marinai, il colonnello medico Teodorico Rosati:
«Accovacciati sulla coperta, presso le scale, col piatto fra le gambe e il pezzo di pane fra i piedi, i nostri emigranti mangiano come i poverelli alle porte dei conventi.

È un avvilimento dal lato morale e un pericolo da quello igienico, perché ognuno può immaginarsi che cosa sia una coperta di
piroscafo sballottato dal mare, sulla quale si rovesciano le immondizie volontarie e involontarie di
quelle popolazioni viaggianti».

WOP  «Wop» è stato uno dei soprannomi più comuni e più offensivi degli italiani negli Stati Uniti,
dov’era pronunciato «uapp» così da suonare come «guappo». Era l’acronimo di «without passport»:
senza passaporto. Condizione comune a molti, perfino in America, dove il boss dell’Anonima
Assassini Albert Anastasia diceva che la mafia era riuscita in pochi anni a far entrare
clandestinamente 60 mila portuali italiani a New York a dispetto del filtro di Ellis Island. Gli italiani
espatriati senza passaporto, in oltre un secolo, sarebbero stati almeno quattro milioni.

XENOFOBIA  L’ostilità verso i nostri emigrati è stata pesante in molti Paesi del mondo. Basti
ricordare che, come scriveva sul «Corriere della Sera» l’inviato Filippo Sacchi, nel luglio del 1925
i giornali australiani erano pieni di titoli sull’«invasione italiana» e che al «congresso
dell’Australian Native Association», così forte da avere 50 mila «aderenti d’ogni ceto, specie
industriale, commerciale e professionale», il presidente, mister Ginn, tuonò: «Che cosa è questo
improvviso intensificarsi del fiotto immigratorio? C’è forse qualche influenza in gioco? Qualche
piano organizzato di penetrazione pacifica? Australiani, all’erta. Badate che la vostra apatia non
prepari un terribile risveglio per i vostri figli. Noi non vogliamo che le condizioni sociali ed
economiche dell’Australia siano minate da un inevitabile incrocio con gli stranieri, incapaci di
sentire le nostre tradizioni, di rispettare la nostra bandiera». Il grande inviato raccontava che un
quotidiano di Melbourne aveva titolato un articolo sulla nostra immigrazione: L’invasione delle
pelli-oliva. E che al congresso delle donne «un’oratrice autorevole, nell’esortare le massaie
australiane a non comperare frutta dai negozi italiani, anche se questi praticano prezzi più moderati,
lamenta che dopo aver tanto fatto per difendere l’Australia "bianca" dalla minaccia degli asiatici,
"emigranti oliva continuano a stabilirsi nel Paese"».


Gian Antonio Stella     Corriere della Sera  5 maggio 2010


 

 

Anche il sangue è doc?

Il ministro degli Interni Maroni si è dichiarato contrario allo “ius soli”, ossia alla concessione della
cittadinanza ai figli di migranti che nascono in Italia. Maroni è ministro dello Stato italiano però il
suo partito, la Lega, fa un po’ a pugni con questa parola “Italia”. Preferiscono definirsi padani.
Governano in Italia, ma di questa Italia non si sentono parte. Infatti il leader della Lega Umberto
Bossi interpellato sulla festa per i 150 anni dell’unità del Paese ha definito la ricorrenza inutile e
molti membri della Lega hanno dichiarato che «non parteciperanno alla festa per l’unità». Alla luce
di queste dichiarazioni mi chiedo: l’Italia è di chi ci nasce, di chi la ama o di chi fortuitamente si è
ritrovato con una goccia di sangue italiano nelle vene?
E come si fa a capire qual è il sangue italiano
doc? Va ad annate come il vino? Nel sangue italiano ci sono le tracce di tutti i popoli che si sono
avvicendati nella penisola: come si fa a capire quale sangue è doc e quale non lo è? Vale di meno il
sangue che porta le tracce africane delle truppe di Annibale? E quello mischiato con il sangue arabo e il sangue ebreo?

È più italiano un uomo nato a Buenos Aires con trisavolo del Friuli che non sa
nulla dell’Italia? O un giovane di origine cinese nato, svezzato e cresciuto in provincia di Varese? In
politica c’è chi è miope su questa situazione dei figli dei migranti, ma c’è anche chi riflette e fa
battaglie. Il finiano Fabio Granata del Pdl e il cattolico del Pd Andrea Sarubbi hanno presentato un
testo che propone tra le tante cose il passaggio dallo “ius sanguinis” allo “ius soli” per i figli di
genitori residenti in Italia da cinque anni. Il testo porta in calce il nome di cinquanta parlamentari di
tutti i gruppi, salvo la Lega.
Stanno cercando di portare i nuovi italiani al centro del dibattito politico. La demografia è dalla
parte degli onorevoli Sarubbi e Granata. E anche il buon senso.


Igiaba Scego    l'Unità  5 maggio 2010