Eluana e la legge che non c'è

In questi giorni il Parlamento discute di un ipotetico conflitto tra il potere legislativo e quello
giudiziario. Si discute cioè se la Corte di Cassazione abbia travalicato il proprio ruolo invadendo il
campo del Parlamento in merito alla drammatica vicenda di Eluana Englaro.
Non essendo un esperto di diritto costituzionale non mi permetto di entrare nel merito, ma penso di
non essere smentito affermando che il ruolo del legislatore non è solo quello di affrontare le
questioni in punta di diritto, il Parlamento dovrebbe occuparsi dei problemi reali delle persone e, se
vengono individuate delle carenze nell'ordinamento giuridico, dovrebbe colmarle.
La legge che manca, e che crea tante discussioni, è quella sul testamento biologico. Una legge
grazie alla quale ognuno, se lo vuole, possa indicare quali terapie intende accettare e quali rifiutare
se un giorno si trovasse nelle condizioni di non poter più esprimere le proprie volontà.
Il tema non è una novità legata a Eluana Englaro, in Parlamento se ne discute da almeno dieci anni.
Ci sono state molte proposte, audizioni, dibattiti e convegni ma non si è mai arrivati ad una legge,
alla fine è sempre prevalso un atteggiamento lontano dalla sofferenza delle persone. Io penso che
invece di concentrarsi sui conflitti tra poteri, ci si dovrebbe interrogare su Eluana e sulle migliaia di
persone che vivono in situazioni simili.
Chi ha potuto osservare una persona in stato vegetativo permanente sa che le cure non si limitano a
fornire l'acqua e il pane, come è stato detto.
La nutrizione e l'idratazione artificiale avvengono attraverso un sondino che introduce nello
stomaco elettroliti, microelementi, proteine, farmaci e altre sostanze. Inoltre, un corpo in quelle
condizioni deve essere mantenuto libero da infezioni, dal rischio di embolie polmonari, da decubiti,
da alterazioni metaboliche che possono causare la morte. Per non parlare della manipolazione da
parte di mani estranee che devono lavare, massaggiare, spostare e anche svuotare l'intestino una o
due volte la settimana.
Le tecniche che si utilizzano oggi solo poche decine di anni fa non esistevano e le persone in queste
condizioni si spegnevano naturalmente. Chi di noi vorrebbe essere sottoposto a tutte queste terapie
per anni senza avere alcuna percezione del mondo e senza una ragionevole speranza di recuperare
l'integrità intellettiva? Io non lo vorrei, lo confesso.
Ma se qualcuno invece lo volesse, può essere sicuro che la sua volontà sia rispettata? La risposta è
no, perché ogni giorno nelle rianimazioni si pone il dilemma se interrompere o meno alcune delle
terapie che, grazie ai progressi della medicina, permettono di mantenere in vita esseri umani
altrimenti destinati alla fine naturale. E chi prende la decisione se interrompere o meno le terapie?
Decide il medico di guardia che non conosce l'intimità del paziente, conosce le sue condizioni
cliniche e decide esclusivamente in base a queste. Sono gli stessi rianimatori che spiegano che nel
62 per cento dei casi applicano la cosiddetta desistenza terapeutica, ovvero sospendono tutte le
terapie e avviano così il paziente verso la fine naturale della sua esistenza.
La loro scelta è fatta in scienza e coscienza, eppure non possono documentarla in cartella clinica e
la decisione non tiene conto del punto di vista del paziente, il quale non può lasciare delle
indicazioni scritte attraverso il testamento biologico.
Ed ecco perché i cittadini, oltre al Presidente della Repubblica e alla magistratura, chiedono con
insistenza che il Parlamento legiferi sulla materia per raggiungere una legge che permetta di non
demandare decisioni tanto definitive al giudizio altrui.
Mi auguro che finalmente si riuscirà a fare questa legge. Ci sono riusciti gli Stati Uniti nel 1976,
anche lì dopo una sentenza della magistratura e una decisione della Corte Federale. Ci sono riusciti
in Francia, in Danimarca, in Germania, in Belgio, in Svezia, in Australia, anche in Spagna
recentemente.
In Senato già diverse proposte di legge, una di queste è stata sottoscritta da cento senatori del Pd,
dell'Italia dei Valori e del Pdl. E' una proposta che affronta i problemi della fine della vita nel loro
complesso perché tratta non solo di testamento biologico ma anche di cure palliative e delle terapie
del dolore.
L'obiettivo è di offrire ai malati inguaribili e alle loro famiglie sollievo e sostegno durante le fasi
che accompagnano i momenti terminali della vita. Ma per realizzare questo progetto è necessario
avviare un programma assistenziale di cure palliative, rafforzare la rete degli hospice e semplificare
la prescrizione dei farmaci per il dolore. Sono anche questi gli argomenti che definiscono il grado di
civiltà di un paese, il rispetto dei diritti e, dal momento che riguardano tutti nessuno escluso,
dovrebbero essere trattati con la dovuta celerità.

Ignazio Marino         la Repubblica   31 luglio 2008

(l'autore è chirurgo e senatore del partito democratico)