Ecco come la par
condicio contribuisce a devastare la coscienza degli italiani
Roberta De Monticelli è docente di Filosofia della persona
all’Università San Raffaele di Milano.
Giovedì era ospite del programma di Radio3 Fahrenheit. Si è così imbattuta nelle
regole della par
condicio. E ha deciso di scrivere questa lettera - di cui pubblichiamo un
ampio stralcio - al
direttore generale della Rai.
Oggi nel nostro Paese la differenza fra il vero e il falso è tenuta in un
disprezzo tale che un
telegiornale del servizio pubblico può proclamare impunemente falsità fattuali.
Questo stesso fatto,
di inaudita gravità, suscitava l’esigenza di un dibattito pubblico, che in
effetti era cominciato. Ma
nelle sedi più naturali perché questo dibattito raggiungesse la maggioranza
degli italiani, cioè i
canali televisivi e radiofonici, questo dibattito è stato oscurato, come tutti
gli altri dibattiti di idee
che abbiano attinenza con lo scontro politico in atto. Mi permetto di scrivere
questa lettera aperta al
Direttore Generale della Rai perché oggi, sperimentando personalmente l’effetto
di questa
disposizione da lui decisa, ho compreso meglio quale sia la sua ricaduta
devastante sulla - già così
fragile - coscienza morale e civile degli italiani, e vorrei sottoporre la mia
esperienza alla sua
attenzione.
Volevo concludere un’intervista radiofonica a Fahrenheit,
programma di Radio3, citando due testi
di una grande pensatrice, di cui si celebra quest’anno il centenario della
nascita, Jeanne Hersch
(Ginevra 1910-2000): «Nessuno - né un dio, né un demone, né un mago, né uno
scienziato - potrà
fare che il mare, là davanti a me, non abbia questa mattina scintillato sotto il
sole». E poi: «Nessuno
parla come gli passa per la testa, perché non parlerebbe affatto. Parlare è
piegarsi alle norme di senso della lingua in cui si parla…
È per questo che la menzogna era considerata da Kant la
colpa per eccellenza. Perché essa distrugge il linguaggio».
E le ho citate, quelle parole. Ma avrei voluto commentarle proprio con
riferimento al fatto
accertabile di un’informazione falsa (più d’una, invero) data come vera dal
servizio televisivo
pubblico. Invece mi sono trattenuta dal nominare quel fatto. Mi sono trattenuta
anche dal
menzionare l’oscuramento del libero dibattito, per un periodo così lungo. Ho
detto il vero solo in
generale, quando sono i fatti particolari che lo rendono vero. Perché l’ho
fatto? Perché a più riprese
ero stata pregata di non menzionare fatti e nomi dell’attualità politica: dato
che, in forza di quel
provvedimento, avrei fatto correre il rischio di oscuramento o di gravi sanzioni
perfino a quella
trasmissione così pacificamente culturale, ai suoi artefici, alla sua
conduttrice, persona
professionalmente e moralmente impeccabile.
Ecco l’effetto - perdoni - diabolico della Sua disposizione:
che per lealtà nei confronti di chi
onestamente e validamente svolge il suo compito, e tiene in piedi quel poco che
resta di dibattito
pubblico, dunque di persone alle quali indubbiamente dobbiamo lealtà e rispetto
degli accordi presi
- si può essere indotti all’autocensura, contro tutte le proprie
convinzioni intellettuali e morali.
Ogni esperienza anche minima è esemplare di un significato generale. Questa è,
nella sua modestia,
profondamente dolorosa. Il suo significato generale è che l’effetto perverso dei
provvedimenti di
questo tipo è addirittura di indurre perfino le persone che a) non
rischierebbero niente ma b)
tendono a porre comunque al primo posto in ciascuna determinata situazione il
dovere morale che
quella situazione comporta, ad agire nel senso voluto da una disposizione di
legge che si ritiene
ingiusta, ingiusta al di là della soglia tollerabile, e alla quale dunque
è moralmente lecito non
obbedire. E ad agire contro l’aspirazione più profonda della
propria anima (dire la verità sui fatti
vergognosi, dirla chiara, precisa, e dirla tutta).
Si parva licet - medium il dovere di lealtà e di rispetto degli
accordi presi - l’effetto perverso è
quello che sempre ha la legge quando è ingiusta: l’effetto cicuta. Socrate
riconosce il principio della
certezza del diritto, il cui venir meno egli giudica un male superiore a quello
causato dalla sua
personale morte, per quanto scandalosamente ingiusta. E per seguire
l’eticamente dovuto promuovere
un male minore se è necessario per evitarne uno maggiore - fa il gioco
dell’ingiusto
(che pure dispone dell’autorità per emettere una disposizione di legge). Non
rida, la prego, di questo
paragone apparentemente così incongruo, e tralasci l’irrilevanza relativa del
fatto, e di chi glielo
propone. Nel minimo sempre può leggersi il massimo. Ci sono
cicute enormi e tragiche e cicute così
minime e poco rilevanti da indurre la nostra attenzione a passar oltre, con
un’alzata di spalle.
Eppure nell’essenza eccolo, il veleno di ogni degenerazione autoritaria, che
fa di una democrazia
rappresentativa la pura e semplice espressione della legge del più forte:
volgere la legge morale
contro se stessa, ottenerne il suicidio.
Roberta De Monticelli l'Unità
6 marzo 2010