E SE PROVASSIMO DAVVERO A PARLARE CON L'ISLAM?
 
 
Alla fin fine, dopo la polemica sulle vignette danesi dobbiamo ammettere che la teoria di Samuel Huntington sullo «scontro di civiltà» è giusta? No, perché le civiltà non sono attori sul palcoscenico della politica mondiale, né tantomeno dichiarano guerre. In molti luoghi, popoli di culture diverse vivono insieme piuttosto pacificamente. La politica mondiale è una questione che riguarda gli Stati e i loro leader, ed è sempre stato così. Attraverso politiche sbagliate questi leader potrebbero tuttavia avvalorare l’errata analisi di Huntington, trasformando la sua teoria in una profezia destinata a realizzarsi.
 
Come alcuni personaggi dei media e alcuni politici in Danimarca e in Italia, chi a Washington spinge per una guerra con l’Iran fa il gioco di Bin Laden e di Al Qaeda, i quali vorrebbero appunto scatenare una guerra di civiltà. Ma una guerra simile non solo non è assolutamente inevitabile, ma deve essere impedita a ogni costo. Il solo interrogativo è come fare.
 
Il primo passo è costituito dal dialogo, senza dubbio. Certo, questo presuppone che i musulmani siano disposti ad assumere il ruolo di interlocutori. Dialoghi del genere già avvengono e coinvolgono, in molti luoghi del mondo, singoli, gruppi e comunità religiose differenti. La polemica ancora in corso sulle vignette di Maometto ha fatto esplodere frustrazioni e risentimenti profondamente radicati fra le popolazioni islamiche. Molti, in Occidente, hanno concluso che l’indignazione dei musulmani sia stata alimentata dai fondamentalisti che sfruttano ogni occasione per provocare la rabbia popolare. È vero che le organizzazioni islamiste radicali e i singoli governi trovano nelle caricature una gradita conferma all’immagine di lunga data di un Occidente violento e immorale. Come le foto della tortura ad Abu Ghraib, con i diritti umani sistematicamente violati e i musulmani deliberatamente ridicolizzati, le vignette possono essere utilizzate per sfruttare la rabbia popolare.
 
Ma questa rabbia popolare non si sarebbe potuta sfruttare se l’Occidente non avesse per primo creato una simile polveriera. Ogni giorno i musulmani, dal Marocco all’Indonesia, sentono e vedono le crudeli azioni militari in Afghanistan, in Iraq, in Palestina e in Cecenia, ed è il sentimento di oltraggio provato di fronte a queste notizie che favorisce scoppi violenti come le proteste per le vignette. È troppo superficiale quindi che i commentatori occidentali rispondano alle polemiche sostenendo che la libertà di opinione e di stampa vada difesa ad ogni costo, e che alla fine una serie di vignette inoffensive sono poca cosa.
 
Naturalmente senza media liberi non ci può essere democrazia, tuttavia la libertà di opinione e di stampa non andrebbe usata impropriamente per violare convinzioni religiose e produrre immagini ostili stereotipate, che siano di ebrei, musulmani o cristiani. La libertà di stampa esige una stampa responsabile, all’interno della quale i diritti vanno di pari passo con le responsabilità. Se non è permesso diffamare gli individui e violarne la dignità, i media dovrebbero agire con tatto anche con i grandi leader religiosi dell’umanità, sia con il profeta Maometto che con Buddha e Gesù Cristo.
 
L’epicentro del confronto fra Islam e Occidente resta il conflitto israelo-palestinese. Trovare una soluzione reciprocamente soddisfacente a questo problema favorirebbe la soluzione di tutti gli altri, mentre senza un accordo in Palestina lo «scontro di civiltà» è destinato a infiammarsi. Quello in Medio Oriente non è però un problema di terrorismo ma un conflitto territoriale, e in questi termini deve essere risolto. Un primo passo è stato fatto con l’evacuazione della Striscia di Gaza. Una pace durevole richiederà concessioni da entrambe le parti, ma soprattutto dal più forte, e oggi Israele è la più grande potenza militare in Medio Oriente.
 
Quanto ad Hamas, ha vinto le elezioni promettendo di liberare il popolo palestinese dalla miseria, dalla corruzione e dall’occupazione. Adesso le democrazie occidentali dovrebbero punire il popolo per aver fatto la scelta democratica che gli era stato chiesto di fare? È un ragionamento tragicamente sbagliato trattare il nuovo governo palestinese come un’organizzazione terroristica e cercare di ostacolare la volontà popolare tormentandolo e trattenendo illegalmente gli introiti delle tasse dovuti al governo uscito dalle urne. Questo significa forse che dobbiamo accettare gli attacchi violenti degli islamisti radicali e l’occupazione di ambasciate e istituti culturali stranieri? Certamente no. Ma non dobbiamo neppure rispondere alla violenza con la violenza.
 
Dobbiamo invece impegnarci in un dibattito serio e aperto: serve un dialogo preventivo anziché una guerra preventiva. Tenendo conto dell’impatto delle vignette su Maometto e delle fotografie delle torture di Abu Ghraib, è importante che l’Occidente non si limiti a promuovere valori condivisi come la libertà, l’eguaglianza, la solidarietà, la democrazia, i diritti umani e la tolleranza, ma viva anche secondo questi valori attraverso un’etica improntata sull’umanità, il rispetto per la vita, la solidarietà, la sincerità e la collaborazione reciproca.
 
In generale, i musulmani dell’Unione Europea e degli Stati Uniti hanno reagito con ritegno a quei dolorosi eventi, e hanno cercato di esercitare un’influenza moderatrice sui correligionari dei Paesi musulmani. Esortando a un dialogo onesto e aperto fra islamici e Occidente non voglio nuocere ai buoni rapporti esistenti fra musulmani e non musulmani in Occidente, quanto piuttosto aiutarli a mettersi alla prova e a crescere insieme, anche se questa crescita deve avvenire attraverso la condivisione di esperienze negative.
 
Uno dei molti modi possibili per prevenire lo scontro di civiltà tanto a livello locale quanto a livello regionale, sarebbe quello di istituire un «consiglio interconfessionale» nel maggior numero possibile di città. Per anni consigli del genere hanno funzionato bene in Gran Bretagna. Formati da rappresentanti ufficiali delle comunità di residenti, sono efficaci strumenti per affrontare le questioni che influiscono direttamente sui rapporti fra le comunità religiose e la loro vita nella società. Nelle situazioni di crisi possono assumere il ruolo di mediatori e prevenire sviluppi pericolosi.
 
Per anni l’Occidente ha sottovalutato l’idea di dialogo fra il mondo musulmano e quello occidentale. Come ci ha nuovamente dimostrato la polemica sulle vignette, non possiamo rifiutarci ancora di prendere sul serio quest’idea. Se si vuole che la falsa teoria dello scontro di civiltà non si realizzi è tempo che entrambe le parti parlino apertamente e onestamente, riconoscendo le rispettive differenze e cercando un terreno comune.
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HANS KUNG. teologo        Corriere della Sera, 8-3-06

 
2006 Hans Küng Distributed by The New York Times Syndicate
08 marzo