Il duplice Benedetto XVI

Mi ha commosso la sincerità disarmante con cui Benedetto XVI si è rivolto, per lettera, ai vescovi
cattolici dopo la revoca della scomunica ai lefebvriani e il caso Williamson. Quell’insolita missiva
conferma l’onestà intellettuale del Papa teologo, ma in me ha generato ulteriore confusione su un
tema cruciale del nostro tempo qual è il dialogo interreligioso.
Ricordate? Solo pochi mesi fa, dichiarai, qui, il mio sconcerto per l’altra lettera “strana” del
pontefice, indirizzata al filosofo Marcello Pera e da questi inserita nel volume Perché dobbiamo
dirci cristiani (Mondadori). A scanso di equivoci sull’autenticità del testo, l’editore ne stampa in
calce la firma autografa. E più sopra leggevamo, con mio rammarico, questa stroncatura del dialogo
interreligioso: «Particolarmente significativa è per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo
interreligioso e interculturale. Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso nel
senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che
approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un
vero dialogo non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel
confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo». Scritta a Castel
Gandolfo, la lettera reca la data del 4 settembre 2008.
Non un decennio, ma solo 6 mesi dopo, dal Vaticano, il 10 marzo 2009, lo stesso Papa diramava
quest’altro testo riconosciuto come inconfondibilmente suo: «Lo sforzo per la comune
testimonianza di fede dei cristiani — per l’ecumenismo — è incluso nella priorità suprema. A ciò si
aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di
avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio,
verso la fonte della Luce; è questo il dialogo interreligioso
».
Come noterete, qui il dialogo interreligioso viene indicato come un «andare insieme» che non
metterà di certo tra parentesi la propria fede. Anzi, pur nella diversità, tende «verso la fonte della
Luce». Riconoscere che tale Luce ci accomuna, immedesimandoci nella fede, è riconoscere la
potenzialità trasformatrice dell’autentico dialogo interreligioso. Ritornato (per fortuna) possibile; di
più, necessario.
Qual è il “vero” Benedetto XVI? Quello del settembre 2008 o quello del marzo 2009? Forse il
secondo sta ancora combattendo con il primo, perché il dialogo interreligioso è un impulso
misterioso della fede difficile da regolare con gli strumenti della teologia tradizionale.

Gad Lerner      in  Nigrizia  aprile 2009