Due bimbe rom, un
sabato di luglio
Questa foto in apparenza anonima
accorpa in sé, involontariamente
non solo la storia di due morti
per annegamento, ma ci svela
una realtà spaventosa, qualcosa
che non vorremmo mai avere visto
Vorrei parlare della fotografia di due coppie di piedi e di un uomo e una donna
seduti un poco defilati sullo sfondo.
Veniamo da un secolo, il Novecento, che ci ha abituato a cercare nel particolare
la chiave per accedere alla verità nascosta sotto ineccepibili apparenze. Il
primo a insegnarcelo è stato forse lo svizzero Morellini che riuscì a scoprire
molti falsi in pittura attraverso l’analisi di particolari insignificanti:
l’unghia di un mignolo, un ciuffo di capelli, l’ala di un fringuello. Il disegno
di una pantofola. Ma ce l’hanno insegnato anche Conan Doyle e Sherlock Holmes
sempre con la lente di ingrandimento a cercare quello che sfugge a occhio nudo.
La fotografia di cui voglio parlare è stata scattata una mattina di sole sulla
spiaggia di Torrevegata vicino a Napoli, un sabato di luglio. La prima cosa che
colpisce in questa fotografia sono quattro piedi che fuoriescono da due teli da
spiaggia, uno verdolino e l’altro a disegni bianchi e blu. Quattro piedi
divaricati. Forti. Ma anche morbidi, con ancora delle rotondità infantili. Piedi
con la pianta rivolta al sole. Accanto un giovanotto in shorts blu e maglietta
bianca ha il cellulare all’orecchio, probabilmente sollecita qualcuno a portare
via i due corpi distesi sotto i teli. Ma lui è marginale alla foto. Centrali
sono i piedi e la coppia in secondo piano, sullo sfondo. Sono un uomo e una
donna seduti sulla sabbia a ridosso di una bassa scogliera formata da alcuni
massi e ciottoli levigati dal mare. La donna tiene le mani intrecciate
mollemente intorno alle ginocchia , è in costume da bagno e ha un cappellino in
testa, appare graziosa e rilassata, la grossa borsa da spiaggia azzurra a
distanza di braccio. Accanto a lei è seduto l’uomo con le gambe appena più
allungate e un cappellino probabilmente celeste.
Questa fotografia in apparenza anonima e casuale assume a un tratto un
significato agghiacciante. Accorpa in sé, involontariamente, non solo la storia
di due morti per annegamento in un sabato di sole sulla spiaggia di Torregaveta
ma ci svela nei suoi particolari meno appariscenti una realtà spaventosa,
qualcosa che non vorremmo mai avere visto e mai vedere: Noi. Una realtà al
limite della nausea. E non sono i corpi delle due bambine coperti dai teli da
spiaggia, due teli trovati al momento per velare pudicamente la morte, ma i loro
piedi che i teli non arrivano a coprire, ancora infantili ma anche densi, piedi
che vanno, abituati a camminare. Eppure sempre e ancora piedi di bambini che si
offrono allo sguardo in primo piano come se non fosse poi così importante
nasconderli per coprire l’inguardabile della morte. Ma l’obbiettivo che li
inquadra cattura sullo sfondo qualcosa che non ha niente a che vedere con quei
piedi : la coppia venuta a trascorrere una meritata giornata di mare e sole,
l’acqua e i panini, la frutta lavata al fresco nel borsone accanto. Una coppia
che ci rappresenta in maniera da manuale; e così adesso quei piedi gridano,
urlano, pesano come piombo.
Quattro ragazzine venute a vendere tartarughe e braccialettini ai bagnanti del
weekend di luglio. Sporche e impacchettate in vestiti lunghi, stracciosi, che
subito le identificano come le infime degli infimi. Tredici, quattordici,
dodici, undici anni. Ragazzine che a un tratto non ne possono più di quel caldo
insopportabile e entrano in mare. Prima i piedi e i cavalloni che si sciolgono
sulle gambe in un apoteosi di schiuma, e subito si ritraggono in un risucchio.
Il resto si sa, ancora qualche passo e a un tratto un cavallone più alto degli
altri gli si schianta addosso mentre il risucchio si tira appresso le gambe,
quei vestiti che le imprigionano come corde, i piedi scivolano sul fondo loro
annaspano per tenersi a ritte, vanno giù, poi ritornano su, poi ancora giù,
qualcuno a un certo punto se ne accorge. Due le salvano, per le due più piccole
è invece troppo tardi.
Ma lo scompiglio creato dalla tragica fine del loro goffo bagno si placa in
fretta, noi abbiamo ripreso a goderci la nostra meritata giornata di vacanza,
accanto la grossa borsa con i vari generi di conforto. Fra poco faremo un tuffo,
magari stando un poco più attenti. Se non fosse per la visione di quei piedi
così spaventosamente simili, identici a quando avevamo dodici o tredici anni,
gli alluci e le piante appena rigonfie, le caviglie ancora morbide. Dei
piedi che ci raccontano di come il nostro cuore sia diventato un sasso, la
nostra testa una calcolatrice dotata di una mirabolante serie di tasti. La
nostra anima? chissà dove .
Questo ci dicono quei piedi e la serena coppia sullo sfondo.
Rosetta Loy l'Unità
27 luglio 2008