DON SCIORTINO E LA VOCE DEL DISSENSO

Ci trovano consenzienti le prese di posizione di don Antonio Sciortino sulla situazione attuale della politica e sul pericolo che dal populismo si scivoli nell'autoritarismo e nella fascistizzazione della società, espresse su Famiglia cristiana e altri media. Il principio di «uguaglianza delle idee e delle opinioni» che egli opportunamente rivendica e che sta a fondamento dei suoi interventi ci suggerisce di manifestare a nostra volta qualche perplessità sulla cornice in cui sono inserite. E la cornice è il cattolicesimo progressista, che riesce a gridare parole dure contro l'autoritarismo della politica ma è muto contro quello della struttura ecclesiastica e contro il dominio totalitario del sacro.
Una delle lamentele di don Sciortino, espresse nel suo contributo apparso su Micromega, sta nello «scalpore che tutte queste cose le abbia scritte un giornale cattolico ... Ciò che spesso difetta al nostro paese è l'idea che i cattolici, giornalisti e non, siano cittadini come gli altri e abbiano il diritto di partecipare al grande gioco della democrazia di opinione». Come cittadino italiano Sciortino può rivendicare a ragione il principio di uguaglianza delle idee e opinioni e lamentarsi se ciò non avviene, ma come cattolico egli è in condizione di rivendicare la medesima uguaglianza di fronte alla struttura ecclesiastica? Se si tratta di un principio universale, o vale per tutte le strutture o per nessuna. Tale omissione non è un contributo alla negazione del principio di uguaglianza nella Chiesa e quindi, implicitamente, un'accettazione della non uguaglianza della società? Non contribuisce a negare tale uguaglianza, ad esempio, al dissenso cattolico che nella Chiesa cattolica non ha voce.
Apriamo qui una riflessione critica in senso costruttivo sulla linea strategica della cultura dei diritti di uguaglianza di tutti/e come rivoluzione. I cattolici progressisti rifuggono per lo più dall'usare gli strumenti critici di trasformazione culturale, economica e politica della società nell'ambito proprio della loro appartenenza religiosa e ecclesiale. E così fanno mancare al cammino umano proprio il contributo specifico di persone «credenti» che è fondamentale perché i credenti sono persone inserite nell'apparato simbolico religioso. E è proprio in quell'apparato che si trovano le radici più insidiose e profonde della ingiustizia e della violenza. E è su quell'apparato e sugli automatismi inconsci del sacro che bisogna lavorare per condurre avanti la liberazione verso una società in cui sia rispettato il principio di uguaglianza. Viviamo una forma di schizofrenia. Pensiamo di costruire «un mondo nuovo possibile» lavorando solo nell'orizzonte del visibile e del misurabile. E così la violenza cacciata dalla porta della politica rientra dalla ferita aperta nel sacro e nel profondo. E' l'altra faccia della secolarizzazione dimezzata, cioè basata tutta e solo sul dominio del mondo attraverso la mente. L'alfa e l'omega dell'ordine umano, sociale, politico, culturale, non è più l'onnipotenza di Dio ma l'onnipotenza della mente, nuova divinità. E la rivoluzione, quella di Marx come anche, fatte le debite proporzioni, quella di un don Sciortino, cambia l'ordine dei fattori, il basso in alto l'alto in basso, ma il risultato è sempre il dominio della mente. L'altra metà dell'essere umano, il mondo simbolico, l'inconscio, il sacro, il mistero, è affidata alla vecchia casta dei ministri consacrati o alla nuova casta degli specialisti dell'anima. Una tale visione critica dove vuole andare a parare? Non abbiamo risposte sicure. Dobbiamo trovarle insieme.

Collegamento naz. delle CdB italiane        Il manifesto 08/10/08