DOCUMENTO
IL MATRIMONIO NEL
VANGELO E NELLA TEOLOGIA
Svelare le mistificazioni e le menzogne
A mio modo di vedere, è bene affrontare il referendum traendone tutti i vantaggi
possibili, una volta che una certa parte ne ha messo in moto la macchina e
nonostante che esso, con tutta evidenza, voglia coprire una manovra con
obiettivi reazionari.
Credo che il primo vantaggio sia proprio quello di convocare le masse ed in
specie le comunità cristiane, come qui, stasera, ad affrontare in modo critico
questo come altri problemi in cui rimane inceppata, per mancanza di
consapevolezza, la nostra crescita sociale. Affrontare questi problemi, per
svelare tutte le mistificazioni, le menzogne, concretizzate e dissimulate
all'interno di certi principi suggestivi.
Parlando da cristiano a gente che in gran parte si ritiene tale, ci tengo a dire
che il momento che stiamo vivendo è proprio il momento in cui dobbiamo abbattere
(noi ne siamo i primi responsabili) quella che chiamerei l'ideologia cattolica,
come ideologia di copertura del mondo borghese, il quale mondo borghese trova
vantaggio nel coprire i suoi obiettivi di conservazione sociale con dei valori
cosiddetti cristiani che hanno ancora una grandissima forza di suggestione nelle
coscienze.
La difesa della famiglia cristiana è un aspetto dell'ideo-logia cattolica che,
molto di più di quanto potremmo pensare, nasconde la volontà di conservare un
certo tipo di società e un certo tipo di sistema di rapporti di proprietà.
Alzare quindi questo velo è in un sol momento recuperare la possibilità di un
rapporto più vivace, più liberatorio col Vangelo e smascherare le reali
intenzioni della classe dominante.
Così, quando i nostri vescovi hanno creduto di dover convocare i cattolici a una
battaglia, la battaglia della indissolubilità giuridica del matrimonio in
Italia, hanno fatto riferimento a un modello cristiano della famiglia, e certo
un tale riferimento non può non avere risonanza nella coscienza di una larga
parte del popolo italiano, anche di quella che politicamente ha fatto delle
scelte dissenzienti nei confronti della Chiesa.
Non esiste un modello cristiano di famigliaChe cosa si nasconde, però, dietro
questo cosiddetto modello cristiano della famiglia? È lecito attribuire al
messaggio cristiano un modello di famiglia quale quello che abbiamo ereditato
dal passato e che ancora sopravvive? Ecco, la risposta è subito np. Si tratta
appunto di una menzogna, non di quelle architettate da chi sa quale mal
intenzionato, ma di quelle menzogne che nascono per una specie di escrescenza
storica progressiva, sulla spinta di altre ragioni che non sono di tipo ideale,
ma pratico.
Non esiste la "famiglia cristiana", essa è appunto un falso valore. Io vorrei
mostrarvi come liberandoci da questa falsificazione, ricercando anche le ragioni
per cui essa è nata e si è fatta valere e riferendoci con coscienza liberata
alle esigenze evangeliche, noi ci mettiamo in movimento tra le forze che mirano
a far crescere la nostra società e liberarla anche da altre schiavitù.
Che cosa intendiamo quando si parla di modello cristiano della famiglia? Noi
possiamo riferirci o al particolare ordinamento giuridico della famiglia, quello
che è stato elaborato lungo i secoli dalla Chiesa cattolica, oppure ad un
particolare concetto etico, morale della famiglia, che, anche indipendentemente
dall'ordinamento giuri-dico-canonico, si è fatto valere da parte della società
italiana. Per cui si dice che la famiglia tipica italiana è una famiglia di
formazione cristiana.
Ora, spieghiamoci su questo punto. Intanto sta di fatto che quando noi parliamo
della famiglia secondo l'ordi-namento canonico, quello che per adesso rimane in
prima gestione della Sacra Rota e dei Tribunali diocesani, noi non dobbiamo
affatto ritenere che si tratti della traduzione giuridica di un ideale
evangelico. Si tratta invece di una creazione storica, precisamente databile, di
cui è responsabile la Chiesa cattolica.
I primi cattolici non avevano un ordinamento giuridico proprio della famiglia.
Essi vivevano la vita di famiglia, ed anche diremmo istitutivi, secondo il
costume del tempo. Non c'era, per dir così, il matrimonio in chiesa; non c'era
una anagrafe o un tribunale ecclesiastico per i matrimoni, non c'era il prete,
al matrimonio. I cattolici si sposavano come tutti gli altri. Non sentivano
alcun bisogno di dare al loro matrimonio un ordinamento giuridico particolare
all'interno del generale ordinamento giuridico della società in cui vivevano,
specialmente in quella romana.
Ad esempio, là dove erano le famiglie a stabilire il matrimonio dei figli, i
primi cristiani facevano come gli altri: il padre di famiglia destinava alla
figlia un dato marito, d'accordo con la famiglia del promesso sposo, senza che i
due interessati potessero aggiungere nulla, perché questo era il costume.
Inutile quindi andare a cercare nei primi cristiani un modello di "famiglia
cristiana". Così, per quanto riguarda il modello etico della famiglia, non
esiste un concetto etico specificamente cristiano, nei primi secoli. C'è una
visione, se vogliamo, di fede, teologale, cioè legata al riferimento a Cristo.
Non esiste però un ideale di famiglia con particolari contenuti morali. La
prassi familiare si modellava sul costume morale del tempo. Anche se è chiaro
che il cristianesimo impose un rigore morale, un rifiuto di certe forme di
depravazione, una condanna di certe degenerazioni; però non disse cose diverse
da quelle che poteva dire l'etica degli stoici o dei pitagorici. Quindi il
cristianesimo non si presenta con una sua etica familiare formulata nei primi
tempi.
Come nasce il modello cristiano della famiglia
Solo quando la Chiesa, dopo Costantino, e precisamente con Giustiniano, acquista
una responsabilità di tipo sociale, per cui tutti i momenti della vita sociale
vengono gestiti dal clero, incomincia a formarsi un ordinamento matrimoniale
cristiano che, come vedremo, si è poi accresciuto, si è arricchito, si è
accreditato in ogni modo fino a trovare il suo sigillo nel Concilio di Trento e
a diventare anche un modello di ispirazione per molti ordinamenti giuridici
civili. Il codice napoleonico fu in gran parte tributario di questa tradizione
giuridica della Chiesa medioevale.
Tuttavia ci domandiamo se il matrimonio cosiddetto cristiano ha veramente
obbedito alle esigenze evangeliche o non piuttosto alle esigenze della società
del tempo. La risposta è chiara: la cosiddetta famiglia cristiana, con tutti i
connotati giuridici ritrovabili nel codice canonico, con tutti i connotati etici
ritrovabili nel costume esemplare, è un prodotto storico e, come tale, relativo.
Per cui io non riesco a capire, proprio dal punto di vista diremo
dell'individuazione culturale, che significhi difendere in una società
pluralistica un modello cristiano di famiglia, perché non so quale dia questo
modello, perché non si dà un modello proprio del cristiano.
La famiglia cristiana, se noi la conserviamo come prodotto storico ereditario,
nasconde invece in sé particolari pregiudizi, particolari difformazioni,
particolari rapporti sociali legati allo sfruttamento che sono tutti da
rifiutare.
Caratteristiche superate della famiglia cristiana
Quali sono queste caratteristiche storiche da considerare superate? Innanzitutto
è chiaro che l'unità della famiglia cristiana usufruiva di un dato economico,
era l'unità patrimoniale. Il padre di famiglia era l'unico responsabile del
patrimonio familiare, era lui l'unica figura economica della famiglia. E quindi
l'unità della famiglia, anziché essere il prodotto della scelta cosciente dei
coniugi, era un portato fatale dell'indivisibile unità patrimoniale. Che cosa
avrebbe potuto fare una buona donna cristiana, si fa per dire, di ceto povero,
se avesse se avesse avuto mille motivi per lasciare il marito: andare a morire
di fame o essere rifiutata dalla società abbiente come donna deplorevole, di
cattivi costumi, ecc. La donna era legata a questo giogo dell'indissolubile
monarchia economica del padre di famiglia.
A reggere l'indissolubilità della famiglia, oltre a questa ragione economica,
esisteva un ambiente cosiddetto monoculturale, cioè a cultura unica, per cui
tutti gli elementi culturali dell'ambiente spingevano a ricercare la propria
identità nella famiglia di appartenenza.
Una donna non aveva un suo mondo culturale. I figli non avevano un mondo
culturale autonomo. Non c'era-no spazi diversi per l'esperienza di vita. La
famiglia rappresentava il luogo normale e continuativo dell'esperien-za
culturale. L'unità quindi si manteneva perché mancavano forze centrifughe,
aperture di orizzonti diversi per i componenti della famiglia. Pensate, ad
esempio, al legame quasi fatale fra il lavoro del padre e del figlio.
In terzo luogo c'era la subordinazione della donna all'autorità maritale, che
era una norma assoluta. L'attività pastorale della Chiesa ha in questo una
specifica responsabilità, perché il modello che si forniva alla donna era un
modello di subordinazione al marito. La "donna cristiana" è quella che dice
sempre di sì al marito, che non ha in nessun campo iniziativa propria, le cui
virtù sono tutte una garanzia alla tirannide maschile e i cui compensi
mistificanti sono l'essere l'angelo del focolare.
Perfino san Paolo porta riflessi della condizione sociale della donna dei suoi
tempi, quando dice che la donna deve essere sottoposta al marito, o deve
coprirsi il capo quando entra in assemblea perché il capo della donna è l'uomo.
San Paolo non rivela niente che abbia rapporto con la liberazione portata da
Gesù Cristo Assume norme di comportamento proprie della società ebraica. Ma noi
dobbiamo sapere che la fedeltà alla parola di Dio non è fedeltà ai modelli
sociologici del comportamento, legati ad una certa fase dello sviluppo storico.
La parola di Dio non assolutizza, non rende normativi quei modi di
comportamento, ci esorta anzi a liberarcene.
E alla fine c'era il pessimismo sessuale, che svuotava la famiglia di ogni
significato positivo di comunione spontanea a tutti i livelli e relegava la vita
sessuale a una funzione di servizio in rapporto all'azione.
Il matrimonio è per i figli. In realtà, pensate che nel passato, anche in quel
passato che certi nostalgici rimpiangono, il consenso libero della donna al
matrimonio era una circostanza neanche presa in considerazione. La donna aveva
così radicalmente accettato il modello impostole dalla società e dalla Chiesa
che aveva perfino vergogna a dire che desiderava prender marito; magari lo
desiderava con tutta se stessa, ma tale desiderio rimaneva inibito. Doveva esser
lei, la donna cercata. Doveva essere senza iniziative e con un'etica del
comportamento femminile che voi conoscete bene.
La stessa definizione della donna era di tipo biologico. La donna si definiva in
rapporto alla sua biologia: era vergine o madre. Non persona, come l'uomo,
capace di decidere della propria vita indipendentemente dalla condizione
biologica; ma legata strettamente a questa, con delle sfere di mortificazione
terribili, come la donna che non ha sposato, la zitella, considerata una donna
fallita.
Oggi ci troviamo nella situazione in cui lo sviluppo della società ha messo in
crisi le componenti di struttura che sorreggevano un certo tipo di famiglia
cosiddetta cristiana. Abbiamo una crisi della famiglia che per molti è la crisi
della famiglia cristiana, ma che invece è la crisi della famiglia tradizionale e
niente altro.
Allora, un credente, quali doveri ha in questo momento? Non di stringersi di far
quadrato attorno a un modello di famiglia che non ha più nessuna ragione storica
di continuare, ma rifarsi all'esigenza evangelica, interrogarsi di fronte al
Vangelo.
Ora, secondo me, il Vangelo, non ci dà nessun esempio di famiglia precisa. Anche
la sacra famiglia è un'in-venzione posteriore, borghese, perché la famiglia di
Nazareth, non è un modello di famiglia, per il semplice fatto che, almeno nelle
convinzioni di fede, Maria e Giuseppe non erano autenticamente marito e moglie.
Quindi, presentare come modello di famiglia un modello in cui proprio l'aspetto
principale non era integro, significa fare una mistificazione.
Indicazioni evangeliche
Occorre domandarsi piuttosto in che senso il Vangelo si apre a questa esperienza
particolare della vita che è l'amore nella famiglia, nella linea della
liberazione, cioè nella crescita secondo il disegno di Dio.
A me pare che ci siano dei punti fermi, questa volta autenticamente fermi, a cui
fare riferimento in questo tentativo di recupero del significato evangelico che
può avere la vita nell'amore, la vita familiare. Innanzi tutto , è sicuramente
un'affermazione di fondo del Vangelo che dinanzi a Cristo non c'è nessuna
differenza fra l'uomo e la donna, dinanzi a Cristo non c'è né maschio né
femmina.
Quelle discriminazione desunte dalla realtà sociologica, che hanno un riflesso
nella sacra scrittura, devono essere subordinate a questa che è l'autentica
rivelazione in rapporto alla resurrezione: in Gesù Cristo la disparità tra
l'uomo e la donna è abolita. Certo noi sappiamo che la parola del Vangelo non si
presta a diventare – guai del se lo facessimo – un fondamento per nuovi
ordinamenti giuridici; perché la parola del Vangelo, come si suol dire, è parola
profetica, cioè una parola che indica certe linee di crescita, le quali sboccano
in una totale liberazione cristiana.
In secondo luogo, secondo il Vangelo, la fedeltà non è il risultato di una legge
esterna che costringe, ma è un'espressione dell'amore.
Un'altra esigenza interna allo spirito evangelico è il rifiuto della
strumentalizzazione, del rendere l'altro uno strumento di sé.
Espressioni bibliche quali "la persona umana è fatta a immagine di Dio", "amate
i vostri mariti come la Chiesa ama Cristo", "amate le vostre mogli come Cristo
ama la Chiesa", per un credente sono un invito decisivo a rifiutare di fare
dell'altra persona uno strumento di sé, si tratti dei rapporti fra coniugi, si
tratti di rapporti familiari.
Questo rispetto della persona significa garanzia del rapporto veramente
comunitario, perché tra rapporto comunitario e rapporto di società stabilito
dalla legge c'è una differenza di qualità: il rapporto comunitario in tanto è,
in tanto vive, in quanto trova la sua sorgente nel libero consenso e nel
rispetto spontaneo della coscienza verso l'altro; i rapporti societari invece
sono quelli che si stabiliscono per forza di legge.
La famiglia, istituzione legata alle condizioni storiche
Siamo all'ultimo punto: non dobbiamo cadere in un così ingenuo evangelismo da
credere che la famiglia non interessi la società, che debba essere riferita
soltanto all'e-sperienza spirituale.
Ogni espressione dell'uomo, ma la famiglia in particolar modo, in quanto si
innesta nei rapporti sociali generali, ha bisogno di istituzionalizzarsi. La
istituzionalizzazione è un momento di serietà umana, il momento in cui si
traduce in norma esterna la responsabilità di fronte alla società intera.
Però, non è con questo momento istituzionale che si definisce la famiglia. Il
momento istituzionale è quello in cui l'esperienza della famiglia assume
rapporti e responsabilità con l'insieme della realtà sociale. E la società, come
tale, ha bisogno di tutelare la famiglia, di farsene garante in qualche modo, di
proteggerne e favorirne lo sviluppo. Ma questo momento, lo ripeto, è del tutto
legato alle condizioni storiche e varia a seconda del mutare delle condizioni
storiche; perciò oggi c'è bisogno di una nuova istituzionalizzazione della
famiglia.
La famiglia è una creazione continua. Nella Bibbia c'è la poligamia, poi si è
acquisito il concetto della famiglia monogamica, che forse è un concetto
irrinunciabile. Però non si deve dire che è la natura che l'ha voluto, perché
questo significa attribuire alla natura astratta delle conquiste storiche che
non invece relative anch'esse.
Forse la famiglia dovrà cambiare ancora forma, dovrà cambiare struttura. Il
concetto del diritto naturale è un concetto dell'immobilismo borghese, con cui
si sono voluti rendere eterni e immutabili alcuni rapporti che erano funzionali
alla società borghese. E qual è il criterio con cui la famiglia deve cambiare
struttura? È quel di più di libertà che l'uomo deve avere. Quando diciamo
libertà non parliamo della libertà soggettivistica identica al libero arbitrio,
ma di una libertà in cui veramente l'esistenza dell'uno sia garanzia e
condizione della libertà di tutti gli altri.
Questa crescita della famiglia presuppone un nuovo diritto familiare in cui
dovrà essere anche previsto il caso nel quale la fedeltà reciproca di
indissolubilità non è più possibile. Cioè la clausola del divorzio come verifica
di un fallimento dell'esperienza e come legittima dei due, che hanno portato a
termine un'esperienza fallita, di crearsi una esistenza coniugale. Questo la
legge lo può fare; a rigore, lo deve fare. Però il diritto di famiglia non è
questo. Ecco perché dovremo, una volta superata la battaglia sul referendum,
considerarci continuamente mobilitati per favorire in Italia una modificazione
profonda del diritto di famiglia, perché esistono già ormai le condizioni di
coscienza generali e perché certe norme giuridiche della tradizione siano
abolite e superate.
E naturalmente, quando si fa questa battaglia per un nuovo tipo di famiglia, si
deve fare anche una battaglia per un nuovo tipo di società, perché se i rapporti
economici rimangono quelli che sono poco vale il modificare i rapporti
giuridici. Al più avremmo un aggiornamento neo-capitalistico della famiglia.
In ogni caso, una battaglia per la famiglia che si apre con il referendum, non
si chiude con il referendum. Però dobbiamo dirci che noi, in quanto cristiani,
non abbiamo niente, nessun modello nostro da difendere. Noi dobbiamo ricercare
con gli altri un modello giuridico ed etico di famiglia, perché non abbiamo
privilegi di nessuna sorta come credenti.
Come credenti ci compete l'onere e il privilegio, se volete, di essere fedeli
alle ispirazioni evangeliche fondamentali; ma queste ispirazioni non sono da
tradurre come modello etico-giuridico, poiché sono una spinta continuamente
trasformante della realtà storica, disponibili a sempre nuove forme di
ordinamento familiare.
Ernesto Balducci.
Conferenza stampa tenuta nel marzo 1974 (al tempo del Referendum sul divorzio) all'Isolotto - Adista documenti n.12 2007