Disse Gramsci morente: i preti ignorano la vita


«La sai l'ultima? Gramsci si è convertito in punto di morte!» Sì, è proprio l'ultima! L'ultima
barzelletta, in ordine di tempo. Perché quasi ogni giorno ce n'è una, di barzelletta sul comunista
sardo. Tramontate le barzellette su Totti, le barzellette su Gramsci continuano a essere una moda
nazionale. Non si tratta qui di riscrivere la storia, ma semplicemente di fregarsene, della storia. Di
farne carne da porco. Basta spararne una "carina", che ovviamente abbia una qualche valenza
anticomunista, e subito il "Corrierone" la rilancia sul suo sito, i giornali di destra ci faranno pagine e
pagine, e qualche craxiano di ferro (esistono ancora) presto ci scriverà addirittura un libro («il libro
delle barzellette su Gramsci»). Così, dopo Gramsci che organizzava orge nel sanatorio russo in cui
era ricoverato, dopo Gramsci che in carcere si iscrisse al Psi, dopo Gramsci che in realtà era
liberale, dopo Gramsci che si è suicidato buttandosi dalla finestra della clinica Quisisana, dopo
Gramsci che è stato ucciso da Togliatti e da Stalin mascherati da Diabolik nella stessa clinica (tutto
questo - si badi bene - è veramente già stato detto!), ecco ora Gramsci che si è convertito alla
religione cattolica nei giorni precedenti alla morte, avvenuta il 27 aprile 1937. Sempre alla
Quisisana di Roma, ovviamente, un posto che avrebbe potuto ispirare Le Carrè o Agata Christie.

«Gramsci morì con i sacramenti. E chiese alle suore che lo assistevano di poter baciare
un'immagine del Bambino Gesù», ha affermato, sprezzante del ridicolo, l'arcivescovo sardo Luigi
de Magistris, penitenziere emerito della Santa Sede, in occasione della presentazione di un nuovo
catalogo dei santini. Per anni si è accusato Togliatti e il Pci di voler fare di Gramsci un santino, ora
lo si vuol fare entrare - sempre come santino - in un'altra squadra, neanche si trattasse di una
figurina Panini. «Il mio conterraneo Gramsci - ha detto l'anziano presule - aveva nella sua stanza
l'immagine di Santa Teresa del Bambino Gesù. Durante la sua ultima malattia, le suore della clinica
dove era ricoverato portavano ai malati l'immagine di Gesù Bambino da baciare. Non la portarono a
Gramsci. Lui disse: "Perché non me l'avete portato?" Gli portarono allora l'immagine di Gesù
Bambino e Gramsci la baciò. Gramsci è morto con i Sacramenti, è tornato alla fede della sua
infanzia», ha concluso De Magistris.
Fin qui le cronache, al limite della barzelletta, come si vede. Ma le barzellette, per essere gustose,
devono essere nuove. Quella raccontata invece ieri in Vaticano è vecchia come il cucco, risalendo
almeno al 1977.
Già allora un gesuita, padre Della Vedova, anche in quella occasione ripreso e
diffuso dal "Corrierone", cercò di perorare l'idea del Gramsci convertito in extremis. Spalleggiato
da una certa signora Lina Corigliano, intervistata da Gente . Già dieci anni prima, però, Arnaldo
Nesti, un docente universitario fiorentino, aveva ricostruito con serietà la vicenda degli ultimi giorni
di Gramsci, raccogliendo le testimonianze insospettabili di tre suore della Quisisana e del
cappellano della casa di cura, Giuseppe Furrer. Senza inizialmente sapere bene chi fosse «il dottor
Gramsci», il giovane sacerdote vi aveva riconosciuto una personalità fuori dall'ordinario e ogni
pomeriggio, se le condizioni di salute del "prigioniero" lo consentivano (Gramsci riacquistò la piena
libertà solo pochi giorni prima della morte, e comunque si alternavano intorno a lui squadre di
poliziotti e carabinieri, che non lo perdevano mai di vista), amava trascorrere un po' di tempo
conversando con lui. «Il dottor Gramsci - testimoniò ammirato il sacerdote - rivelava una
conoscenza specialistica dei padri della chiesa, specialmente di sant'Agostino, conosceva bene
anche san Tommaso e in particolare Rosmini».
L'illustre malato non rinunciava a denunziare i limiti della chiesa cattolica, che così acutamente
aveva indagato nei Quaderni , dicendo ad esempio al sacerdote: «Non posso capire che voi preti
abbiate una conoscenza così limitata della vita umana... siete fuori della realtà».

Anche le tre suore rimasero colpite da Gramsci, in particolare dalla sua gentilezza. E cercarono
ovviamente in tutti i modi di salvargli l'anima. Nel Natale 1936 due bambini vestiti di bianco fecero
il giro delle stanze per far baciare la statuetta di Gesù. Gramsci - gentile sempre coi bambini - non si
sottrasse. Certo, se avesse saputo che questo semplice gesto di quieto vivere sarebbe stato rivenduto
settanta anni dopo come "conversione", ci avrebbe pensato due volte... Ma cosa si vuol
rimproverare a un uomo ridotto allo stremo, sempre più vicino alla morte, ucciso piano piano dalla
mancanza di cure a cui lo aveva condannato il Tribunale speciale e il regime carcerario?

Un altro testimone d'eccezione, allora ragazzo, Luciano Barca, in seguito dirigente del Pci, economista,
deputato di lungo corso, ci ha fornito un racconto toccante della situazione di Gramsci, che egli
incontrò alla Quisisana, dove si recava a trovare la madre ricoverata: «Quello che ci passa accanto
senza dar mostra di vederci è un uomo basso, spettinato, con il corpo deformato da due gobbe.
Cammina lentamente quasi facendosi guidare da un dito che striscia nel muro di fronte alle porte
delle stanze... Arriva fino all'estremità del lungo corridoio, poi si gira e torna indietro. Noi intanto ci
siamo spostati verso la sua stanza, incapaci di nascondere la nostra sfacciata curiosità e anche un po'
di emozione. E questa volta non ci ignora. Prima di entrare nella stanza ci guarda e ci sorride».
Il 25 aprile 1937 il comunista sardo è colpito da emorragia cerebrale. Don Furrer e le tre suore si
mobilitano, preparano il secchiello con l'acqua benedetta. «Non ricordo - scrive il sacerdote - se gli
ho amministrato o meno l'assoluzione sotto condizione». Il che già dice tutto. Ma anche contro
questi poveri tentativi di salvare l'anima al comunista sardo insorse Tania, la cognata di Gramsci,
suo principale contatto con il mondo esterno in tutti gli anni del carcere (altra barzelletta: Tania
carceriera di Gramsci per conto di Stalin... già sentita anche questa). E, aldilà dei ricordi dei
testimoni, sempre da verificare, sempre da accogliere col dubbio dello storico, è proprio da Tania e
dagli altri amici e parenti più vicini a Gramsci (la moglie Giulia a Mosca, il fedele amico Piero
Sraffa, che viveva a Cambridge e che lo era andato a trovare più volte alla Quisisana, aiutandolo a
redigere la domanda per potersi ricongiungere con la famiglia in Unione Sovietica, una volta
riacquistata la libertà piena - cosa che avvenne solo pochi giorni prima della morte) che viene la
conferma del fatto che la conversione di Gramsci sia una ipotesi senza fondamenti. Perché manca
del tutto, nella loro corrispondenza privata, resa nota solo molti decenni dopo i fatti, un qualsiasi
cenno a una conversione di Gramsci alla fede religiosa. Non vi è in archivio, cioè, una sola carta, un
solo documento che vada in questa direzione, una lettera che contenga una qualsiasi confidenza, da
sorella a sorella, da sorella ad amico. Persino il fratello Carlo, non inserito nel movimento
comunista, fa cenno a nulla di ciò, scrivendo ad esempio ai parenti in Sardegna. Si è di fronte alla
mancanza di una qualsiasi traccia.
Ma davvero - dirà qualcuno - si vuole fare noiosamente storia con i documenti, le testimonianze, le
indagini serie? Ma questa è tutta roba da professori universitari, nuova genia di fannulloni e
infingardi ormai quotidianamente additati al pubblico ludibrio. Molto meglio riempire con la
fantasia i vuoti, veri o presunti, che la storia ha lasciato, le pagine bianche che la storiografia non sa
riempire. Molto meglio raccontare barzellette. «La sai l'ultima? Gramsci...»

 

Guido Liguori     Liberazione 26 novembre 2008