Il diritto di
scegliere
Finalmente, dopo più di 16 anni è arrivata la decisione tanto attesa, che rende
giustizia alle volontà
di Eluana e alla estenuante lotta compiuta dai genitori. La puntualità con cui
la Corte d’Appello ha
precisato le ragioni sono ammirevoli e infondono fiducia nella Magistratura.
L’idea di fondo è
l’applicazione dell’eguaglianza di tutti i cittadini sancita nell’art. 3 della
Costituzione non solo
«nella finalità di assicurare sostegno materiale agli individui più deboli o in
difficoltà, come gli
incapaci, ma anche in quella di rendere possibile la libera espressione della
loro personalità, della
loro dignità e dei loro valori».
Poiché come osserva sempre la Corte, «la prosecuzione della vita non può essere
imposta a nessun
malato, mediante trattamenti artificiali, quando il malato stesso liberamente
decida di rifiutarli»,
questo principio di uguaglianza va esteso anche ad Eluana che ora non può più
esprimere la propria
volontà.
Rimandando ad altra sede una più dettagliata analisi delle motivazioni della
Corte, resta la giustizia
sostanziale della sospensione della terapia nutrizionale per garantire ad Eluana
di evitare uno stato
di vita che mai e poi mai avrebbe voluto. La sentenza è un altro passo
significativo compiuto per
garantire alle persone la possibilità di autodeterminarsi, prevista dalla nostra
Costituzione
repubblicana e richiesta con forza dal processo di modernizzazione della società
italiana. Nelle
società premoderne, i valori e «significati sono presentati all’individuo come
fatti scontati,
generalmente sacri, sui quali egli può esercitare tanto poca scelta quanto sui
fatti naturali: i valori
che governano la vita famigliare, per esempio, esistono più o meno come esiste
una roccia, un
albero, e il colore dei propri capelli», mentre nelle società moderne un numero
sempre maggiore di
valori e di significati sono scelti dall’individuo, e questo modello si estende
anche alla propria vita
dal momento che ormai le tecnologie biomediche possono portarci a vivere in
condizioni prive di
dignità o infernali.
È la situazione di Eluana, che aveva un senso della libertà e dell’autonomia
superiore e che la sorte
ha voluto finisse in una situazione che per lei sarebbe stata intollerabile. Non
vale dire che viene
scardinato il «principio di non disponibilità della vita umana o il dovere
fondamentale di prendersi
cura dei pazienti che non sono in grado di intendere e volere», perché questa è
solo una
riformulazione del vecchio e obsoleto vitalismo che pone la mera vita biologica
come valore
supremo. Ciò che vale è la vita biografica, quella che presenta contenuti e
scelte. E tra queste c’è
anche la scelta delle scelte, ossia quella che riguarda la propria esistenza ove
questa avesse cessato
di essere significativa.
Per chi crede che i valori preesistano alle scelte personali come le montagne o
le case, è impensabile
(o abominevole) l’idea stessa che una persona possa decidere che la condizione
di stato vegetativo
permanente è invivibile e non merita di essere perpetrata. Ma chi ritiene che
l’esistenza è fatta di
scelte, non trova nulla di strano, anzi vede come un incubo la possibilità di
essere privato della facoltà di scelta.
Questa è la situazione di Eluana, cui ora la Corte di Milano ha reso
giustizia. È superfluo ricordare che le due scelte non sono simmetriche, perché
chi volesse permanere in stato vegetativo è libero di farlo, ma non può imporre
la propria posizione a chi avesse una diversa concezione della vita. Ed è per
questo che quest’ultima è superiore: perché non pretende di imporre i propri
valori all’altra, e chiede solo la libertà per tutti.
La strada per giungere a questo risultato è stata tutta in salita ed estenuante.
In oltre 16 anni la
società italiana è cambiata anche dietro lo stimolo di centinaia di conferenze,
svariati interventi
televisivi e radiofonici, articoli e quant’altro: c’è stata un’ampia riflessione
pubblica che ha
sollecitato l’intervento della magistratura, che indirizza la nuova sensibilità
civile alla luce delle
norme costituzionali e vigenti. L’auspicio è che si continui in questa
direzione, perché l’esigenza di
modernizzazione è crescente. La gente, in Italia, vive ormai in base ai valori
laici e secolari che,
purtroppo, non trovano adeguata rappresentanza sul piano pubblico. La sentenza
farà discutere e
sicuramente ci saranno dure critiche. Speriamo che chi ha responsabilità
pubbliche dia voce ai
valori secolari e faccia valere i diritti civili di tutti, senza nascondersi
dietro le solite frasi fatte a sostegno delle “tradizioni italiche”.
È tempo di guardare avanti, non di continuare a elogiare il passato. I
giudici di Milano hanno colto quest’aspetto e meritano un plauso: hanno dato un
esempio,
ed ora tocca a noi seguirli.
Maurizio Mori* l'Unità 10 luglio 2008
*Presidente della Consulta di Bioetica