Dio e Cesare

Mai come in questi giorni la religione in prima pagina. Temi e interlocutori antichi e nuovi. Stato e chiesa, ragione e fede. Successo della gerarchia cattolica e delle sue pretese, crisi della laicità. Come mai? Che cosa è successo? Non basta rispondere invocando il nuovo papa. Alle posizioni di Benedetto XVI bisogna aggiungere una nuova situazione politica e culturale, alcune importanti nuove circostanze. Un quadro, dunque, piuttosto complesso.

Le posizioni dottrinali del nuovo papa, d'altronde, non sono molto nuove. Nuovi, caso mai, gli interlocutori e anche gli alleati.

Ha fatto scalpore, in particolare, il messaggio inviato dal papa al convegno di politici e intellettuali tenutosi a Norcia sul tema «Libertà e laicità» con il titolo significativo «A Cesare e a dio», incontro organizzato e diretto dal presidente del Senato, Marcello Pera. Il messaggio ripeteva la classica dottrina cattolica: «I diritti vengono da dio, non dallo stato». Esiste, dunque, una istanza suprema, alla quale tutti gli stati si devono sottomettere. «La dignità dell'uomo e i suoi diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, ma sono iscritti nella natura stessa della persona umana e sono pertanto rinviabili ultimamente al Creatore». E ancora: «La dignità dell'uomo e i suoi diritti fondamentali rappresentano valori previi a qualsiasi giurisdizione statale». Dio, dunque, non si può né si deve cancellare non soltanto dalla vita privata, ma anche da quella pubblica.

Una lezione che la classica dottrina cattolica non ha mai rinnegato, anche se nel mondo moderno talvolta è sembrata metterla nel cassetto, per non ostacolare o danneggiare il dialogo con le posizioni di una sana democrazia laica.

Su questa dottrina la chiesa cattolica, infatti, ha sempre appoggiato non soltanto la superiorità della legge di dio - la famosa legge «naturale» - sulle leggi umane, ma anche i diritti della chiesa cattolica che di questa legge divina è - sarebbe - interprete e custode. La chiesa, dunque, al di sopra dello stato, nonostante tutti i riconoscimenti dei concordati e della democrazia.

Ratzinger, d'altronde, questa dottrina l'aveva più volte citata e illustrata da cardinale: basti leggere il famoso dialogo con Habermas.

Perché, allora, lo scalpore di questi giorni? Penso che la novità si trovi più nel contesto che nella dottrina. Si consideri, al proposito, l'entusiastica risposta con cui Pera ringrazia il papa: «Santità, le sue parole sono per noi un punto di riferimento e un'agenda culturale e politica». E ancora: «Ci riconosciamo nel principio del primato della persona e della dignità dell'uomo che sono anteriori alle legislazioni degli stati. Ci riconosciamo nei valori di un'etica che abbia a fondamento l'essenza della natura umana».

Ci dobbiamo chiedere, allora, chi è il soggetto e quale il motivo di questo riconoscimento, di questo rinnegamento di una sana laicità. La risposta esige uno sguardo a tutto quel mondo e qluella cultura che, al di qua e al di là dell'Atlantico, sente la necessità di ancorare la vita sociale e politica ad una trascendenza che ne tamponi i difetti e i limiti e ne sani le ferite. Una dichiarazione di fallimento di quella laicità che era sembrata caratteristica fondante della cultura e della politica moderna. Fallimento anche del dialogo con le varie forme di ateismo. Necessità di un «dio con noi», come era scritto sui cinturoni dei nazisti e come oggi amano ripetere i neoconservatori.

Tempi duri, dunque, per i laici, soprattutto se, come sembra da alcuni segnali indicatori, il nuovo papa si impegnerà a benedire i neoconservatori. Tempi duri anche per il dialogo fra i cristiani e fra le religioni, se è vero che ogni dialogo si deve basare sull'eguaglianza delle posizioni, non sulla supremazia di una sulle altre.

E ancora: l'abbraccio fra Pera e il papa renderà più difficile per la chiesa italiana mediare fra destra e sinistra, mantenendo quella equidistanza che fino ad oggi la ha caratterizzata, anche se non sempre con successo e coerenza.

 

FILIPPO GENTILONI      il manifesto 21/10/05