Dio e Cesare,
separati ma non troppo
Colpa del grande gelo dell’economia mondiale e del maltempo che imperversa sulla
penisola, la
visita di sabato di Benedetto XVI all’ambasciata italiana presso la Santa Sede è
stata derubricata da
tutti i mass media a un incontro di routine, a un flash di agenzia ripreso solo
nelle pagine interne dai
più importanti quotidiani.
Eppure, in tempi normali, l’evento sarebbe emerso in tutta la sua importanza,
non tanto perché negli
ultimi 60 anni solo tre Papi prima dell’attuale hanno con questa visita
sottolineato le relazioni
speciali che legano la Chiesa al popolo italiano; ma soprattutto per
l’impegnativo, seppur breve,
discorso pronunciato da papa Ratzinger nella circostanza sul ruolo della
religione nella sfera
pubblica.
L’intento immediato del Pontefice era di confermare il clima positivo oggi
esistente tra le due
sponde del Tevere, al punto da auspicare che tale modello possa essere di
esempio per altre nazioni
e per le relazioni internazionali. Ma oltre a questo riconoscimento, egli ha
richiamato la distinzione
di fondo che dovrebbe governare i rapporti tra Stato e Chiesa e favorire le
migliori condizioni per
una presenza feconda della religione nella società. In fin dei conti, ha
ricordato il Papa, si tratta di
riproporre l’icona evangelica del «dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò
che è di Dio».
Come a dire che è nella fine della commistione tra potere temporale e potere
spirituale, nello
scioglimento dei legami fra «trono» e «altare», che entrambe le sfere (Stato e
Chiesa, politica e
religione) possono meglio operare per il bene comune. Ciò vale non soltanto per
il nostro Paese o
per l’Occidente; ma per tutte le aree del mondo in cui la confusione tra potere
politico e sfera
religiosa ancora oggi produce esiti nefasti.
L’idea di una libera Chiesa in un libero Stato viene dunque riproposta con forza
da papa Ratzinger,
come una netta presa di distanza da un passato controverso che deve essere
archiviato. Al di là dei
compromessi e dei legami ambigui tra politica e religione che hanno
caratterizzato la storia
dell’Occidente, la Chiesa ammette che la struttura fondamentale del
cristianesimo prevede la
distinzione tra Stato e Chiesa, l’autonomia delle sfere temporali e spirituali,
e che è in questa
condizione che la religione ritrova le energie migliori per assolvere alla sua
funzione specifica nel
mondo. A detta del Papa, la Chiesa non solo riconosce e rispetta la distinzione
tra Dio e Cesare, «ma
la considera come un grande progresso per l’umanità».
La formula «Dio e Cesare separati» evocata da Ratzinger non si presta comunque a
letture
semplicistiche. Il brano evangelico richiamato dal Papa è da sempre un passo
ostico per l’esegesi
cristiana. Nell’interpretazione oggi più accreditata ciò non significa che
le due sfere (temporale e
spirituale) siano del tutto indipendenti o senza gerarchie. Dietro l’indicazione
di Gesù di «dare a
Cesare ciò che è di Cesare» vi è non solo il rifiuto del cristianesimo di
pretendere una giurisdizione
sulla società secolare, da cui deriva l’accettazione delle leggi della città
terrena; ma anche l’idea che
la Chiesa non è l’insieme della società, quanto una comunità distinta e
volontaria, preoccupata
soprattutto di testimoniare e diffondere il messaggio cristiano nel mondo.
Di qui il richiamo a «dare
a Dio ciò che è di Dio», riconoscendo che questo è il compito prioritario per i
credenti, chiamati ad
accettare le «giuste» leggi della terra in cui vivono ma con uno sguardo rivolto
al cielo. I cristiani,
dunque, sono sospesi fra terra e cielo, ma il rispetto delle leggi di Cesare
avviene solo a condizione
di riconoscere il primato di Dio nel mondo.
Da questi accenni è evidente quanto il pensiero di Benedetto XVI sia affascinato
dal modello degli
Stati Uniti, da una terra di grande libertà religiosa, dove le religioni - come
già aveva notato
Tocqueville - hanno larga cittadinanza nella sfera pubblica e alimentano l’ethos
della nazione.
Diversamente da quanto accade in Europa, in quel contesto non si pretende di
vivere «come se Dio
non ci fosse»; ma l’accettazione della presenza delle Chiese e dei gruppi
religiosi - pur separati dal
potere politico - è un elemento fondante la vitalità della nazione.
Tornando a noi, è fin troppo ovvio che i principi esposti dal Papa possano
ottenere largo consenso
pure nel mondo laico, ma anche dare adito a critiche e riserve per il modo in
cui trovano
applicazione nella società. Molti riconoscono la grande funzione sociale e
spirituale svolta dalla
Chiesa cattolica in Italia e il suo impegno per il bene comune; ma in
parallelo si chiedono se
davvero in Italia vi sia quella situazione di piena distinzione tra Dio e Cesare
evocata dal pensiero
del Papa. Perché una Chiesa libera in un libero Stato dovrebbe aver bisogno di
un’attenzione
privilegiata da parte del potere politico? Non c’è il rischio che - al di là
dei principi affermati - si
produca un legame strisciante tra Stato e Chiesa che può condizionare quest’ultima
nella sua
missione?
Franco Garelli La Stampa 15
dicembre 2008