Il Dio di Bush e
Obama
Forse è il momento giusto per riflettere sulla religiosità di Bush e su quella
di Obama. Siamo
all'indomani del viaggio del presidente degli Stati Uniti a Roma e del suo
incontro con Benedetto
XVI. E siamo nelle settimane in cui si concretizzerà anche formalmente la
candidatura democratica
di Barak Obama.
Sembra quasi l'intersezione miracolosa di due periodi diversi della storia che
si abbracciano nel
presente.
Una cosa è sicura: Obama è il nuovo simbolo del nuovo, mentre Bush il vecchio
simbolo
del vecchio. Vi è però almeno un fattore unificante, qualcosa che li tiene uniti
ineluttabilmente: si tratta dell'americanismo religioso. Benché, infatti, si
muovano in uno
spazio politico opposto, quasi agli antipodi -conservatore e texano Bush,
progressista e
afroamericano Obama -entrambi, però, non potrebbero dissociare mai la loro
immagine
politica da quella religiosa.
Questo fattore comune ad entrambi, tuttavia, non è per nulla un fattore in
comune per
entrambi.
Per Bush l'11 settembre è stato un evento provvidenziale. Qualcosa di simile ai
signa
temporum del passato. La sua risposta politico-militare all'evento tragico di
minaccia
globale del terrorismo si è tradotto in una campagna bellica complessiva al
nemico di Dio
e dell'Occidente. Lo spartiacque tra Est ed Ovest è divenuto una delimitazione
degli spazi
geografici e religiosi divisi tra le civiltà: quella cristiana, da un lato, e
quella non
cristiana, dall'altro. Una visione geopolitica quantomeno discutibile. Così
tanto
problematica da aver trovato il maggiore oppositore proprio in Papa Giovanni
Paolo II. Le
conseguenze di quelle scelte le abbiamo viste tutti nel "sotto tono" di questa
breve visita
romana di Bush, quasi un canto del cigno malgrado la cordialità formale.
Dall'altro lato, invece, con Obama ci troviamo davanti ad un modo opposto di
concepire la
dimensione religiosa nella propria vita e in quella altrui. Si tratta di una
diversa
«missione» della politica nel globo. Visitando proprio la scorsa settimana una
comunità di
credenti, Obama ha rivelato al pubblico che la religione è stata sempre per lui
il veicolo
più efficace per scoprire e comprendere i valori universali che fondano il suo
impegno
civile e il suo programma di riforma dell'America.
In fondo chi se non un pazzo o un religioso potrebbe credere di candidarsi
contro i Clinton
e contro i Repubblicani, e magari batterli pure?
Davanti alla staticità monolitica e trionfalistica di Bush, Obama appare come
l'incarnazione della novità, il volto riformista dell'America: un'immagine
sorridente e
popolare che reclama il suo futuro anche per il nostro bene. A noi europei,
d'altra parte,
Obama piace. E piace perché quello di Obama appare veramente come un fenomeno
inconsueto, anomalo, pieno di freschezza. In una visione in cui la religiosità
si iscrive
soltanto nell'aspetto solenne della gerarchia ecclesiastica, forse egli appare
addirittura
blasfemo, per non dire eretico. Ma la forza dell'immagine politica di Obama è
proprio la
naturale traduzione che egli propone dei valori religiosi creduti in un impegno
politico
personale di trasformazione e di miglioramento pubblico della società. Non si
tratta,
quindi, di obbedire ad una voce che dal passato indichi cosa deve fare la
società per
conservarsi, ma l'emergere repentino e sfavillante di una forza e di una
vitalità civile a
partire dal cuore stesso dell'America. Ben diverso da quel «farsi perdonare» la
fede con
cui Kennedy mosse i suoi primi passi politici.
Così gli Stati Uniti ci presentano, in definitiva, un duplice volto: quello
delle grandi
identità, dei grandi riferimenti rassicuranti, e quello delle grandi aspirazioni
universali di
libertà. Quale sia la strada migliore emergerà dal succedersi delle vicende.
Bisogna
vedere, infatti, se Obama convincerà gli elettori clintoniani del suo partito e,
soprattutto,
se convincerà i cittadini americani nel loro insieme a non privilegiare il
consolante
McCain.
Di sicuro, però, a prescindere dal tipo di percorso che inizierà a novembre, gli
Stati Uniti
hanno risolto da sempre alla radice un problema che per noi appare invece
insormontabile:
quello della laicità. Non soltanto Obama esprime un pensiero politico che si
oppone ad
ogni forma di fondamentalismo religioso e di conservatorismo teo-con, ma egli
propone
un'alternativa forte a tutte le forme di esibizione strumentale della religione
che vengono
fatte di solito anche a sinistra. Il tutto partendo da una legittima motivazione
religiosa.
In questo senso, la visione politica di Obama è espressione pubblica dei valori
religiosi, i
quali tuttavia sono corrispondenti alla più schietta e più autentica laicità.
Non viene usata
la politica come strumento religioso di parte, ma viene fatta vivere la
religione su di un
piano che è autenticamente politico, autenticamente democratico, animatamente
riformista,
senza ostentazioni confessionali e in modo condivisibile anche da chi non crede
per nulla.
Chissà se sarà mai realmente possibile anche da noi vedere qualcosa di simile.
Benedetto Ippolito il Riformista 14 giugno 2008
Benedetto Ippolito