Il dio di Barack
Questa elezione mescola elementi della cultura della celebrità con forme
nuove di democrazia e sentimenti profondi, quasi religiosi. Il nuovo presidente
è diventato come un test delle macchie di Rorschach universale: ognuno ci vede
quello che vuole vedere
L´inaugurazione di Barack Obama, oltre a molte altre pietre miliari (il primo
presidente nero della storia americana) segna anche un evento rivoluzionario
nella storia dei media mondiali. Grazie alla Rete, che è entrata nelle vite
quotidiane di milioni di persone in tutto il mondo solo negli ultimi anni, e
grazie alla centralità assoluta degli Stati Uniti in questo particolare momento,
essendo l´unica superpotenza di un mondo fortemente globalizzato, l´elezione e
l´inaugurazione di Obama sono diventate un evento mondiale come nessun´altra
elezione americana era mai stata prima d´ora.
Bisogna tornare forse al giubileo della regina Vittoria, il cinquantesimo
anniversario del suo regno, quando la Gran Bretagna regnava su metà del pianeta
in una sorta di globalizzazione ante litteram, per trovare una cerimonia
politica nazionale che ha avuto un seguito tanto ampio. I sovrani di tutta
Europa, undici primi ministri coloniali e numerosi maharaja indiani
parteciparono a quell´evento, che fu seguito dalla neonata stampa quotidiana, di
ogni parte del mondo.
Ma
l´elezione di Obama naturalmente è qualcosa di diverso, che mescola elementi
della cultura contemporanea della celebrità con forme nuove e innovative di
democrazia partecipativa e sentimenti profondi, emotivi, potremmo dire quasi
religiosi. «Un incantesimo che aprirà una nuova America» recitava oggi il titolo
del quotidiano britannico The Guardian. Molti non americani dicevano, un po´ per
scherzo, durante la campagna elettorale, che anche gli altri paesi dovevano
avere la loro quota di voti elettorali nelle elezioni americane, considerando
l´impatto del paese sugli affari mondiali.
I giovani francesi, tedeschi e italiani hanno seguito la candidatura di Obama e
hanno esultato per le sue vittorie come se alle elezioni nazionali avesse vinto
il loro partito. Io guardo costantemente le pagine Facebook di italiani -
giovani e vecchi - con obamerie varie, simboli e messaggi, come se lui fosse uno
"di casa". In un esempio di transfert estremo, la leader dei socialisti
francesi, Ségolène Royal, avrebbe detto che la sua campagna aveva «ispirato»
Obama e che lui aveva copiato le sue tattiche, suscitando una certa dose di
ilarità e ridicolo in Francia. «Evidentemente c´è stato un problema di
traduzione e Obama ha frainteso i suoi insegnamenti, perché lui ha vinto», ha
commentato un lettore sul sito di Le Monde. Un editorialista del Times londinese
ha scritto: «Domenica sera ho sognato Barack Obama. Milioni di persone lo
sognano».
Obama è diventato una specie di test delle macchie di Rorschach universale, dove
ognuno vede quello che vuole vedere. Al tempo stesso, assistere alla curiosa
coreografia dell´inaugurazione di Obama - per molti non americani è la prima
volta - potrebbe produrre uno shock.
Il
giuramento sulla bibbia di Lincoln, i riferimenti a Dio, la lunga preghiera che
ha preceduto il discorso del neopresidente, lo sfrontato patriottismo e il
sentimento sublime di una finalità nazionale specificamente americana sembrano
qualcosa di profondamente estraneo per molti europei. Oltre a esporre elementi
familiari del suo programma, Obama ha fatto riferimenti specifici alla grandezza
dell´America, a Dio e ai padri fondatori.
Quello a cui stanno assistendo è una tradizione retorica peculiare ma
importantissima, appropriatamente definita la «religione civile dell´America».
Secoli di guerre di religione hanno bandito Dio dal discorso pubblico in gran
parte dell´Europa, e il flagello del fascismo ha reso il nazionalismo qualcosa
di molto controverso sul vecchio continente: per questo la liturgia civica
americana sembra qualcosa di arcaico ed estraneo. (Un articolo su queste pagine,
appena qualche giorno fa, sottolineava l´assenza della religione civile in
Italia.)
Più di quarant´anni fa, il sociologo americano Robert Bellah scrisse un saggio
fondamentale intitolato La religione civile in America, partendo dai numerosi
riferimenti a Dio e a un fine superiore presenti nel discorso inaugurale di John
Kennedy.
Kennedy iniziò con queste altisonanti parole: «Oggi non assistiamo alla vittoria
di un partito, ma alla celebrazione della libertà, che simboleggia una fine,
oltre che un inizio, che esprime il rinnovamento, oltre che il cambiamento.
Eppure le stesse convinzioni rivoluzionarie per cui i nostri antenati hanno
combattuto sono ancora in forse in tutto il mondo, la convinzione che i diritti
dell´uomo non vengono dalla generosità dello Stato ma dalla mano di Dio».
Essendo situate generalmente all´inizio e alla fine del discorso, queste
pennellate religiose potrebbero essere liquidate come specchietti per le
allodole, ammiccamenti agli elettori religiosi bisognosi di rassicurazione.
Invece, Bellah sosteneva che rivestivano un ruolo centrale nel discorso di
Kennedy e nel linguaggio politico americano fin dai tempi della Dichiarazione di
indipendenza di Jefferson: «Noi consideriamo manifeste tali verità, e cioè che
tutti gli uomini sono stati creati uguali, che sono stati dotati dal Creatore di
determinati diritti inalienabili, che tra questi diritti c´è la vita, la libertà
e la ricerca della felicità».
Abramo Lincoln, il presidente preferito da Obama, era intriso del linguaggio di
Jefferson e di quello della Bibbia quando creava la retorica pregnante della
guerra civile americana, che fornì il carburante emotivo per la guerra, per
salvare l´unione, abolire la schiavitù, ma anche promuovere la riconciliazione
nazionale dopo la fine del conflitto. «Con malizia verso nessuno, con carità
verso tutti», disse Lincoln nel suo secondo discorso inaugurale. Martin Luther
King usò il linguaggio jeffersoniano e la cadenza biblica per radunare milioni
di persone in difesa della causa dei diritti civili.
Naturalmente, come riconosce Bellah, la religione civile dell´America non
sempre è stata usata a fin di bene. È stata usata come giustificazione
per il Manifest Destiny [la "missione" degli Stati Uniti di espandersi nel
continente americano], la guerra contro il Messico e per la negazione dei
diritti civili e politici degli indiani. Ovviamente, George Bush ha usato una
sua forma di religione civile con i suoi discorsi sull´«asse del male» e la sua
affermazione che la libertà era un diritto divino che l´America aveva il dovere
di diffondere in tutto il mondo.
Ma considerando la profonda forza emotiva di questo linguaggio, e alla sua
capacità di fissare le priorità nazionali - la guerra alla povertà, la corsa
alla Luna, i diritti civili - Obama è sempre stato estremamente abile
nell´attingere al filone jeffersonian-lincolnian-kennedian-martinlutherkinghiano
di questa tradizione. Il nuovo presidente cerca di sfruttare la forza di
questa tradizione per contrastare la versione più nazionalistica usata da Bush,
e per metterla al servizio del suo nuovo e diversissimo programma.
Alexander Stille Repubblica 21.1.09