Il dio dell'odio

Mi pare necessario, di questi tempi, ricordare con chiarezza che tutte le religioni sono, proprio in quanto religioni, un canale attraverso cui è possibile esprimere con estrema forza l'odio. Avere un dio serve a moltissime cose e tutte danno parecchio conforto. Tra queste bisogna mettere al primo posto l'idea che un'offesa a me è sempre un'offesa al mio dio. Io sono debole, forse vile, forse meno capace del mio avversario. Lui perciò mi umilia, mi schiaccia, mi toglie tutto quello che ho, anche la dignità. Allora provo odio, ho desiderio di vendetta, voglio fare scempio del suo corpo infame. Bene, la mia unica consolazione, in quel caso, è pensare che il mio dio è offeso quanto me e sperimenta il mio stesso odio. Lui però, a differenza di me che sono piccolo, è grande e schiaccerà il mio nemico, quello che per adesso primeggia. Presto la gerarchia si rovescerà e il mio persecutore sarà l'ultimo, io il primo. Non solo le rissose divinità omeriche hanno questa funzione primaria.

Ma anche il dio unico della tradizione giudaico-cristiana. Ogni dio, proprio in quanto dio, assume su di sé il sentimento dell'odio, il bisogno di vendetta, e così fa in modo che io mi acquieti, mi raffreddi. Questo dio non elimina i miei cattivi sentimenti e gli altrettanto cattivi propositi, ma se li attribuisce e nel farlo mi persuade che faccio bene ad attendere: la vendetta è un piatto che va servito freddo, basta sedere sulla riva del fiume e presto passerà il cadavere del mio nemico. Una delle funzioni divine, quindi, è proprio lo smistamento dell'odio e del bisogno di violenza. Come il ragazzino soggetto a soprusi sogna di rifarsi quando interverrà il suo fratello maggiore o l'amico grande e grosso che mena impavidamente, l'uomo schiacciato si rivolge al suo dio e aspetta che lui provveda. C'è insomma un dio punitore sempre, in ogni religione, che presto o tardi si manifesta come dio degli eserciti. Il mio compito è non fargli torto, agire sempre nel suo nome più che nel mio, evitare che rompa il suo patto con me e mi abbandoni. Questo, si sa, non è affatto in contraddizione con un dio dell'amore, del perdono, del dialogo. È il dio che preferiamo, naturalmente, specialmente se siamo stati bene allevati e abbiamo la propensione a migliorare noi stessi e gli altri. Persino se non abbiamo un dio, amiamo questo dio che ci vorrebbe tutti testimoni del suo amore per gli ultimi, non solo i poveri, ma i reietti, i braccati dal male che fanno a loro volta del male. Questo dio d'amore e di perdono è il progetto più alto che sia nato dall'interno delle religioni. Ma non deve far dimenticare il dio dell'odio e della violenza, perché altrimenti tutto si confonde e pare che ci siano le religioni buone e quelle cattive. Anche il dio dell'amore e del dialogo resta sempre, in ultima istanza, un dio punitore, un dio che promette ai suoi fedeli un risarcimento, un riscatto, un regno, dal quale resteranno esclusi tutti quelli che non hanno voluto o saputo eleggerlo. Questa persistenza del dio del Giudizio è ciò che rende potenzialmente pericolosa ogni fede religiosa.

Certo, si può obiettare che il dio che fa giustizia è pur sempre un dio d'amore, nient'affatto un dio dell'odio e della violenza. Ma è proprio un'obiezione del genere che oggi ci dovrebbe allarmare. Il pericolo delle religioni viene dal loro versante apocalittico che svela come il dio d'amore sia sempre pronto a mutarsi nel dio del Giudizio. Voglio perciò azzardare che le fedi religiose, proprio per disinnescare il loro lato esplosivo su cui fanno leva da sempre i poteri mondani, dovrebbero cancellare dalla loro ragion d'essere il bisogno di giustizia e potenziare invece nei fedeli la capacità di riconoscere l'ingiustizia e correggerla subito o almeno alleviarla.

Il dio più pericoloso per il genere umano, oggi specialmente, con le atomiche già negli arsenali e le altre in via di realizzazione, è il dio che assume su di sé i torti fatti ai suoi fedeli e promette giustizia. In un mondo in cui la disperazione di massa è sempre più trasformabile politicamente e militarmente in fuoco e fiamme per via religiosa, il patto del fedele col suo dio tende continuamente a trasformarsi in patto di rivalsa, in patto di annientamento. L'amore quindi sbiadisce e prevale l'odio per tutta la modernità. I fondamentalismi - tutti - non sono più il versante fanatico delle religioni, ma «le ragioni divine» gridate contro il mondo contemporaneo sazio, annoiato, corrotto, che si è introdotto nelle stesse fedi e le ha annacquate. I fondamentalismi diventano il patto rinnovato col dio grande, che punirà presto, caso mai per mano dei suoi servi più vigili, i troppi cedevoli traffici degli stessi fedeli con la carnalità disperante, senza più spirito, di oggi. Questo patto non sa che farsene del dio d'amore e di dialogo, che almeno è il simbolo di un rovello quotidiano logorante da parte di chi crede. Perciò questo dio sbiadisce. Compare, più urgente, più attuale, quello che invece vuole le donne, per esempio, tutte pronte a confessare la loro colpa di sterminare tramite aborto vite innocenti; o quello che si erge contro ogni immedesimazione relativizzante nell'Altro, nelle verità dell'Altro, tradendo la Verità. Il fatto è che questo davvero, pur nella differenza degli occhiali con cui lo guardiamo, è un mondo abbastanza brutto, esposto a tutte le apocalissi. Perciò vi hanno facile gioco quelli che vogliono menare le mani persuadendo la gente che sia un dio, offesissimo, a volerlo. La forza crescente del versante pericoloso delle religioni è nella più disperante assenza di politiche capaci, subito, di rendere il mondo almeno un poco meno immondo.

 

DOMENICO STARNONE    Il manifesto 10/2/2006