Dio, patria e famiglia

 Dicevano gli antichi che quelli che gli dei vogliono far perdere prima li fanno impazzire. Avevano torto: qui più impazziscono e più continuano a vincere. Forse perché insieme con loro stiamo diventando tutti matti e siamo saliti come un sol uomo su una macchina del tempo che scivola a rotta di collo verso un passato sempre più remoto. Nell'universo del «di tutto di più», non basta il già demodé revisionismo anti-antifascista: «le ideologie del Novecento sono finite», ha proclamato Giulio Tremonti al meeting di Comunione e Liberazione.
E con esse non solo il comunismo e il fascismo, ma «anche il liberismo. Bisogna tornare ai grandi valori dell'Ottocento» - o anche più indietro, al grido sanfedista di «Dio patria e famiglia». In un certo senso, già c'eravamo avviati. Basta pensare alla straordinaria idea di abolire i contratti collettivi e tornare ai bei tempi del contratto individuale, nella settecentesca finzione di uguaglianza contrattuale fra lavoratore e impresa. O alle lambiccate leggi elettorali che a mano a mano erodono quell'obbrobrio novecentesco chiamato suffragio universale con la folle idea che una testa valesse un voto. O alla restaurazione dello ius speciale dell'impunità per il sovrano. O al ritorno all'educazione gestita dalla Chiesa e articolata per censo, i poveri all'avviamento e i benestanti al liceo privato. O all'idea che esistano razze inferiori da rinchiudere ed emarginare. Fino adesso facevamo finta che tutto questo si chiamasse modernità, governabilità, mercato - liberismo, appunto. Grazie a Tremonti e all'aria che tira, adesso possiamo chiamare le cose col loro nome: restaurazione e utopia reazionaria. Anche questa è libertà. Però Tremonti deve stare attento. Certo, anche l'800 aveva le sue magagne - schiavitù, colonialismo... - ma non credo che lo disturberebbero più di tanto. Piuttosto, nel suo precipitoso viaggio nel tempo rischierebbe di imbattersi in ostacoli di altro genere, magari, di andare a sbattere su una cosa ottocentesca chiamata Comune di Parigi, su un brigante lucano di nome Ninco Nanco, su un dimenticato filosofo ottocentesco chiamato Carlo Marx, e persino su un capellone anticlericale in camicia rossa di nome Giuseppe Garibaldi.
Su questo, per fortuna, ci stiamo già lavorando. Non bastasse la Lega che ce l'ha con Garibaldi per avere contribuito a unificare l'Italia, adesso ci si mettono anche i nostalgici nazionalisti siciliani. Così, il sindaco di Capo d'Orlando ha preso letteralmente in mano il piccone e ha demolito la targa della piazza del paese intitolata a Giuseppe Garibaldi. Intanto un altro sindaco della stesa sventurata terra, a Comiso, ha deciso che intitolare l'aeroporto al comunista Pio Latorre, ucciso dalla mafia (a proposito, stiamo tranquilli: nell'800 la mafia c'era già) è un'offesa all'identità patriottica, e restaura il nome assegnatogli ai bei tempi fascisti del 1937, quello di un generale d'aviazione morto in Etiopia - non senza, speriamo, avere debitamente irrorato quel primitivo paese africano con civilizzatori gas e bombe a frammentazione.
In fondo, il sindaco di Capo d'Orlando è al passo coi tempi: la cosa ottocentesca su cui stiamo tutti lavorando alacremente è la restaurazione dell'Italia pre-1860, pluralità di staterelli di dimensione regionale e comunale, con al centro il potere temporale dei papi tanto rimpianto da Bagnasco (io comunque mi iscrivo fin d'ora al Granducato di Toscana). Perché dire '800 è già dire troppo: il diciannovesimo secolo che ha in mente Tremonti è quello degli inizi, della Santa Alleanza, del trattato di Vienna, di Talleyrand e di Metternich, di quelle belle guerre fra piccole grandi e medie potenze di cui infatti già assistiamo al revival. Ma una volta preso l'abbrivio, perché fermarsi? Saltiamo a pié pari i blasfemi lumi del '700, soffermiamoci un momento sui bei tempi della controriforma seicentesca, e visto che ci siamo arriviamo felicemente a quel «Medioevo prossimo venturo» di cui da tanto si favoleggia. E che tanto piace alla Lega e Alberto di Giussano. Con un problema, però: dopo tutto, nel Medioevo c'erano Francesco (che non cacciava i mendicanti da Assisi), Dante, Petrarca, Boccaccio, Giotto, Simone Martini... Oggi temo che non ci bastino Tremonti, Sgarbi (altro sindaco siciliano, a proposito) o Marcello Veneziani. C'è rischio che a forza di andare nel passato ci si accorga di quanto fa schifo il presente. E se siamo in tanti ad accorgercene, chissà che non succeda - come dicevano agli antichi - un Quarantotto...

Alessandro Portelli         Il manifesto 29/08/08