Dietro la politica del consenso facile

 

In alcune catene di supermercati in Italia già esiste il giorno del nonno. Un giorno - a volte due - a settimana, durante i quali i pensionati fanno la spesa con lo sconto. Gli strateghi del marketing di quei supermercati non hanno messo tetti di reddito o carte di identificazione: sanno che difficilmente un manager in pensione si metterà in coda per comprare pasta e scatolame col 10% di sconto. E comunque quel che a loro interessa è attrarre il cliente, non è che hanno tra i loro scopi quello di fare giustizia sociale. Forse Giulio Tremonti, ministro dell'Economia, si è ispirato al marketing della grande distribuzione più che ai ricordi delle tessere annonarie del passato, quando ha introdotto nella manovra economica del governo la «card» per la spesa dei pensionati poveri. 400 euro di spesa l'anno, per un milione e duecentomila pensionati. Nessun aumento di pensioni troppo basse, nessun intervento su prezzi impazziti: ma soldi, in contanti o meglio in moneta elettronica, da spendere in beni di prima necessità. Seguiranno accordi con la grande distribuzione per promozioni ulteriori. Ma intanto il marchio commerciale della manovra è impresso: carità per i poveri.

 Ritorno all' 800

«La manovra approvata in soli 9 minuti dal consiglio dei ministri ha lanciato un messaggio eloquente e forte: non esiste più uno stato sociale; d'ora in poi esisteranno solo politiche di soccorso per i bisognosi», ha scritto Nadia Urbinati su La Repubblica all'indomani dell'annuncio della «tessera di povertà». La controprova più evidente è nella rassicurazione, fatta dallo stesso governo, sul fatto che la tessera sarà distribuita dalle Poste con garanzie di riservatezza. Eh già: a nessuno piace esporre l'etichetta di «povero» sul portone della propria dignitosa abitazione o sul bavero della propria vecchia giacca. Soprattutto se a questa condizione di povertà si è giunti dopo una vita di lavoro duro. Ma questo fa la tessera: dà la qualifica burocratica al povero, che, privacy o non privacy, dovrà tirarla fuori al supermercato per pagare il pacco di pasta. E difficilmente la camufferà porgendola alla cassiera con disinvoltura insieme alla carta di credito.

C'è molto del ministro Tremonti, in questa «poverty card»: un certo clima emergenziale da economia di guerra, un grande fiuto per le politiche di immagine, una forte spregiudicatezza nel vendere la propria merce politica (in fondo, di ben pochi soldi si tratta nel bilancio familiare di un anno, e anche nel bilancio pubblico italiano). E soprattutto, c'è una concezione del welfare che salta a pié pari il Novecento per tornare all'Ottocento: la carità, sentimento privato che si fa politica pubblica e cancella i diritti dei cittadini per riconoscere solo, in modo compassionevole e discrezionale, i bisogni dei poveretti. Le dame di San Vincenzo assunte dallo Stato e infilate in un chip elettronico.

Populismo al governo

Però piace, si dice. Quei pensionati che avranno la carta magari cercheranno di andare a fare la spesa in orari non di punta per non farsi vedere, ma saranno contenti di risparmiare qualcosa. Così come piace - si dice - la voce grossa del ministro con petrolieri e banche. E piace, certo che piace, l'eliminazione della tassa sulla prima casa. Tutti pezzi singoli di un quadro più generale di politica del consenso facile, della quale poco si studiano e si sanno gli effetti di medio periodo ma si esaltano quelli di brevissimo periodo: l'indice di popolarità del governo cresce. È il populismo, bellezza. Ma poiché non tutti si accontentano degli annunci, e c'è molta gente desiderosa di andare a guardare dentro i contenuti delle politiche - al di là dell'effetto immediato sui propri portafogli, e al di là dei titoli acritici dei Tg -, sarà meglio cercare di capire, misura per misura, cosa c'è sotto l'abito scin-tillante del populismo al governo.

 Una piccola mancia

La Carta per i poveri, per cominciare. Suo scopo è quello di alleviare la situazione economica delle famiglie con anziani, di fronte al crescente carovita. È chiaro che all'origine del problema di quelle famiglie c'è la combinazione di due fattori: pensioni troppo basse, prezzi che crescono troppo. Alle prime non ha posto rimedio nessuna riforma delle pensioni delle tante che si sono succedute negli ultimi decenni, né ovviamente porrà riparo la carta elettronica. Quanto ai prezzi, la ripresa dell'inflazione degli ultimi mesi è dovuta alla combinazione di fattori esterni - lo choc mondiale dovuto all'aumento dei prezzi dell'energia e delle materie prime - e interni. Tra questi ultimi, la catena della produzione e distribuzione in Italia, che ha speculato sulle tensioni internazionali aumentando i prezzi assai prima e assai più di quanto i costi lo giustificassero. Cose complicate, troppo lunghe da spiegare figuriamoci da risolvere. E infatti non ci si prova nemmeno, e in teoria la carta per i poveri - ove funzionasse a pieno, cioè fosse assai più estesa e consistente - potrebbe addirittura alimentare il meccanismo perverso delle speculazioni sui prezzi.

Ma il governo di destra stravittorioso alle elezioni non si limita a «dare» ai poveri una piccola mancia. Fa di più: dice che l'ha presa dai ricchi, dalle categorie più odiate del momento, ossia petrolieri e banchieri. I primi, perché identificati con i beneficiari di tutti i soldi che paghiamo quando facciamo il pieno. I secondi, perché stanno strozzando tante famiglie italiane con mutui a tassi crescenti. Della tassa sul petrolio si aspetta di capire quando e quanto sarà trasferita sui prezzi.

 Un grosso regalo

Quanto alla velleità di tagliare le unghie alle banche, più che di un dispetto pare si sia trattato di un manicure. Dopo i primi fumi - che hanno garantito una giornata di grande pubblicità per il governo, che pareva avesse con una bacchetta magica riportato le rate del mutuo ai livelli di due-tre anni fa. In realtà, l'unica novità che le famiglie indebitate si sono trovate davanti - anzi si troveranno, perché ancora l'annuncio si deve tradurre in realtà - è una nuova offerta commerciale da parte della propria banca. Un'offerta standard per rinegoziare il mutuo: abbassando la rata e allungando la durata. Così, la banca mette al sicuro un credito a rischio e il cliente diluisce il problema negli anni. Ma alla fine paga di più. Dal punto di vista individuale, può essere un'offerta di quelle che non si possono rifiutare: chi non ha i soldi per pagare accetta la rinegoziazione non perché la trova conveniente ma per necessità. Ma dal punto di vista collettivo, l'aver inventato una convenzione-standard, una megasoluzione uguale per tutti ha salvato le banche da effetti spiacevoli di quella strana bestia chiamata concorrenza. Quella per cui, magari, può arrivare un'altra banca a sostituirti il vecchio mutuo con un altro a condizioni migliori. Quella che le banche non si sono fatte nel momento delle vacche grasse, e grazie all'accordo col governo non si faranno adesso.

Tutti i giornali, che fossero a favore o contro, e prima ancora di sapere esattamente cosa ci fosse dentro, hanno accettato di battezzare come «Robin tax» la nuova tassa sui profitti dei petrolieri. Altrettanto hanno fatto tg e radio. Certo quella di Robin Hood è un'immagine forte, e simpatica anche. E i tempi cambiano, e anche i comportamenti umani, per cui è perfettamente possibile che il fiscalista dei ricchi diventi il loro rapinatore (fiscale). Però è strana, la fretta e la unanimità con cui si è accettata quest'immagine, invece di andare a indagare sull'esatto contenuto del «furto» di Robin Tremonti ai «ricchi». E invece di chiedersi come mai i «poveri» sono tornati così ufficialmente tra noi, cessando di fare scandalo per diventare poveri di Stato.

Roberta Carlini        Rocca 14/2008