Diamo un segno di vita
È arrivato il momento di dire basta.
Basta allo spettacolo immondo di una morte infinita data in pasto ai mercantaggi
clientelari nella buvette di Montecitorio. Basta al comportamento osceno del
nostro primo ministro che fa prove di golpe sul corpo inanime di una donna di 37
anni che da troppo esiste senza più essere. Un premier che sfrutta per
calcoletti politici lo strazio di una famiglia. Un magnate delle tv che per la
prima volta in vita sua non presta attenzione all'audience, visto che l'80%
degli italiani concorda con la famiglia di Eluana Englaro.
Un cuor di leone che minaccia un colpo di stato, in pratica l'impeachment del
presidente della Repubblica, se il Quirinale non gli consente subito di calare
le braghe in tutta libertà ai dettami del Vaticano.
Perché, certo, questo pontificato è intollerabile. La sua protervia è
inaudita. In nessun altro paese al mondo la Santa sede si permetterebbe nemmeno
la centesima parte di quanto ci impone. Si è detto che Benedetto XVI sta
causando al cattolicesimo e alla sua immagine nel mondo quel che George Bush ha
fatto agli Usa. Ma sono affari del Papa, e non sta a noi insegnargli il
mestiere: lo esercita come pensa meglio, anche col cinismo di buttare tutto il
peso della soglia di Pietro sul corpo inerme di una donna.
Quello che invece ci fa vergognare di essere italiani è il servilismo dei
nostri ministri che scodinzolano e riportano l'osso al porporato di turno, è
un governo che per decreto sancisce la violazione delle nostre leggi, delle
sentenze, della volontà della famiglia, e del comune sentire del popolo
italiano.
D'altronde, che ne può capire del dolore umano un politico che crede solo nel
lifting, nella botulina e nel tricotrapianto? Ma anche questo governo in fondo
fa il suo mestiere di Lazarillo de Tormes, di servo che diventa padrone a furia
di servire. Ed è tanto più preso dal delirio di onnipotenza quanto più è servo.
E Silvio Berlusconi è talmente prono al Vaticano da prendersi per il segretario
personale di Dio, tanto da arrogarsi lui la decisione sull'altrui vita e morte,
e affermare che Eluana «potrebbe anche procreare figli». Quel che davvero ci
fa vergognare è la nostra inerzia. È muta ogni opposizione. È in corso una
battaglia di princìpi da cui dipenderà la forma della nostra convivenza e invece
le sinistre più o meno radicali e il Pd di Veltroni si estenuano sul quel 4% di
dignità che gli resta.
Su questa vicenda siamo tutti come i marinai delle antiche galere che per
esprimere il malcontento potevano solo emettere un «Muuhh..» a bocca chiusa.
Mugugnamo, ma neanche in pubblico, sulla tolda, bensì nel segreto delle nostre
case, solo con gli amici: prove generali di dissenso sotterraneo in regime
autoritario. Ma se non riusciamo a farci sentire se questo terreno, su cui
siamo egemoni, come speriamo di risalire la china là dove siamo minoranza? Mai
avrei immaginato di finire «maggioranza silenziosa».
E allora che aspettiamo? Muoviamoci, diamo un segno di vita.
Marco d'Eramo Il manifesto 7/2/2008
Un altro passo verso il baratro
Il culto delle feste in costume sboccò
nel fascismo, scrive Adorno in «Minima moralia»: aforisma perfetto a illustrare
l'approdo fascistoide del folclore padano e con esso dell'Italia berlusconiana.
Approdo perfettamente incarnato da uno degli artefici più entusiasti del ddl
sicurezza: quel senatore Bricolo che alterna gli interventi in aula in dialetto
veneto con l'esaltazione di Mussolini, le vecchie battute da osteria su
questioni serie come i matrimoni misti - «Moglie e buoi dei paesi tuoi» - con la
trovata della norma che invita il personale sanitario alla delazione contro i
«clandestini», ovvero gli ebrei di oggi.
Un certo Cicchitto trova che evocare gli anni '30 sia fare dell'umorismo
involontario. Solo un poveretto ignaro della storia, dimentico della democrazia
e della civiltà giuridica, nonché privo del senso del tragico, può non cogliere
che in effetti vi è qualche vaga analogia.
C'è un sentore di fascismo -non più solo il consueto razzismo trasandato
all'italiana - nelle norme-manifesto approvate l'altro ieri dal Senato: al di là
del loro contenuto, pur grave, l'intento è anzitutto quello d'imbarbarire ancor
di più il clima del paese, additargli un capro espiatorio, imprimergli lo stigma
del reietto, renderlo più docile e sfruttabile come forza lavoro, legittimare il
sospetto, la discriminazione, la delazione come normali comportamenti di massa.
La sollecitazione, di fatto, al personale sanitario perché denunci gli
irregolari che accedono alle cure; la legalizzazione delle ronde padane
quantunque non armate. Il reato d'immigrazione clandestina. La gabella fino a
200 euro per il permesso di soggiorno. Il carcere fino a quattro anni per gli
irregolari che non rispettino l'ordine di espulsione. Il rafforzamento e
l'estensione della possibilità di sottrarre la potestà genitoriale (indovinate a
chi?). Il divieto d'iscrizione anagrafica e la schedatura non solo dei clochard,
come si dice, ma anche di un buon numero di cittadini italiani -rom, sinti e non
solo- che, abitando in dimore diverse da appartamenti, saranno schedati in un
registro del ministero dell'Interno. Tutto questo configura un intento
persecutorio verso migranti e minoranze, dettato più che da razionalità
politica, da meschino calcolo economico e demagogico, connesso con quelle forme
di psicosi di gruppo -fobia, ossessione, mitomania- che spesso
contraddistinguono le élite politiche populiste e autoritarie.
C'è un sentore di fascismo nell'incoraggiamento alla delazione, ora
sancito per legge, estendendo così sul piano nazionale ciò che da tempo è norma
e prassi soprattutto nelle repubbliche delle banane governate dalla Lega Nord:
per esempio in quel di Turate, monocolore leghista, dove il comune invita
ufficialmente i cittadini alla denuncia, anche anonima, degli stranieri
irregolari.
A onor del vero, un bell'esperimento di delazione anonima di massa è anche
l'accordo siglato a Torino fra il Comune e la rete delle farmacie, presso le
quali dal 1° ottobre scorso si raccoglievano (forse si raccolgono ancora)
informazioni su rom, poveri, senza-casa, mendicanti, posteggiatori abusivi. A
dimostrazione che, davvero, la cultura sicuritaria e razzista egemone nel paese
è trasversale agli schieramenti politici come alla società detta «civile» per
esagerare.
La pratica delle squadre speciali e della delazione, anonima e non, sono, come
si sa, strumenti insostituibili di ogni regime dittatoriale. Suvvia, non
parliamo di nazismo, dice quel tal Cicchitto. Va bene. Ma certo, se non ci si
lascia ingannare da ciò che permane dell'involucro democratico, alcuni elementi
che connotano lo stato del paese appaiono allarmanti. Preoccupante è la
saldatura, ormai anche «sentimentale», che lega il discorso e l'operato di
istituzioni centrali e locali con il senso comune più diffuso o almeno reputato
più degno di esprimersi: attraverso la delazione e le azioni squadristiche.
Insomma, la connessione fra il razzismo di stato e quello popolare, fra la
persecuzione e il pogrom, ma anche, benché più sottilmente, fra la cultura
politica della destra e quella di buona parte dell'opposizione parlamentare non
fanno presagire niente di buono. Chi si è trastullato con retoriche e
misure sicuritarie nel corso della passata legislatura ha evocato mostri che
oggi minacciano non solo di rendere l'Italia un paese strutturalmente razzista
ma anche di divorarne la democrazia.
Lo sfaldamento del tessuto sociale, un ceto politico da operetta, la volgarità
imperante nei mezzi di comunicazione, il degrado profondo della società civile,
l'avanzare, insieme alla crisi economica, di quella forma di incertezza e di
disgregazione morali, oltre che sociali, che accende il desiderio di capi
carismatici: no, non siamo nel '29 né in Germania, ma di sicuro sull'orlo di
un precipizio.
Spetta alle minoranze, malgrado tutto disseminate nella società italiana,
tentare di agire perché si faccia quel passo indietro che impedisce di
precipitare nel baratro.
Annamaria Rivera il manifesto 7/2/2008