Diamo un calcio
alle mafie
Dare un calcio alle mafie e all’illegalità: sono in tanti ad averlo già fatto,
promuovendo una pratica
sportiva pulita, leale, responsabile. Per questo, prima di parlare degli
interessi criminali nel mondo
del pallone, è giusto sottolineare il positivo, incoraggiare le scelte
lungimiranti. Come quella di
puntare sui vivai giovanili, per accompagnare gli atleti a crescere non solo
nelle prestazioni, ma a
livello umano, culturale e sociale. Grazie anche ai bravi allenatori che sentono
la responsabilità
d’insegnare, insieme alla tecnica, l’etica di questo sport, fatta di
collaborazione, rispetto delle
regole, impegno a migliorarsi. Un’etica da tradurre a livello amministrativo:
coi numeri infatti non
«si gioca», e speriamo siano sempre di più le società che dicono basta alle
spese folli e agli
aggiustamenti dei bilanci.
Proprio per non compromettere questi percorsi positivi, non
possiamo chiudere gli occhi rispetto agli indizi di segno opposto. Le antenne
che abbiamo sui territori ci
consegnano storie da non sottovalutare. Ci dicono di un gioco di interessi
che diventa gioco
criminale, delle mire sempre più invadenti di chi vuole sfruttare a fini
illegali i flussi di denaro
legati al calcio, a partire dai piccoli club locali. Non è però solo una
questione di soldi. Possedere
una squadra è un fiore all’occhiello per il boss di turno. Assicura visibilità e
prestigio. Diventa una
forma di controllo del territorio, oltre che uno dei tanti mezzi per riciclare
il denaro sporco, e in certi
casi un canale di reclutamento di nuove leve criminali.
C’è allora bisogno di recuperare una dimensione etica – ma anche poetica –
in questo sport così
amato. Soprattutto per non tradire le speranze di tutti quei bambini e
giovani che, nel correre dietro
un pallone, sperimentano la bellezza e l’intensità della vita nel suo essere
fatica e promessa, sogno,
impegno, stupore.
Luigi Ciotti l'Unità
17 luglio 2010
I boss nel pallone
Il pallone rotola dove dicono i boss. Attivissimi nel costruire e disfare
squadre e campionati, perché
dal calcio ricavano denaro, consenso e coperture politiche. Nel Sud, ma anche in
Lombardia e nel
Lazio. Un giro d’affari e di interessi che coinvolge più di trenta clan,
raccontato nei dettagli da Le
mafie nel pallone, dossier di Libera presentato ieri a Roma dal fondatore
dell’associazione, Don
Luigi Ciotti. La relazione, curata dal giornalista Daniele Poto, è fitta di
numeri, nomi e date. Prove
evidenti del marcio che infesta i campionati minori, fino a contagiare serie B e
serie A. Non certo
una novità per Don Ciotti, che ammonisce: “Mi stupisco di chi si stupisce, da
sempre le mafie
controllano le squadre di calcio. Oggi più che mai gestiscono il calcio
scommesse, condizionano le
partite, usano lo sport per cementare legami con la politica, riciclano soldi”.
E non solo: “Il calcio giovanile viene usato dalle mafie
anche per arruolare nuova manovalanza, come confermato da tanti
collaboratori di giustizia”. Tante ragioni per un fenomeno che coinvolge nomi
eccellenti. “Alla
spartizione della torta del calcio partecipa il gotha della mafia” sottolinea il
dossier: dai Lo Piccolo
ai Casalesi, per passare dai Mallardo e dai Misso, sino ad arrivare ai Pesce e
ai Santapaola. La pietra
angolare del degrado è il caso del Potenza Calcio, attorno a cui si dipana il
dossier.
Il caso Potenza. Nell’autunno 2009 il Potenza gioca in Prima Divisione (la
vecchia serie C1),
anche con discrete ambizioni. Ma il 23 novembre 2009 il patron della
società, Giuseppe Postiglione,
finisce in manette, assieme ad otto tra dirigenti di altre società e
collaboratori del club. Tra questi
c’è Antonio Cossidente, uno dei capi storici del clan dei Basilischi. Un
sodalizio criminale nato nel
1994 come costola delle ‘ndrine calabresi dei Pesce e dei Serrano, ma in buoni
rapporti anche con la
camorra. A chiedere l’arresto di Postiglione e dei suoi sodali per associazione
a delinquere,
finalizzata alla frode sportiva, è stato il procuratore antimafia, Francesco
Basentini. Il quadro
delineato da Basentini dopo due anni di indagini è inquietante: il Potenza è una
società collegata, o
quantomeno connivente, con ‘ndrangheta e camorra, guidata da un presidente che
si prodiga per
aggiustare i risultati delle partite e guadagnare dal calcio scommesse.
Postiglione è accusato di aver scommesso ingenti cifre su
sette partite del campionato 2008-2009 di Prima Divisione e su un
incontro di serie B, Ravenna-Lecce, del 20 aprile 2008. Solo dalla puntata sulla
gara del Ravenna
avrebbe guadagnato 86 mila euro. Un giro di affari enorme, alimentato da una
folla di informatori,
calciatori e dirigenti corrotti. Un pozzo da cui il presidente del Potenza
attingeva con l’aiuto di
Cossidente, come scrivono i magistrati: “Postiglione metteva a disposizione le
proprie risorse
economiche e la struttura societaria, mentre Cossidente offriva la propria
assistenza criminale e i
servizi dei suoi violenti collaboratori per garantire l’obiettivo prefissato”.
Postiglione avrebbe
truccato anche Potenza-Salernitana del 20 aprile 2000, vinta per 1 a 0 dai
campani, che si erano così
guadagnati la promozione in serie B. La procura della Federcalcio aveva
indagato, senza esito.
Basentini chiarisce il quadro. Per far vincere la Salernitana, Postiglione aveva
ottenuto dai dirigenti
campani 150 mila euro. Il prezzo per mandare in campo un Potenza privo di buona
parte dei titolari.
Sulla spinta delle nuove carte, il 19 marzo 2010 la Corte di giustizia federale
esclude il club dal
campionato e inibisce per cinque anni Postiglione.
Pochi giorni dopo il Tribunale per l’arbitrato mitiga
lievemente le sanzioni: il Potenza verrà retrocesso in Seconda Divisione.
D’altronde sul club
gravavano ombre da anni. Nel 2004 l’allora presidente, l’avvocato Piervito
Bardi, venne arrestato
per associazione a delinquere di tipo mafioso e favoreggiamento. Postiglione era
arrivato alla
presidenza del club due anni dopo, a soli 24 anni. “A Potenza – ricorda il
dossier – si maligna che la
fortuna della famiglia Postiglione sia dovuta all’investimento nei ripetitori
televisivi,
successivamente affittati a Media-set”.
Quel che è certo è l’ex patron, ora sotto processo, aveva
mille contatti. A Roma transitava spesso all’albergo Plaza, dove si conoscevano
in anticipo i risultati
delle partite di serie A. Tra queste, Atalanta-Livorno del 4 maggio 2008.
Dovevano vincere i
toscani, ma qualcuno non rispettò le consegne, e finì in rissa. Ma le combine
sono continue.
Secondo Corrado Zunino, giornalista di Repubblica, solo nel campionato scorso
sarebbero state
truccate almeno 25 partite di B. Tutto negli interessi degli scommettitori, e
quindi della malavita
organizzata, che dalle puntate trae enormi guadagni. Lo confermano i rapporti
degli ultimi tre anni
della Dia. Poi ci sono vecchie ma attualissime storie.
Gli esordi di Dell’Utri. Come quella degli esordi di Marcello Dell’Utri in una
società storica del
calcio palermitano, la Bacigalupo. Li ricorda un pm in uno dei processi al
senatore per estorsione ai
danni di Vincenzo Garraffa, patron della Pallacanestro Trapani: “La nascita dei
rapporti tra
Dell’Utri e l’associazione mafiosa è di difficile datazione. Dovendoci basare
sugli elementi raccolti,
pienamente provati in dibattimento, occorre dire che i primi certi rapporti con
esponenti mafiosi li
ebbe nella Bacigalupo”. Club frequentato anche dal boss Gaetano Cinà, condannato
a nove anni per
associazione mafiosa. L’uomo che chiamava Dell’Utri “allenatore” e gli
raccomandò il figlio, prima
nel Varese e poi nel Palermo.
Luca De Carolis il Fatto Quotidiano 17 luglio 2010