Il dettato di Ratzinger


 
Una città - Roma - bloccata per ore e ore nel suo centro nevralgico, sotto un sole cocente. Una cerimonia alla quale hanno presenziato le massime autorità della Repubblica italiana, della Giunta capitolina e della Città del Vaticano. Un corteo con tanto di corazzieri in alta uniforme. Una "copertura" mediatica totale, come non si concede, quasi, nemmeno ai signori del pianeta quando vengono a Roma. Non c'è che dire: la visita ufficiale di papa Benedetto XVI al presidente Ciampi si è svolta in una cornice spettacolare, con la capitale d'Italia trasformata, volente o nolente, in un grande palcoscenico. Sarà che questi incontri sono rari (in tutto, nella storia repubblicana, sono stati sette) e perciò caricati (o giocoforza carichi) di solennità anche esteriore. Sarà che, per il nuovo pontefice, si trattava di un vero e proprio debutto politico, dopo il fallimento della consultazione referendaria sulla legge 40. Eppure, non riusciamo a reprimere, intanto, la sensazione di una regìa dell'evento molto accurata e, soprattutto, pochissimo ispirata da ragioni evangeliche, o spirituali. La Chiesa cattolica vuole essere, ma soprattutto vuole apparire, come una potenza mondana: ecco la novità. Non solo fa politica, come ha sempre fatto (e come è logico che sia), ma alza i toni, accresce le pretese, occupa gli spazi - tutti gli spazi mondani possibili, appunto, a cominciare da quelli mediatico-istituzionali - con un'arroganza relativamente nuova. E con precisa, calcolata freddezza.

Di questa strategia, papa Ratzinger si è dimostrato ieri interprete convinto, in piena sintonia ("tattica" e "strategica", si sarebbe detto una volta) con il cardinal Ruini. A Ciampi e al governo italiano, Benedetto XVI ha dettato una vera agenda politica, traducibile in un programma organico di leggi destinate a ri-disegnare la società italiana secondo i dettami della morale cattolica: in primis, la modificazione (magari con tempi e modalità "lungimiranti") della 194 e della liceità dell'aborto; in secundis, l'impegno a non varare alcuna norma "alla Zapatero" sulle unioni gay e l'eutanasia; infine, e soprattutto, la rivendicazione della piena parità tra scuola pubblica e scuola confessionale - leggi la richiesta di nuovi e più cospicui finanziamenti pubblici (anche in forma di detassazione) alle scuole cattoliche. Vecchie ossessioni strategiche della chiesa e della Cei, si obietterà. Del resto, quando il 20 ottobre del '98 andò in visita al Quirinale, dove siedeva allora Oscar Luigi Scalfaro, Giovanni Paolo secondo avanzò, nella sostanza, le stesse rivendicazioni - usando a larghi tratti parole assai più dure e drammatiche di quanto ieri non abbia fatto Benedetto XVI. Ma proprio questo confronto rende evidente ciò che, sette anni dopo, è cambiato oltre Tevere. Wojtyla fa un discorso di segno integralista, certo, ma con una intensa esposizione personale e una grande passione spirituale, mentre il suo successore appare freddo, quasi arido, «diplomatico». Wojtyla si espone fino in fondo nella sua Weltanschaung premoderna, ma non dice mai che l'etica trova il suo «fondamento», il solo possibile, nella religione, ovvero nell'autorità della Chiesa, come dice invece Ratzinger - con un'allusione rapida quanto volpina. Wojtyla, alla fin fine, propone, chiede, e forse perfino supplica, le autorità politiche perché rimodellino il diritto su basi religiose - là dove Ratzinger pretende. Da potere a potere. Da alleato esigente. Da vincitore politico prima che morale del referendum del 12 giugno.

 Ora, questo vincitore è venuto ad incassare i favori resi alla destra di governo. E a spiegarci, bontà sua, che la Chiesa consente oggi perfino sulla nozione di laicità: purché sia una laicità «sana». Che vorrà dire questo aggettivo? Che cos'è, secondo il Papa, una laicità che non si ammala o non diventa agente patogeno? La risposta, ahimè, è semplice e chiara: la laicità «sana» è quella che non esiste. E' quella di un nuovo patto di potere tra Chiesa e Stato, battezzato da una montagna di soldi, dove il Sacro fa da stampella al Profano

 

Rina Gagliardi    Da Liberazione 25 giugno 2005