DEGRADO MORALE E CULTURA MAFIOSA: FRUTTI AMARI DA “RADICI CATTOLICHE”

“Questo non è un libro che nasce da una pacata riflessione sulla realtà maturata nel silenzio protetto di una biblioteca o di uno studiolo domestico; nasce da un’esperienza di vita particolare: un lungo e coatto corpo a corpo con i mali di questo Paese. Quando qualcuno talvolta mi chiede che tipo di vita io faccia, sono solito rispondere che frequento assassini e complici di assassini. E in effetti in questi ultimi anni è stato molto di più il tempo che ho trascorso con loro che quello trascorso con le persone normali”. Così Roberto Scarpinato, procuratore aggiunto presso la Procura antimafia di Palermo, ha presentato nel corso di un dibattito pubblico al teatro Quirino di Roma, lo scorso 23 settembre,  il suo libro Il ritorno del principe. La testimonianza di un magistrato in prima linea (scritto con il giornalista Saverio Lodato, Chiarelettere, pp. 347, euro 15,60). L’esperienza rievocata da Scarpinato è però ben lontana dai cliché televisivi delle fiction sulla mafia, quella dei casolari diroccati, dei contadini semianalfabeti che mangiano ricotta, cicoria e miele. “Ho dovuto prendere atto – ha spiegato Scarpinato - che non sempre gli assassini hanno i volti trucidi segnati dalle stimmate popolari. Spesso, troppo spesso, sono persone che possiamo incontrare nei migliori salotti”. “Lentamente la linea di confine tra i due mondi, quella delle persone normali e quella degli assassini, ha cominciato a sfumare, fino quasi a dissolversi”. Il libro è un’analisi dettagliata della mafia che si vede e di quella che non si vede, che opera nell’ombra e che non ha bisogno di sporcarsi le mani di sangue. È la mafia di quella “borghesia mafiosa” che controlla le leve della politica e dell’economia e che è tanto più potente quanto più affonda le proprie radici nella mentalità e nella cultura profonda del nostro Paese.

Educata dal Principe di Machiavelli a considerare qualsiasi mezzo lecito in politica, la dirigenza italiana “è una fra le più predatrici e violente dell’intero Occidente europeo” e ha dato vita a una “criminalità plurisecolare” manifestatasi essenzialmente su “tre versanti: lo stragismo e il delitto per fini politici, la corruzione sistemica e la mafia”.

Tutto ciò, inoltre, non sembra incompatibile con la tradizione cattolica così radicata nel nostro Paese. Anzi: spesso i peggiori criminali e i più corrotti uomini politici si considerano cristiani a tutti gli effetti e non perdono occasione per ostentare le proprie professioni di fede. Come può il Principe essere un buon cristiano? È su questo aspetto che si è soffermato, durante la presentazione del libro, il teologo valdese Paolo Ricca, nell’intervento che qui di seguito riportiamo (il testo non è stato rivisto dall’autore).

emilio carnevali

 

 

I GUASTI DEL PRIMATO DELLA CHIESA

 

Che ci fa un teologo a questo tavolo, tanto più un teologo valdese? Forse sono stato invitato – e ringrazio molto per l’invito – perché il Principe è religioso. Questo è il fatto singolare a cui il libro accenna, ma che non viene poi approfondito come meriterebbe. Se ci saranno altre edizioni - come mi auguro - forse varrebbe la pena dedicare alla religione del Principe qualche paragrafo, se non addirittura un capitolo.

Ora non c’è tempo, e non è nemmeno la sede, per parlare della religione del Principe. Vorrei però indicare tre problemi connessi a questo tema. Il primo rimanda alla domanda se la religione anestetizzi la coscienza morale del Principe (e non solo del Principe, anche dei collaboratori e dei sudditi). Detto con altre parole: che ruolo svolge la religione in rapporto ai comportamenti? Li orienta, li incentiva, oppure, appunto, li anestetizza?

La religione cattolica è in Italia la religione storicamente dominante. Non dimentichiamo che l’Italia è il primo Paese dell’Occidente ad essere stato evangelizzato, quindi è il Paese in cui l’eredità cristiana – nella forma cattolica – è più antica e più radicata, nel subconscio prima ancora che nella coscienza di innumerevoli nostri connazionali. Cos’è sostanzialmente la religione cattolica, intorno a che cosa ruota? Io direi che ruota principalmente intorno al sacramento, molto più che intorno al comandamento. Nel vissuto concreto di un credente cattolico, il rapporto con Dio si gioca nella partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa; non è un caso che chi vive in una condizione di irregolarità – come ad esempio un divorziato – riceva come sanzione quella di essere escluso dai sacramenti. Il comportamento, l’etica in poche parole, ha naturalmente un suo ruolo, ma non è così centrale, non è così decisivo. Insomma, non è lì che ci si gioca il rapporto con Dio. Ecco perché Scarpinato trova assassini che sono cristiani, che si considerano cristiani. Perché il loro rapporto con Dio non passa attraverso il comportamento concreto, gli atti, le azioni, ma principalmente attraverso l’esistenza sacramentale. Questo è un problema molto grosso che meriterebbe di essere approfondito.

Il secondo problema è quello di stabilire se la religione non finisca per fornire al Principe degli aiuti, magari anche insperati. Cioè se la religione, in certe forme, non finisca per essere – che lo voglia o no, anche indipendentemente da una sua precisa volontà – un’alleata del Principe.

Faccio soltanto un esempio, perché di questo si potrebbe parlare a lungo. Il libro denuncia a un certo punto quella che viene chiamata la “destatalizzazione” della coscienza civile, a causa della quale lo Stato non è più niente o è sempre meno, conta sempre meno, “meno ce n’è, meglio è”. Allora mi chiedo: la Chiesa contribuisce a questa destatalizzazione? Lo fa magari passivamente, cioè non incentivando nei cittadini la consapevolezza del valore, dell’importanza fondamentale dello Stato? Oppure è responsabile in altri modi, ad esempio presentandosi in varie circostanze come il vero Stato, come l’alternativa allo Stato? La Chiesa aiuta il cittadino italiano ad amare lo Stato, ad apprezzare lo Stato, a volere lo Stato, o no?

C’è infine una terza questione. In una conversazione privata con gli autori, ho definito questo libro “agghiacciante”. È un libro agghiacciante, perché non si riesce a trovare nessuna obiezione: uno vorrebbe avanzare delle critiche, vorrebbe poter dire: “No, ma qui esagerate, le cose non stanno proprio così…” e invece non si riesce a obiettare nulla, cosicché, almeno per me, il quadro che ne esce è - ripeto - agghiacciante. Dal libro emerge un degrado civile e morale del Paese che è incredibile e, in una certa misura, insospettato. Nessuno se lo immagina, io almeno non me lo immaginavo.

Ora, la domanda è: come se ne esce? Anche Scarpinato alla fine si è posto questa domanda. La risposta è: salvando la Costituzione. Ma per salvare la Costituzione ti devi identificare con la Costituzione, e per identificarti con la Costituzione devi avere una serie di parametri, anzi di strutture mentali, morali e direi anche spirituali, oltre che politiche, ben solide. Nell’Ottocento, nel secondo Ottocento, le piccole comunità evangeliche che sono sorte qua e là nel nostro Paese - anche in Sicilia, al seguito di Garibaldi - pensavano grosso modo questo (perdonatemi la semplificazione): il risorgimento civile e politico dell’Italia presuppone un risorgimento morale; e il risorgimento morale presuppone un risorgimento spirituale. Un risorgimento, dicevano loro, addirittura religioso. Non è che io voglia difendere questa tesi. Però ritengo che il nesso tra politica, morale e religione o spiritualità, chiamiamola come vogliamo, è un nesso che deve essere posto ed indagato. E credo che effettivamente tutti e tre questi elementi debbano essere tenuti assieme.

Vorrei infine dire due parole soltanto sulla questione della cultura cattolica, perché Scarpinato nel suo testo la indica come una delle culture fondamentali del nostro Paese. E indica anche i frutti più negativi - come ad esempio la “doppia morale” - di una certa cultura cattolica, che lui definisce controriformista, antirisorgimentale, antiliberale e anticonciliare.

Vi sono due elementi di questa cultura cattolica che influenzano negativamente la coscienza dell’italiano medio, operando soprattutto nel subconscio più che nel conscio. Il primo è la questione gerarchica, cioè il fatto che la Chiesa, così come si è venuta configurando attraverso i secoli, è una organizzazione gerarchica: gerarchica nella sua struttura, ma gerarchica soprattutto nella sua comprensione della verità e del rapporto con la verità, per cui la verità discende dall’alto, non è costruita dal basso attraverso il dialogo, il confronto e la ricerca del consenso. Scarpinato dice, secondo me giustamente, che in Italia, nella cultura cattolica italiana, è presente un’etica dell’obbedienza gerarchica, che è appunto il frutto della costruzione gerarchica della Chiesa e del rapporto tra persona e verità. A questa etica dell’obbedienza gerarchica Scarpinato contrappone l’etica della responsabilità individuale. Io credo che questo sia giusto, ma perché nasca questa etica della responsabilità individuale occorre creare un humus morale e spirituale che non sia appunto quello gerarchico.

Il secondo elemento che è stato individuato da Scarpinato e sul quale vorrei soffermarmi un attimo è relativo al “primato”. Il primato non è soltanto quello del papa. Anzi, secondo me, il primato del papa in fondo è un epifenomeno del primato della Chiesa, la quale possiede la pienezza della verità e dei mezzi di grazia. È il primato dello spirituale sul temporale, del religioso sul profano, della Chiesa sul mondo, del sacerdote sul laico. E attraverso i secoli questa ideologia del primato si è naturalmente materializzata in molte forme, esprimendo quello che si legge nell’atrio della Basilica di San Giovanni in Laterano, cioè della Basilica del papa: “Ecclesia romana mater et caput omnium ecclesiarum”.

Questo primato - come sapete - è stato proclamato dogma, cioè articolo di fede, nel 1870, nel momento in cui tramontava lo Stato Pontificio. Nel momento in cui una limitata sovranità politica locale aveva fine, la Chiesa cattolica proclamava la sovranità universale di tipo spirituale del papa sul mondo intero. Il primato della Chiesa come caposaldo della cultura cattolica ha naturalmente grosse conseguenze sul piano politico, come sul piano culturale, mediatico e religioso. Una di queste, che ha condizionato tutta la storia religiosa del nostro Paese, è l’allergia nei confronti delle minoranze, delle dissidenze. Ce ne sono state tante in Italia di dissidenze religiose, dalle cosiddette eresie medioevali fino al modernismo cattolico, spazzato via dalla enciclica di Pio X, la Pascendi dominici gregis. Per non parlare di quello che è accaduto nel ‘500, quando tutta una fioritura di cristianesimo riformato, di cristianesimo antitrinitario, è stata liquidata, cancellata dal nostro Paese. Cosicché si è creata in Italia una monocultura religiosa che è durata fino a ieri mattina.

Ecco qual è la radice del conformismo di cui Scarpinato si lamenta giustamente, definendolo uno dei frutti peggiori della cultura cattolica. È l’ideologia del primato che non sopporta tutto ciò che non riconosce questo primato, tutto ciò che dissente, tutto ciò che esprime alternative e comunque posizioni diverse sul piano religioso e non solo religioso. Il primato tende infatti ad imporsi su tutto e su tutti ed è appunto ciò che ha prodotto e produce ancora nel nostro Paese il conformismo. L’analisi sviluppata nel libro parte da Machiavelli, ma forse dovremmo spingerci ancora più indietro nella ricerca dei nessi tra religione, morale e politica. Credo che una ricerca in questa direzione aiuterebbe ad uscire dalla situazione drammatica che il libro descrive e favorirebbe, tra le altre cose, anche il salvataggio della Costituzione italiana.

 

Paolo Ricca       in  Adista Documenti n.72  2008