Dario Fo vietato ad Assisi il boomerang del vescovo

Davvero non si comprende perché il vescovo di Assisi si intestardisca così per impedire un
monologo di Dario Fo davanti alla Basilica superiore. Sostiene che sarebbe un’offesa per la terra di
Francesco ospitare uno spettacolo in cui si mette in discussione la paternità di Giotto (attribuita da
Vasari) degli affreschi della vita del santo. Sostiene anche, confortato da una parte dei cittadini che
dicono di preferire la dolce «illusione » alla «verità» sull’identità dell’artista che mise mano a un
simile capolavoro, che un veto, una proibizione, insomma una censura, possa minimizzare i danni
contenuti nella requisitoria di Fo. Come se il divieto non fosse controproducente, destinato a creare
una curiosità attorno alla questione ben più devastante per la dolce «illusione » tramandata dalla
tradizione.
La querelle sull’attribuzione giottesca degli affreschi non è nuova. Ha avuto origine nelle indagini
dello storico dell’arte Bruno Zanardi, che lavorò al restauro delle opere contenute nella basilica
gravemente minate dal terremoto del ’97 e che conferì al pittore romano Pietro Cavallini la paternità
della maggior parte degli affreschi.
Ed è noto che anche Federico Zeri ha avuto molti dubbi sulla paternità di Giotto. Fo, come spesso
gli accade, sostituisce al dubbio la militante certezza che Giotto non sia stato l’autore dell’opera
controversa. Conduce attraverso il suo spettacolo una sua personale crociata. Ma lo fa con passione
e soprattutto con argomenti che richiederebbero una replica, non la solita intimazione al silenzio.
Invece la richiesta del bavaglio, la pura e semplice e prepotente richiesta di non mettere in scena ad
Assisi lo spettacolo di Fo, crea un’atmosfera censoria che è anche un invito, davvero poco ratzingeriano,
a sposare le ragioni della fede senza tener in alcun conto le indagini della ragione.

Non sarebbe un sacrilegio se venisse scientificamente riconosciuto che non fu Giotto a dipingere gli
affreschi. E sarebbe un misero modo di proteggere la devozione popolare quello di allontanare il
disturbatore dal tempio invece di contrapporre argomento ad argomento, tesi contro tesi, come nelle
vecchie dispute che non avrebbero fatto inorridire nemmeno San Francesco.

Pierluigi Battista     Corriere della Sera 1 luglio 2009