Dal doppiopetto alla camicia verde
Conferendo in anticipo la guida del prossimo governo regionale veneto alla Lega,
Berlusconi compie una scelta di portata strategica. Una (apparente) rinuncia, la
sua, dettata nei tempi forse dall´istinto più che dal ragionamento, visto il
danno che arreca al Pdl locale nello sprint di fine campagna elettorale. Eppure
tale mossa era prevedibile. Bossi è stato per Berlusconi prima un maestro
di politica che un alleato. Affermandosi nei territori del Nord come
fondatore di una nazione artificiale, egli ha introdotto quel modello di
leadership populista che Berlusconi ha saputo poi replicare su vasta scala con
le sue armi mediatiche.
L´articolazione futura della destra italiana prevederà dunque il
consolidamento di un partito di raccolta nelle regioni settentrionali. In quel
partito hanno ritrovato legittimità pulsioni e culture radicate da secoli nei
territori settentrionali, non ultima un´antica tradizione reazionaria le cui
origini sono ben rintracciabili nell´Italia preunitaria.
L´istinto berlusconiano riconosce tali energie popolari, poco importa se
venate di localismo e xenofobia. Mira dunque a incanalarle, allargando
la fetta di torta destinata a Bossi, pur sapendo di rendere così croniche le
differenze tra la destra italiana e gli altri partiti conservatori europei. Un
banale calcolo di marketing elettorale gli preclude la netta separazione
osservata da Sarkozy, Merkel, Cameron nei confronti delle loro destre populiste.
Perché la sintonia che egli stesso ha instaurato con l´elettorato prevede siano
assecondati i comportamenti antisistema. A suo modo, è un po´ leghista anche
lui.
Se dunque nel 2010 avremo una Regione Veneto presieduta da Flavio Tosi o Luca
Zaia, dopo che già alle elezioni politiche del 2008 la Lega vi aveva raggiunto
il Pdl a quota 27%, non sarà solo perché così facendo Berlusconi spera di
mantenere il controllo della "sua" Lombardia. L´autonomismo veneto affonda
le sue radici in una sorta di Vandea cattolica mai davvero sconfitta né
dall´illuminismo né dal Risorgimento, impregnata com´era di diffidenza della
terraferma nei confronti del cosmopolitismo veneziano. È vero che senza
la guida unificante di Bossi quel movimento sarebbe rimasto marginale. Ma
neppure va dimenticato che mentre il leghismo lombardo incorreva nella sconfitta
di Malpensa e nelle malversazioni del clientelismo varesotto, al contrario il
leghismo veneto esprimeva modelli a loro modo vincenti: dall´autoritarismo
trevigiano dello sceriffo Gentilini, all´ordinanza antisbandati del sindaco di
Cittadella. Fino alla conquista di Verona, dove l´astro nascente Tosi è riuscito
perfino a condizionare la Fondazione bancaria nella vicenda della
ricapitalizzazione Unicredit. Da controllori del territorio, gli amministratori
della Lega hanno intrapreso la scalata del potere, ma sempre presentandosi come
oppositori del sistema fino al limite dell´estremismo nel culto di "sangue e
suolo". Ciò spiega perché non potesse esaudirsi l´auspicio di Massimo Cacciari,
cioè l´alternativa di un partito territoriale di sinistra in una regione di
quasi cinque milioni di abitanti: qui da sempre il localismo è per sua natura
conservatore, intessuto di nostalgia e familismo. Per lo stesso motivo
Berlusconi dopo quindici anni dà il benservito al presidente Giancarlo Galan e
alla sua speranza impossibile di fondare una Forza Italia veneta.
Già provato dalle tensioni dell´autonomismo siciliano, con la crisi della giunta
Lombardo, il Popolo della libertà cede ora il passo al Nord. Un partito
costruito su misura per obbedire al suo fondatore, è destinato a subire nei
territori il consolidamento di organizzazioni militanti e clientelari.
Così la destra antisistema si candida a destinataria di una quota cospicua
dell´eredità berlusconiana. Colui che dal predellino di San Babila si
offriva al popolo come unificatore della destra italiana, con tutta la sua forza
proprietaria, si è ritrovato a inseguire per un anno una Lega sapiente
nell´erodergli consensi e tormentarlo. Come dimostrano le vicissitudini
parlamentari del pacchetto sicurezza e le figuracce internazionali sulle
politiche migratorie.
L´apprendista stregone già passato dal doppiopetto alla maglia girocollo
rischia ora di essere trascinato a indossare la camicia verde. Come ieri
sera, quando ha protestato contro il fatto che nel centro di Milano circolino
troppi stranieri; una Milano che «sembra una città africana». Perché la
destra italiana sa inglobare ma non sa reprimere le spinte eversive di una
società arrabbiata.
Gad Lerner Repubblica 5.6.09