Da Pasolini alla post-politica


Ci sono più cose in terra di quante ne possa capire, forse, la nostra filosofia; sicuramente molte di
più rispetto a quelle che la nostra politica ha voglia di sentirsi dire. Quelle che affiorano dalla terra
del Pigneto appartengono tutte a realtà che la politica ha troppo a lungo rifiutato di vedere. Anche se
è vegetata stimolandone le contraddizioni, anche se oggi cerca di ricavarne flussi di consenso
imbarbarendo le regole per portarle al livello della barbarie civile cresciuta negli anni. E così non ci
aiutano né le categorie ideologiche nè gli schemi sociologici: questa intervista fa emergere isolata,
scostante e irritante, una sola voce, quella di una presenza inquieta e scomoda del nostro passato.
"Ernesto" si affaccia alla cronaca uscendo da una pagina di Pasolini, anzi esce fisicamente dal bar
Necci di "Accattone". E di Pasolini vengono alla mente la vita e la morte nelle desolate e disperate
notti della periferia romana, viene alla mente quel suo tentativo di presa diretta sulla realtà che lo
portò a urtarsi di continuo con le categorie precostituite della correttezza politica e morale. Nel suo
caso si parlò allora di testimonianza prepolitica . Ma erano altri tempi . Il ricordo di anni di forti
speranze, di vivaci lotte politiche e civili e perfino di vacche grasse (in termini di PIL) vale soltanto
a misurare quante occasioni sono state sprecate nel percorso per rendere non diciamo giusto ma un
po´ meno incivile e un po´ meno ingiusto il nostro paese. Un fatto è certo: la testimonianza di
Ernesto andrà letta attentamente, senza cedere all´impulso a separarne frettolosamente i fili, senza
seguire la tendenza antica e nuova a mettere etichette, selezionando quel che ci serve e
dimenticando quello che è scomodo. Non è facile farlo oggi in Italia e molto probabilmente non
sarà fatto: risorgeranno categorie antiche, si parlerà sicuramente di "opposti estremismi". Tanto più
che la tendenza irresistibile, la vera e propria ossessione che sembra animare le forze politiche nella
loro variegata composizione è una sola: semplificare. Ma semplificare gli schieramenti in
Parlamento è una cosa, semplificare la realtà è ben altra impresa. Lo dimostra la prima prova del
governo, l´ inventario della realtà umana del paese: di qua noi di là gli altri, di qua noi cittadini
dotati di diritti di là gli immigrati che non ne hanno nessuno, che sono soltanto merce umana da
selezionare all´ingrosso tra ciò che serve (come le badanti) e ciò che può essere espulso come una
deiezione immonda. O magari nascosto, esposto all´arresto immediato o messo direttamente in
prigione grazie all´invenzione agghiacciante di una figura di reato – l´immigrazione clandestina –
che cancella la nozione stessa di diritti umani come possesso inalienabile di tutti gli abitanti della
terra dovunque si trovino. Quello che si è proposto è stato un inventario spaventosamente illusorio e
supremamente ingiusto, che ha cercato di consolidare pregiudizi diffusi in una forma permanente
tale da scaricare in qualche modo la violenza che cresce e che si è esercitata in primo luogo nella
vendetta collettiva da parte dell´elettorato contro i rappresentanti pro tempore del grande assente –
lo stato. Parliamo dunque degli imputati di ogni male, gli immigrati. Si noterà nella testimonianza
di "Ernesto" l´assenza di xenofobia: al Pigneto la vita quotidiana non può che essere violenta; ma
non per colpa degli immigrati. La violenza è la norma: tra l´uomo che pretende il diritto di farsi
rispettare e tutti gli altri lo scontro è immediato, fisico: di fronte a lui si parano gli stronzetti italiani
alla pari coi ladri algerini . Tra lui e tutti gli altri non c´è niente: c´è la sua violenza contro altre
violenze. Dov´è lo Stato? dov´è la Chiesa? dove sono sindaci e amministratori e tutto quel personale
della "casta", cresciuto e immesso nelle reti pubbliche in ragione della fame di consenso delle
macchine di partito e non in funzione di capacità di assolvere a compiti quotidiani di regolazione
dei problemi della vita collettiva? e dove sono i corpi collettivi di aggregazione, le cellule dei
partiti, le organizzazioni dei consumatori, le associazioni dei lavoratori ? insomma chi è che
amministra la vita quotidiana, chi ne organizza i flussi interponendo tra le violenze individuali la
legge come amministrazione, come regolato processo dei rapporti collettivi?
Non ci illudiamo, questo non è il volto del solo Pigneto. Questa periferia di Roma ha cessato di
apparirci come il corpo estraneo, misterioso e mostruoso che Pasolini ci raccontava. Guardiamo al
rapporto tra "Ernesto" e il suo quartiere: a quel quartiere lui vuole bene, lo ama e lo vuole tutelare
con un amore primitivo per il pezzo di terra dove si vive che fa capire meglio di ogni altra
considerazione come la prospettiva politica, la capacità di pensare il futuro per sé e per gli altri sia
regredita totalmente al qui e ora della sopravvivenza umana nella condizione dell´uomo che è lupo
per l´altro uomo (non per l´immigrato ma per ogni altro essere umano): quella condizione che
Hobbes immaginava precedente al sorgere dello Stato e causa primaria della decisione collettiva di
rinunziare alla guerra quotidiana dell´uno contro tutti. Ebbene, negli scambi quotidiani di "Ernesto"
col suo quartiere molti lettori ritroveranno se non la realtà dei loro comportamenti almeno gli
impulsi istintivi che provano ogni giorno nel luogo dove vivono, nell´ambiente dove si guadagnano
da vivere, nelle preoccupazioni per tutelare i bambini, le donne, la famiglia dall´aggressione di una
realtà illeggibile e straniata, deformata e insozzata da immondizie, edilizia di rapina, pubbliche
umiliazioni della condizione umana. L´Italia appare oggi in tante sue parti, più o meno equamente
distribuite sul corpo della penisola, una sterminata periferia, dove crescono muri di paura e di odio
fra gli abitanti e le amministrazioni cittadine sanno solo tradurli in muri reali, dove ci si arma e si
spara sempre di più, dove si muore per cause inaudite. Per esempio, si muore ordinariamente e
quotidianamente per cause di lavoro, vittime di una realtà sulla quale non incidono minimamente i
decreti legge faticosamente ponzati in Parlamento, mentre vi incide e moltissimo l´abbandono di
ogni regola che non sia l´imperativo della produzione. Si vadano a leggere le statistiche sui morti
per cause di lavoro su cui Marco Revelli ha scritto una terribile inchiesta: vi si troveranno storie di
italiani e di immigrati molto spesso fraternamente uniti nel tentativo di aiutarsi a vicenda ma
condannati a morte dalla cancellazione della loro umanità trasformata in nuda vita e resa semplice
strumento per massimizzare la produzione, seguendo la logica profonda della riduzione dell´uomo a
merce. Sarebbe grave se ai problemi di questo genere si pensasse di poter rispondere moltiplicando
le leggi e facendo straccio dei diritti. Una legiferazione incontinente e contraddittoria ha fatto
nascere l´illusione che solo liberandosi da ogni legge si sarebbe trovata la via della crescita e del
progresso. L´illusione ha preso corpo, si è iscritta nell´etichetta di un partito diventato grande
proprio perchè ha chiamato a raccolta nel nome del popolo (contro i partiti di professione) e nel
nome delle libertà plurali, come libertà da ogni regola e da ogni legge. Oggi, frettolosamente, le
regole vengono richiamate in servizio. Ma non basterà la minaccia della galera, che è sicuramente
una minaccia illusoria. Bisognerà invece pensare a quella genealogia di "Ernesto": figlio di
carabiniere, nato il primo Maggio, il tatuaggio del "Che", tradizioni di antifascismo, quel quartiere
un tempo bellissimo. Quante rovine. Se Pasolini era prepolitico, "Ernesto" è post-politico.

 

 Adriano Prosperi         la Repubblica   29 maggio 2008