Il culto delle reliquie e le industrie del sacro

 

Si dice che Friedrich Engels volesse le sue ceneri disperse nel vento per evitare che la sua tomba

diventasse meta dei «devoti » del socialismo. I marxisti al potere in Urss furono di diverso avviso e

scelsero di tenere in esibizione permanente il cadavere imbalsamato di Lenin sulla Piazza Rossa.

Come si rivelano fragili le rivoluzioni che ricorrono a mezzi del genere! Ma non mi sembra che le

cose vadano troppo diversamente nella cattolicissima S. Giovanni Rotondo: già ottocentomila sono

le prenotazioni di coloro che ambiscono di vedere le spoglie mortali del frate di Pietrelcina,

collocate in una teca di cristallo nella cripta di Santa Maria delle Grazie — sul volto è applicata una

maschera di silicone: il culto delle reliquie si aggiorna, e non disdegna i ritrovati della tecnica

moderna. Qualche secolo fa indignava il giovane Martin Lutero in cammino verso Roma; oggi attira

«grandi folle». Anche se le presenze al giorno dell'apertura paiono essere un quarto di quelle

previste. C'è da sperare in qualche (tardiva) resipiscenza? Gli entusiasti parlano di gente che

verrebbe da ogni parte del mondo — del mondo cattolico, ovviamente, che non coincide

necessariamente col mondo cristiano, né tanto meno con il globo intero.

C'è da chiedersi cosa c'entri questo tipo di turismo religioso (come lo sento definire da varie fonti)

con il mistero della Grazia.

E non so nemmeno se tutto ciò giovi non dico a una valutazione obiettiva e imparziale della figura

storica di Padre Pio (sarebbe bene che almeno una certa percentuale di quegli ottocentomila

prenotati ingannasse l'attesa con qualche pagina del documentato volume di Sergio Luzzatto!),

bensì all'umana comprensione di quelle che il frate stesso definiva «le penose ansie del mio cuore

agitato». Ovviamente tutto ciò gioverà alle locali industrie del sacro.

Il santo, come ci insegnano gli antropologi, è un'altra cosa. Prudenti ed equilibrate suonano le

parole del cardinale José Saraiva Martins: la presenza di quel corpo «ci invita anzitutto alla

memoria di una vita buona». Quante buone vite ci sono che varrebbe la pena di ricordare! Medici,

tecnologi, scienziati. Ma senza esagerare. È bello e utile ancor oggi rivisitare le idee di Newton o di

Darwin. Molto meno mi interesserebbero pellegrinaggi laici ai loro sepolcri.

 

Giulio Gioriello       Corriere della Sera    25 aprile 2008