Crolla il muro della finzione
C´era un solo Paese, fino a ieri, dove si potesse definire una «farsa» una
manifestazione per la libertà di stampa in Italia. Indovinate un pò, il nostro.
Nel resto d´Europa e dell´universo democratico, l´anomalia italiana è ormai
evidente a tutti. Bene, da oggi diventa più difficile per il potere
negarla. La folla di cittadini che ha riempito all´inverosimile Piazza del
Popolo e dintorni ha avuto l´effetto di far crollare un muro di finzione.
Una concezione di democrazia dove i media devono astenersi dal criticare
il potere politico evitando perfino domande non previste dal protocollo.
Il direttore del Tg1 dimentica di essere un dipendente del servizio pubblico,
pagato con i soldi del canone versato anche da chi manifestava.
Ha portato
un pezzo di realtà sulla scena pubblica, restituito un senso alle parole rubate
dal marketing politico, come popolo e libertà, segnalato l´esistenza e la
resistenza di un´Italia aperta al mondo, allegra e pronta a scendere in piazza
per i propri diritti. Ed è un segnale del paradosso orwelliano in cui ci tocca
vivere che proprio questa Italia si presenti in piazza al grido: «Siamo tutti
farabutti».
È crollata in un pomeriggio una finzione costruita da mesi e anni di propaganda.
Quella per cui la questione della libertà d´informazione in Italia è soltanto
una lotta di èlites nemiche, di qui Berlusconi e i suoi media, di là
Repubblica e un pugno di giornalisti di tv e carta stampata, spalleggiati dalla
fantomatica Spectre internazionale del giornalismo di sinistra. Se così
fosse, aggiungiamo, avremmo già perso da un pezzo, visto i rapporti di forza. Ma
la questione è altra ed è quella che vede benissimo l´opinione pubblica
internazionale. Da un lato c´è una concezione classica delle libertà
democratiche, per cui il governo e l´informazione fanno ciascuno il proprio
mestiere. Dall´altro, il fronte berlusconiano, dove è affermata ormai a chiare
lettere una concezione di democrazia mutilata in cui i media debbono astenersi
dal criticare il potere politico, perfino dal porre domande non previste dal
protocollo. Altrimenti rischiano ritorsioni economiche, politiche,
giudiziarie. Sullo sfondo di un irrisolto e monumentale conflitto d´interessi,
il progetto di Berlusconi è di costringere l´intero campo dell´informazione a
due sole possibilità. Una metà militante a favore del padrone, cioè servile. E
l´altra metà comunque deferente.
Nei quindici anni di carriera politica, Berlusconi non era mai giunto
tanto vicino a raggiungere questo obiettivo come al principio del suo terzo
mandato. Una televisione e una stampa prone ai voleri del governo, in
molti casi liete di fare da semplici megafoni, hanno scortato il premier fra
infinite passerelle nella luna di miele con l´elettorato. Poi qualcosa si è
rotto. Le voci non servili o non deferenti rimangono poche, ma suonano forte e
soprattutto sono sostenute da un crescente sostegno popolare. Perfino il
pubblico televisivo, il «popolo» di Berlusconi, ha cominciato a ribellarsi a una
rassegnata deriva. Per il re delle antenne, abituato a riferire dell´azione di
governo prima (o solo) in tv piuttosto che in Parlamento, far segnare record
negativi di ascolti, quando il «nemico» Santoro polverizza un primato dopo
l´altro, è davvero un brutto segno di declino. La risposta di massa in piazza
all´appello del sindacato giornalisti è un altro pessimo segnale. Pessimo,
s´intende, per l´egemone. Magnifico per chi continua a pensare all´Italia come a
una grande democrazia occidentale.
Non sappiamo se l´opinione pubblica è davvero e ancora «una forza superiore a
quella dei governi», come scriveva Saint Simon agli albori della democrazia.
Nell´Italia di oggi è in ogni caso una forza superiore a quella di
un´opposizione politica divisa, confusa e a giudicare dagli ultimi voti
parlamentari anche distratta. Il potere ne è consapevole e infatti gli attacchi
agli organi d´informazione in questi mesi hanno raggiunto toni mai toccati dalla
polemica politica.
Per finire con una nota grottesca, parliamo del Tg1, ormai scaduto a bollettino
governativo. Ieri sera il direttore Augusto Minzolini è intervenuto con un
editoriale nel quale, dopo aver esordito definendo una manifestazione di
cittadini in favore della libertà di stampa «incomprensibile per me» (nel suo
caso, si capisce), ha ripetuto parola per parola gli slogan appena usati nel
pastone politico dagli esponenti del Pdl. Minzolini, che è quello senza occhiali
– per distinguerlo da Capezzone – non è l´ennesimo portavoce del premier,
ma un dipendente del servizio pubblico, pagato coi soldi del canone versato
anche dai manifestanti. Anzi, forse più da loro che da altri. Dovrebbe
tenerne conto e dare qualche notizia in più, invece di propinarci per la seconda
volta il Berlusconi-pensiero mascherato da editoriale.
Curzio Maltese Repubblica 4.10.09