Il crocifisso addosso

Forse i giudici della Corte di Strasburgo che hanno emesso la sentenza sull'esposizione del
crocifisso nelle scuole dello Stato, entità eminentemente profana, sono stati inconsapevoli strumenti
di un Disegno Superiore mirante a restituire la maestà del sacro al simbolo massimo della religione
cristiana, sottraendolo ai molti usi che se ne fanno.

Infatti, il crocifisso lo si vede dondolare dai lobi, dalle narici o dall'arco sopraccigliare di giovani
uomini e donne; ondeggiare su prosperosi seni di attrici, cantanti e presentatrici; pencolare da
bracciali, portachiavi, specchi retrovisori; e apparire stampigliato su indumenti e tatuato sulla pelle.
Chi lo esibisce dichiara di manifestare la sua fede in Cristo, ma probabilmente ha frainteso le parole
di Gesù: «Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»
(Matteo, 16,24). Molti che esibiscono il crocifisso hanno probabilmente scambiato "portare" per
"indossare".

Dello stesso fraintendimento sembrano essere vittime inconsapevoli quanti sostengono che la
presenza obbligatoria del crocifisso nelle scuole dello Stato sia doverosa testimonianza di una antica
tradizione, nella quale si identificano le radici e l'identità italiana. Così facendo, forse non si
avvedono di trasformare il simbolo della più universale e antimondana delle religioni nell'idolo tribale
di una entità mondana, attribuendo una fissità vegetale alle radici della identità nazionale.

Il fraintendimento del comando di Gesù sul portare la croce è antico quanto le guerre di religione fra
cristiani. Nel secolo scorso, il crocifisso fu insegna degli opposti eserciti che si massacrarono durante
la Grande Guerra, la più anticristiana fra le guerre mai combattute da nazioni che si proclamavano
cristiane. La croce col Sacro Cuore, sovrapposto al tricolore repubblicano, accompagnò i soldati
francesi all'uccisione dei soldati tedeschi, che correvano a uccidere i francesi esibendo come
protettore della Germania il Cristo crocifisso. Come simbolo di una tradizione nazionale,
l'esposizione del crocifisso nelle scuole e nei tribunali fu resa obbligatoria in Italia, a partire dal 1923,
da un regime totalitario, che predicava un'etica anticristiana, anche se siglò un concordato con la
Chiesa cattolica per confermare il cattolicesimo come religione di Stato, considerandolo una
espressione della tradizione italiana e un prodotto storico della romanità.
Il duce che volle
l'esposizione obbligatoria del crocifisso nelle scuole sosteneva che l'impero romano era stato il
presupposto storico del cattolicesimo, perché se fosse rimasta in Palestina, affermava il duce, la
religione di Cristo sarebbe stata soltanto «una delle tante sette che fiorivano in quell'ambiente
arroventato ... e molto probabilmente si sarebbe spenta, senza lasciar traccia di sé». Tale
interpretazione delle origini del cattolicesimo fu dichiarata eretica da Pio XI.
Da allora, l'esposizione del crocifisso è rimasta obbligatoria nelle scuole. Qualcuno oggi la giudica
inoffensiva, altri lesiva dei diritti umani, altri imprecano contro chi vuol togliere il crocifisso
invocando la difesa dell'identità italiana. Non sembra, comunque, che tale esposizione obbligatoria
abbia ispirato finora una effettiva pratica del comando di Cristo: «Se qualcuno vuol venire dietro di
me, rinneghi se stesso, prenda la propria croce ogni giorno, e mi segua» (Luca, 9,23).
Appeso alle
pareti delle scuole per comando dello Stato, il crocifisso non ha mosso molti italiani a seguire Cristo
prendendo la propria croce: al massimo, l'hanno indossata. Senza rinnegare se stessi.

Emilio Gentile     Il Sole 24 Ore 8 novembre 2009


 

 

Il crocefisso ridotto a bandiera nazionale

Settimana del crocefisso quella che si è conclusa. Non se ne era mai parlato tanto. Dopo la sentenza
europea che proibisce il crocefisso nei luoghi pubblici come le scuole si sono moltiplicati gli
argomenti pro e contro. Moltiplicati e ripetuti.
A favore del crocefisso, più o meno decisamente, tutte le forze politiche di destra e di sinistra. A
favore della sentenza di Strasburgo non soltanto i classici pochi «anticlericali» ma anche non pochi
credenti cristiani. Convinti, questi ultimi, cattolici e protestanti, che il crocefisso debba stare al
posto che è veramente suo, nel rispetto della laicità.
Così in un comunicato di «Noi siamo chiesa»:
«Il crocefisso è un simbolo religioso su cui meditare nel raccoglimento della propria preghiera
personale e comunitaria. Come simbolo (improprio) della identità e della cultura nazionale esso
viene usato strumentalmente da tutta la destra miscredente (quella degli atei devoti e di quelli che
adorano il Dio Po) e da quella cristiana fondamentalista».
Fanno riflettere anche gli argomenti delle autorità cattoliche contro la sentenza di Strasburgo. Il
crocefisso si dovrebbe mantenere perché simbolo non tanto di una vicenda religiosa quanto
dell'unità e della cultura nazionale. Una sorta di declassazione. Non più il Gesù storico, dunque, ma
un simbolo nazionale, portatore di unità tradizionale. Un po' come la lingua o il costume. O la
bandiera.

Uno spostamento di prospettiva che rappresenta una vera e propria degradazione del crocefisso.
Gesù destoricizzato perché sia «di tutti». È il prezzo che l'autorità cattolica è pronta a pagare per
mantenere la sua universalità?
Se ne può discutere.

Filippo Gentiloni     il manifesto 8 novembre 2009