La svolta
FILIPPO GENTILONI
«L'Europa di Benedetto» è il
titolo del volume che il cardinale Ratzinger aveva dato alle stampe prima della
elezione e che il cardinale Ruini ha presentato con una certa solennità ieri
alla stampa. Oggi, a elezione avvenuta, è logico chiederci se il Benedetto
dell'Europa sia il santo antico patrono o l'attuale Benedetto XVI. Il quale, fra
l'altro, ripete nel libro una certa diffidenza nei confronti di quell'Europa che
oggi è in crisi e che non aveva voluto esplicitare le sue «radici cristiane».
D'altronde nella sua presentazione Ruini ha parlato come se fosse il portavoce
del papa, consapevole anche del fatto che la recente vittoria referendaria gli
conferisce un'autorità ancora più forte sulla vita non soltanto della chiesa ma
di tutta la società e la politica italiana. Lo dobbiamo tenere presente: il
futuro ce lo confermerà.
Niente di nuovo nel pensiero di Ratzinger, sunteggiato da
Ruini nella sua presentazione (la stessa concezione della verità, della
modernità, del rapporto fra fede e ragione si trova esposta nel dialogo fra
Ratzinger e Habermas pubblicato pochi giorni fa da Marsilio per i libri di
Reset).
Il giudizio sugli sviluppi del pensiero moderno nel suo
complesso è decisamente negativo. L'esclusione di Dio è stata disastrosa: «Viene
meno la coscienza morale come categoria valida in se stessa: dato però che una
morale è comunque indispensabile per vivere, essa viene in qualche modo
recuperata, non facendo riferimento a ciò che è in se stesso bene o male, ma
soltanto al calcolo delle conseguenze, utili o dannose, dei nostri
comportamenti».
Relativismo, dunque: si conferma che questo è oggi il
nemico numero uno non soltanto del cattolicesimo ma di tutta l'umanità. La
chiesa si propone, perciò, non soltanto come annunciatrice di una verità ma come
salvatrice dell'umanità dal naufragio morale incombente. Perciò una svolta
epocale: lo scontro non è tanto fra le grandi religioni («che alla fine hanno
sempre saputo vivere le une con le altre»), ma fra una razionalità che «pretende
di essere autosufficiente» e il cristianesimo.
Di fronte alla sconfitta della cultura moderna, Ratzinger
esalta proprio la razionalità profonda del cristianesimo. Nessuna
contrapposizione fra fede e ragione, se è vero che proprio la fede cristiana è
la massima espressione della ragione, cioè dell'illuminismo («i valori originari
del cristianesimo hanno ridato alla ragione la sua propria voce»). Il
cristianesimo, dunque, come religione del Logos «che fin dall'origine ha
individuato i propri precursori non tanto nelle altre religioni quanto
nell'antico illuminismo filosofico, nella verità piuttosto che nella tradizione,
è si è posto non come religione di stato bensì come religione della libertà
della fede». Una religione, dunque, senza la quale l'uomo è meno uomo.
Su queste tesi, dunque, si imposta il nuovo pontificato.
Vedremo che cosa ne diranno i vari storici della religione e i sostenitori dei
valori positivi della cultura moderna laica e non relativista. Anche se non se
ne possono negare le attuali crisi, quelle che inevitabilmente giocano a favore
delle tesi pontificie.Vedremo soprattutto con attenzione come si rapporteranno
alle posizioni di papa Benedetto i molti cattolici che si può presumere che non
le condividono.
Il manifesto 22/6/05
Le crociate e la
verità in viaggio
FILIPPO GENTILONI
Il referendum sulla
procreazione assistita, con la vittoria schiacciante dell'astensionismo guidato
dalla chiesa, ha riportato in primo piano l'antico dibattito fra laici e
cattolici, un dibattito antico e mai sopito, anche se in termini parzialmente
rinnovati, grazie al contributo di Ratzinger, sia prima sia dopo la elezione.
Vale la pena di analizzarne alcuni aspetti interessanti. Quello su cui si
discute non sono tanto i dogmi, quanto il concetto stesso di verità. E in primo
piano l'accusa di relativismo, lanciata con rinnovato vigore dal Vaticano, e
raccolta con prontezza da alcuni settori importanti della cultura e della
politica. Relativismo: incertezza su tutto, impossibilità di convivenza e di
vita civile, disponibilità allo sbando totale. Mancanza di paletti, di
ancoraggi. Scetticismo. D'accordo con i cattolici (non tutti, ovviamente), anche
parecchi laici.
Ma che cosa contrappone a questo pericoloso
relativismo la dottrina cattolica? Quale assolutismo, se è vero che è proprio
l'assolutismo, nelle sue varie forme, il contrario del relativismo?
La gerarchia cattolica non contrappone al
relativismo la dottrina «rivelata»: sa bene che i dogmi sono «creduti» non da
tutti, ma soltanto dai fedeli, mentre preferisce proporre la sua verità a tutti,
non soltanto ai suoi «credenti». Ma allora deve fare ricorso a una dottrina
classica, che è stata un suo cavallo di battaglia per secoli, la dottrina della
cosiddetta legge naturale. Una dottrina valida - vera - per tutti, a prescindere
dalla loro fede religiosa. Una dottrina valida per tutte le civiltà e religioni
e della quale la chiesa cattolica sarebbe garante e custode. Così per la
famiglia, lo stato, la società civile, soprattutto il matrimonio. La legge
naturale, infatti, lo assicurerebbe fra i due sessi, monogamico, e via dicendo.
Questa è - meglio: sarebbe - la verità assoluta. Quella che preserva e salva dal
relativismo, quella senza la quale la società sprofonda nel caos.
Una dottrina che presuppone una ragione assoluta e
universale, un mondo fatto tutto a immagine di quella ragione. Una tesi che ci
riporta indietro, e di molto: al tempo in cui tutta l'umanità poteva dirsi
omogenea. Forse addirittura prima della scoperta dell'America e dei tanti mondi
e delle tante società ben diverse dalla nostra europea, occidentale, cristiana.
Un sogno? Una «crociata» di altri tempi? Contro il
relativismo non esisterebbe altra ciambella di salvataggio oltre a quella
offerta dagli assolutismi vaticani, ciambella che, inoltre, rischia di
assomigliare a quelle offerte da tutti i fondamentalismi e i neoconservatorismi?
È sul concetto di verità che, invece, la riflessione deve proseguire, al di là
del dibattito fra laici e cattolici. Una verità che non rappresenta né una
stazione di arrivo né una rinuncia: è, piuttosto, percorso, viaggio, cammino.
All'insegna del dialogo e della speranza.
Il manifesto 19/06/05
Dio al posto del
sovrano
IDA DOMINIJANNI
E'un caso che il
primo libro firmato da Joseph Ratzinger con il nome papale di Benedetto XVI esca
proprio all'indomani del vertice che ha sancito l'interruzione della costruzione
dell'Europa politica come fin qui era stata concepita? Tanto più se non ci fosse
stato calcolo, né da parte dell'autore (o degli autori, considerando
l'introduzione di Marcello Pera, che ripropone il gioco in tandem già
sperimentato in Senza radici,
il libro sull'Europa che i due firmarono assieme poco più di un anno fa) né
dell'editore (Cantagalli, in tandem a sua volta con la Libreria editrice
vaticana), la circostanza apparirebbe tutt'altro che casuale. La parola del
Papa, e il suo invito ai laici a comportarsi «come se Dio ci fosse» anticipato
sul Corsera
di giovedì scorso, non potrebbero trovare migliore contesto di accoglienza del
vuoto di progetto in cui almeno per ora è precipitata l'Unione, e della
bocciatura in cui è incorsa in Francia e in Olanda la Carta che avrebbe dovuto
sancirne i principi secolari. Col senno di poi, anzi, trova conferma l'ipotesi
che la stessa elezione a papa di Ratzinger, il candidato più esposto sul
progetto della ri-cristianizzazione dell'Europa, sia stata non poco influenzata
proprio dalla congiuntura politica che stava portando la costruzione dell'Unione
a una stretta decisiva, in un senso o nell'altro. Adesso per Benedetto XVI la
strada è in discesa. Non serve più che sia lui a decretare, come aveva già fatto
in Senza radici,
la «crisi circolatoria» in cui si dibatte il Vecchio continente: essa si mostra
da sola, nell'incapacità di fuoriuscire dalla storia del Leviatano per aprire un
nuovo capitolo della politica. Il nuovo sovrano non c'è, né illuminato né
dispotico, né accentrato né federato, ed è più facile mettere Dio nel suo posto
vacante. La modernità si rovescia su se stessa. All'inizio c'era da creare un
ordine «come se Dio non ci fosse» e la sovranità politica lo riproducesse
secolarizzandolo; oggi che la sovranità politica moderna sembra decadere
irreversibilmente, ci si chiede di comportarci «come se Dio ci fosse». E c'è del
resto chi già lo ha fatto a modo suo prima che Benedetto XVI lo chiedesse: la
sovranità della più grande potenza mondiale, ferita a morte dagli attentati
dell'11 settembre, si è rianimata nel nome di Dio. Toccherà adesso a quella
europea, abortita prima di nascere, seguire una traiettoria analoga, più
pacifica magari ma comunque rinforzata da una protesi di sacralità?
Non è a questo che fa riferimento Ratzinger, si
dirà, ma al vuoto di senso e all'assenza di verità e di fondamento che a suo
giudizio occupano lo spazio europeo disumanizzandolo: «il tentativo, portato
all'estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci
conduce sempre più sull'orlo dell'abisso, verso l'accantonamento totale
dell'uomo», si legge nel brano del libro anticipato dal Corsera. Il Papa
correda questo giudizio mettendo all'indice - non a caso - la concezione delle
libertà moderne tradotte in diritti (dalle classiche libertà di religione, di
espressione, di associazione ai più recenti diritti, compresi quelli
«contrastanti, come nel caso di contrasto tra la voglia (sic!) di libertà
della donna e il diritto alla vita del nascituro»), a suo giudizio «una confusa
ideologia della libertà che conduce a un dogmatismo che si sta rivelando sempre
più ostile alla libertà». Quale sia la sua concezione della libertà vedremo
oggi, quando il libro sarà disponibile. Ma intanto è chiaro il tiro: è alle
origini e al cuore del moderno che Benedetto XVI punta. Gli eredi
dell'illuminismo, ammesso che tale si consideri la sinistra post-novecentesca,
non avranno vita facile finché non riusciranno a ripensare dalle origini la
propria parabola storica, politica e culturale, dov'è necessario a correggerla e
comunque a ridarle un senso più rispondente alle domande del presente.
Il
manifesto 21/06/05