Cristiani, perché
la sinistra ha ancora bisogno di noi
Ci sono discorsi che non si possono improvvisare, alcuni per
farli ci vuole una vita. Sarebbe tempo
che i politici si mettessero a scrivere i loro discorsi, per far sì che il
pensiero preceda la parola. In
verità parlare senza leggere è considerata una virtù del buon politico; è un
ingrediente del successo
in tempi di grandi comunicatori. Nella campagna elettorale americana si vedono i
candidati che
parlano a lungo fissando negli occhi le telecamere; in realtà leggono il gobbo,
che è un modo di
leggere senza farsene accorgere.
Una volta leggevo in Senato il mio discorso. Si discuteva la legge 194
sull'aborto. Era un discorso
delicato, perché come cristiani della Sinistra indipendente noi non volevamo
solo agitare una
bandiera - quello si poteva fare anche parlando a braccio - ma volevamo fare una
legge equilibrata,
che non tradisse nessun principio, ma che ci facesse uscire dalla logica
punitiva della legge penale.
Perciò leggevo il mio discorso. E a un certo punto il presidente del Senato,
Fanfani, mi interruppe e
mi disse: sen. La Valle, lei fa tante citazioni, ma dovrebbe conoscere anche il
regolamento del
Senato, che vieta di leggere i discorsi in aula. Infatti nel regolamento c'era
una norma bizzarra di
questo genere, non so se ci sia ancora; forse era il residuo di un tempo in cui
in Parlamento si
andava solo per parlare, perché a decidere ci pensavano gli altri; un po' come
si vorrebbe fare oggi
offrendo qualche seggio agli esclusi come "diritto di tribuna", una tribuna
fatta per i tromboni.
Quella norma del regolamento era giustamente in disuso, ed era la prima volta,
che io sappia, che un
presidente redarguiva un senatore perché aveva preparato il suo discorso. Ma è
chiaro che era un
modo per prendere le distanze da quello che dicevo, non un cavillo
regolamentare; anche quando si
presiede il Senato si fa politica, non ci si limita a un ruolo di garanzia.
Il 2 ottobre, anniversario della nascita di Gandhi, era, indetta dalla Nazioni
unite, la giornata della
Satyagraha , che è la ricerca gandhiana della verità e dell'amore, altrimenti
detta nonviolenza. Io
ricordo la commozione di Dossetti, quando fece sosta presso la tomba di Gandhi a
Nuova Delhi,
durante un viaggio in India. Dossetti è uno dei maestri che sta nella nostra
tradizione; e quella visita
alla tomba di Gandhi non era solo un omaggio a un altro grande maestro, era
stabilire una
comunione, forse una preghiera in comune.
Gandhi non è solo il liberatore dell'India; prima ancora è stato difensore e
redentore degli
immigrati, quando egli stesso era immigrato in Sudafrica, e come avvocato
indiano era considerato
meno che niente. Gandhi lottò non solo per sé, ma per dare dignità e parità di
diritti agli immigrati:
ed è proprio lì, nel ricco e bianco Sudafrica nero che egli ha cominciato ad
essere quello che poi
sarebbe diventato.
Per questo bisogna accogliete gli immigrati: perché in ogni immigrato che
sbarca a Lampedusa o
che viene dall'Est ci potrebbe essere un Gandhi, ci potrebbe essere un
liberatore del suo popolo o di
molti popoli. Anzi è proprio questa la nuova obiezione di
coscienza da fare, contro le leggi
antixenite ; e le chiamo antixenite, e non xenofobe, perché non sono affatto
leggi dettate dalla
paura, ma sono leggi dettate dal razzismo, dall'odio e dal rifiuto, esattamente
come lo erano le
norme antisemite.
Questa è la nuova obiezione. In Italia non si può fare più l'obiezione di
coscienza al servizio
militare obbligatorio, perché quando l'obiezione passò da concessione del potere
a diritto del
cittadino, per buttare l'obiezione buttarono via l'esercito di leva. Non si può
fare e non si deve fare
l'obiezione fiscale, perché quella l'ha fatta il governo, l'ha fatta la destra
diffamando le tasse,
definendo come un furto o come un borseggio ogni prelievo fiscale; lo ha fatto
trasformando le
elezioni in un referendum anticostituzionale sull'Ici; la destra non toglie le
tasse, ma le delegittima,
allo scopo di togliere allo Stato tutte le sue risorse, tutti i soldi per la
spesa pubblica e così poter
dire, per ragioni di cassa e non per ragioni ideologiche, che non si possono
fare politiche sociali, che
bisogna licenziare 87 mila insegnanti, che bisogna svuotare l'Istituto superiore
per la sanità, che non
ci sono i soldi per i comuni, non ci sono soldi per salvare l'Alitalia, non ci
sono soldi per la cultura,
per il teatro, per l'editoria e così finalmente riuscire a chiudere anche
Liberazione e il Manifesto .
L'attacco della destra al denaro pubblico è un attacco al cuore dello
Stato. Senza denaro, e
sperperando il poco denaro che si ha, non vivono le città. Senza più
soldi, dopo l'amministrazione
del dottore che cura Berlusconi, Catania era ridotta al buio e sepolta dalla
spazzatura, anche se
nessuno lo diceva e lo faceva vedere, perché non c'era da far perdere a Prodi le
elezioni.
Allora l'obiezione da fare è quella contro le leggi ingiuste che vietano di dare
ospitalità allo
straniero. Nella nostra laicità, se c'è una cosa che diciamo "sacra", cioè
che non si può toccare, è
l'ospitalità: ma così è in tutte le culture, o almeno lo era. Noi dobbiamo fare
obiezione ospitando e
dando asilo agli stranieri come facemmo ospitando gli ebrei nelle nostre case e
nelle nostre chiese
quando, altrettanto come ora, l'ospitalità era un delitto. Naturalmente
non serve fare un'obiezione
spericolata, che rischi di provocare la confisca delle nostre case come
minacciano le leggi razziali
del governo. L'art. 5 del decreto legge sulla sicurezza che introduce nella
legislazione sullo straniero
la norma anti-ospitalità, dice che si commina la reclusione da 6 mesi a 3 anni e
la confisca
dell'immobile a chi dà alloggio a uno straniero irregolare "a titolo oneroso al
fine di trarne ingiusto
profitto". Dunque per fare obiezione senza esporsi alla vendetta penale, basta
ospitare lo straniero
gratuitamente e senza "ingiusto" profitto, magari premunendosi col farne
apposita dichiarazione
presso un notaio. Così la norma finirà per colpire solo quelli che speculano
sulla pelle dello
straniero.
Ma perché è così importante il rapporto con lo straniero, e non solo in Italia?
Perché il problema globale e imprescindibile di oggi è la riconciliazione di
tutti i popoli che sono
l'uno all'altro stranieri; il problema è che ciascuno ritrovi la sua patria, ma
la trovi oltre i suoi
confini, al di là del fiume, là dove sono altri uomini e donne, altri figli e
figlie come lui; se questo non si farà, non ci sarà pace sulla terra, e forse un
giorno non ci sarà nemmeno la terra. È stato dato già 2000 anni fa
l'annunzio della caduta del muro tra giudei e greci, cittadini e barbari, romani
e
sciti; è venuto il momento di dare attuazione a questo annuncio. Se non
fa questo, la politica è perduta. È perduta in America, è perduta in Europa, è
perduta in Israele.
Un barlume di luce è venuto in questi giorni da Israele quando il primo ministro
uscente, Olmert,
per la prima volta ha detto che non esiste l'ipotesi del grande Israele, dal
mare al Giordano; che se
Israele vuole rimanere uno Stato ebraico, e non divenire uno Stato in cui gli
ebrei siano una
minoranza, deve contrarsi per far posto accanto a sé a uno Stato palestinese; e
per questo è stato
presentato alla Knesset un disegno di legge che offre forti incentivi economici
ai coloni ebrei
insediati nei territori occupati, perché rientrino dentro i vecchi confini di
Israele del 1967.
Ciò significa dire: fin qui abbiamo sbagliato. È la
rottura di un tabù, riguardo alla terra - Eretz Israel finora
vissuto in Israele come un assoluto religioso. Ma se non si rompe questo tabù,
non c'è alcuna
soluzione per la questione palestinese (vedete fin dove arriva la laicità!); e
se le religioni per prime
non tolgono la copertura religiosa alle sacre are, ai sacri fiumi e ai sacri
confini della Patria, ancora
di più i popoli si contrapporranno gli uni agli altri, gli Stati gli uni agli
altri e le culture le une alle
altre, e non potrà esserci pace, e nemmeno diritto, e quindi nemmeno politica,
su scala mondiale.
Perciò è importante l'obiezione di coscienza che nega obbedienza a tutto
ciò che è contro la
straniero, che si tratti di armi o di basi offensive, di leggi, di sanzioni o di
dazi, di apartheid e di
sfruttamento.
(...)
E così veniamo alla nostra iniziativa, perché è sorta e perché ha osato
presentarsi con questo nome:
per giustificarne l'esistenza basterebbe questo compito, che è di lottare per
l'unità internazionale,
politica, pacifica, della intera famiglia umana. Mai l'umanità è stata così
divisa come in questi tempi
di globalizzazione. E questo ci getta nel cuore della crisi di oggi, una crisi
che non è solo nostra, ma
di tutti, non è della nostra o di altre nazioni, ma è una crisi globale. Il Dio
Mammona ci sta per
tradire. Non solo c'è la crisi della speculazione finanziaria che dai santuari
dell'America e
dell'Inghilterra si sta diffondendo in tutto il sistema, e anche da noi.
Come dice Jeremy Rifkin ci
sono tre crisi: la crisi del credito, perché si tratta di ripianare venti anni
di spese pazze fatte con
denaro virtuale, la crisi energetica perché il petrolio è agli sgoccioli, e la
crisi del riscaldamento
climatico, contro cui nessuno sa cosa fare. Sono tre elefanti, dice, che
si muovono tutti e tre in una
piccola stanza, con effetti devastanti. Occorre una riforma radicale del sistema
( Repubblica del 30
settembre). Come riconoscono ormai anche i più accaniti fautori del mercato, è
la crisi della stessa
globalizzazione e dell'attuale modo di produzione e di sviluppo. Ma al di là
dell'ordine economico,
la crisi investe l'intero sistema delle relazioni umane. Come interpretare
questo tempo della crisi? Io
ricordo che proprio Dossetti, osservando lo stato del nostro Paese e del mondo,
disse una volta: non
c'è più la colla. Cioè non c'è più il legame sociale che fa stare insieme
sistemi complessi. E infatti se
noi guardiamo alle radici più profonde della crisi, noi vediamo che esse stanno
in questo venir meno
della capacità, della voglia e della gioia di vivere insieme, che è ciò in cui
consiste la comunità
politica, la polis.
E infatti non ci sono più o sono stati licenziati i grandi strumenti di
aggregazione. Qualificandole
come obsolete, sono state licenziate le ideologie. Come troppo invadenti sono
stati licenziati i
partiti. La scuola è rovesciata in azienda, per liquidare, come si dice
esplicitamente, don Milani; il
movimento della pace non può più nemmeno esporre in pubblico le proprie
bandiere; la Chiesa si
mobilita per battaglie certamente legittime, ma che non aggregano e anzi
dividono; la Costituzione,
fatta a pezzi, non è più la casa comune di tutti gli italiani; e sul piano
internazionale il diritto è
abbandonato, le convenzioni di Ginevra sono ricusate, l'Onu vilipesa, le regole
non ci sono più.
Deregulation è stata l'ultima e definitiva ideologia del Novecento.
(...)
Che fare invece per ridare una chance alla politica? Che fare per ristabilire il
legame sociale, per
ritrovare la colla, per prendere le vie della giustizia, prima di rotture
irreparabili, prima che l'amore
finisca? Molti tentativi di riaggregazione sono finora falliti. Proviamoci
allora come cristiani, con
tutti gli altri che sono per la giustizia. Sappiamo che è una cosa temeraria.
Perché giustamente non
si usa più mettere la religione in mezzo alle cose politiche, perché ciò appare
in contrasto con la
laicità, e di fatto lo è, se a farlo sono le Chiese. Ma soprattutto è
una cosa temeraria perché non
impunemente ci si può dire cristiani; è un nome che non ci decora, ma che ci
giudica, e
richiederebbe da chiunque accetti di unirsi a questo titolo una capacità
superiore di indignazione e
di mitezza, di coraggio e di pazienza, di intransigenza e di indulgenza, di cui
non so se tutti saremo
capaci.
(...)
Può darsi che ci sbagliamo. Ma questa non è la proposta di una ideologia, tanto
meno è la
rivendicazione di una identità; è il ricorso a un rimedio: un pharmacon, come ha
detto qualcuno. Un
antidoto alla frantumazione sociale, in funzione di unità, e un antidoto anche
all'appropriazione
strumentale della fede, di cui la destra al potere fa largo uso, lei con i suoi
atei devoti. Il pharmacon
per gli antichi era insieme medicina e veleno. L'antidoto reca in sé una
particella della tossina che
vuole combattere. Non ci vogliono certezze, ci vuole umiltà per correre questo
rischio.
Si tratta di una convocazione alla giustizia, dei cristiani che come
tali sono laici, e dei laici anche se
non sono cristiani. Non tanto per un incontro tra loro (questo già
avviene in molti altri luoghi, ad
esempio nel Partito democratico) quanto per dare aiuto all'incontro degli altri,
per mettersi al
servizio della società tutta intera, per rimettere in funzione quella colla che
si è perduta, e che il
denaro non è riuscito a rimpiazzare. Se deve essere, come abbiamo detto, un
"Servizio politico",
questo è nella direzione di una mediazione alta, che non è né il dialogo che un
giorno si fa e l'altro
si nega, né l'accordo tattico che snatura i contraenti, né il compromesso
deteriore; ma è lo sforzo di
promuovere i modelli sociali più alti, le soluzioni più attente agli interessi e
ai valori di tutti; una
mediazione alta, proiettata sulle cose da fare, nella quale ogni singola parte
possa trovare una
ragione e crescere essa stessa.
Ciò nell'ambito della sinistra, di cui rivendichiamo la dignità, pur nelle sue
divisioni, ma anche oltre
la sinistra. La contraddizione tra destra e sinistra certamente non può essere
oscurata. In politica non
esistono cose che non sono "né di destra né di sinistra", e se ci fossero
sarebbero anch'esse di destra
perché pretenderebbero sottrarsi alla verifica della critica e al vaglio della
giustizia. Noi assumiamo
questa contraddizione, e perciò la nostra scelta di campo è a sinistra, ma la
assumiamo con dolore,
perché in Italia il conflitto è stato portato al parossismo da un sistema
istituzionale ed elettorale che
si è impiccato al bipolarismo, e che ha trasformato la dialettica tra destra e
sinistra in una spaccatura
verticale tra due Italie che si detestano e si odiano e rendono impossibile
perfino il pensiero di un
bene comune. La dialettica politica va mantenuta, ma questa lacerazione va
sanata. Per questo ci
vuole una mediazione alta. Ma essa non va affidata al buonismo,
bensì a una riforma del sistema
elettorale e politico che dia una più ricca articolazione e proporzionalità alla
rappresentanza, che
non cancelli le minoranze, che ristabilisca uno snodo tra governo e parlamento
perché, se i governi
passano, i parlamenti restino.
Raniero La Valle
Liberazione 11 ottobre 2008