Crisi della politica, e della democrazia
In un breve e complicato discorso di un
mese fa, il presidente Napolitano esortò a non confondere la crisi della
politica (che c'è) con la crisi della democrazia (a suo parere inesistente) e
indicò nelle istituzioni repubblicane un riferimento fondamentale al fine di
evitare pericolose confusioni. Non è semplice districarsi. Cos'è la crisi della
politica? È crisi di efficacia? Di credibilità e prestigio? È crisi morale o
istituzionale? Soprattutto: può, in una repubblica democratica, darsi
crisi della politica senza che la qualità della democrazia ne venga intaccata?
In una democrazia, sinonimo di sovranità popolare, è essenziale il
rispetto delle norme, a cominciare da quella fondamentale, che racchiude i
principi-base del patto tra cittadini e istituzioni. Se accettiamo
questo schema elementare, allora sembra difficile concordare con il presidente.
La crisi è profonda e investe precisamente il fondamento della nostra
democrazia. Limitiamoci a nominare pochi esempi.
La Costituzione del 1948 è pacifista e l'Italia è in guerra da una quindicina
d'anni. La Costituzione indica nel lavoro il fulcro della democrazia, considera
il lavoro subordinato un soggetto unitario, meritevole di protezione e titolare
di diritti inalienabili, e da oltre dieci anni i governi non fanno che ridurre
tutele, cancellare diritti, accrescere precarietà e segmentare il lavoro
dipendente. La Costituzione disegna un sistema politico a centralità
parlamentare e allude a una rappresentanza proporzionale. Ma da un decennio non
si fa che varare «riforme» elettorali e istituzionali che emarginano il
Parlamento, introducono elementi di presidenzialismo decisionista e impongono
una sorta di bipolarismo coatto tendente al bipartitismo, in violazione del
principio di uguaglianza nel diritto alla rappresentanza.
La legge sulla sicurezza, poi, privatizza una funzione-chiave della sovranità
come la tutela della sicurezza sul territorio nazionale e re-introduce norme
francamente razziste (si è puniti per quel che si è, non per quel che si fa) che
ci riportano dritti al 1938. Il progetto TivùSat (di cui pochissimi giornali -
tra cui il manifesto - hanno parlato) concentra nelle mani di un'unica persona
(il padrone di Mediaset, presidente del Consiglio) il controllo del 96% della
nuova piattaforma satellitare. Infine, il terzo scudo fiscale di Tremonti
vara l'ennesima amnistia mascherata per gli evasori nel Paese occidentale che
vanta il record assoluto di evasione fiscale. Uno dei fondamenti delle
democrazie borghesi lega l'onere fiscale al diritto di rappresentanza. C'è
da chiedersi se il fatto che in Italia il potere politico sia da tempo
prerogativa dei grandi evasori e dei loro garanti non leda in radice questo
principio-base. Ce n'è abbastanza per dire che la Costituzione somiglia sempre
più a un venerabile simulacro, e il problema non si risolve certo rimuovendolo.
Per parafrasare le parole di Napolitano, la crisi della politica c'è ed
è grave proprio perché è in crisi la democrazia e le sue istituzioni.
Resta da domandarsi dove nasca questa grave patologia. Una volta tanto non
daremo tutta la colpa a Berlusconi e alla sua parte politica. Il problema nasce
a monte. È il neoliberismo a scaricare un impatto eversivo sulla
Costituzione. L'estrema subordinazione del lavoro dipendente; la
privatizzazione delle istituzioni e della sfera pubblica; lo smantellamento del
welfare; la guerra e la gestione razzista delle migrazioni, tutto questo è parte
integrante della costituzione materiale del capitalismo neoliberista ed è
l'esatto contrario del modello sociale inclusivo ed egualitario al quale
guardavano i nostri costituenti.
Se la Costituzione resta formalmente in vita mentre prende corpo una forma di
governo autoritaria e oligarchica (che ricorda il progetto piduista), non
torna allora utile il discorso del «doppio Stato»: l'ipotesi che, nel
rispetto apparente della legalità costituzionale, si venga consolidando un
diverso sistema di dominio improntato all'arbitrio e alla corruzione,
plasticamente aderente agli assetti di potere di una società sempre più ineguale
ed immobile? Dovessimo rispondere di sì, potremmo finalmente celebrare la
nascita della famigerata «seconda Repubblica».
Alberto Burgio Il Manifesto 24 07 09