Criminali impuniti
Un saggio di
Filippo Focardi con nuovi documenti
Quando la
politica cancella la memoria
I responsabili delle stragi naziste in Italia beneficiarono di un´amnistia
occulta, mai riconosciuta dalla verità ufficiale
Svelate le trame filonaziste del vescovo austriaco Alois Hudal
L´esiguità dei processi italiani rispetto alla giustizia in Europa
È un capitolo oscuro, tuttora irrisolto, che si nutre del controverso rapporto
tra politica e storia. Politica e storia di sessant´anni fa, ma anche politica e
storia di oggi. Investe un tema delicato, la memoria italiana dei crimini
nazifascisti subiti dal nostro paese, ma anche il confronto con i crimini
commessi altrove dai nostri soldati, in Grecia e in Jugoslavia, in Francia, in
Albania e in Etiopia. Una memoria fragile, incline a reticenza, che lo storico
tedesco Lutz Klinkhammer stigmatizza - nel raffronto con gli altri paesi europei
- come "forte anomalia italiana": sia per l´esiguità dei processi penali
celebrati nel dopoguerra, sia per la ripresa tardiva dei dibattimenti dopo la
scoperta negli anni Novanta dell´"armadio della vergogna", centinaia di
istruttorie insabbiate negli scaffali della procura militare. Di fatto
un´amnistia per occultamento, dettata da ragioni diverse, non ultimo garantire
l´impunità ai criminali di casa nostra.
Ora un nuovo libro di Filippo Focardi, arricchito da una nutrita documentazione,
aiuta a ricostruire questa pagina ancora incompiuta, "sbianchettata" appena due
anni fa dalla "verità" di Stato sancita - in conclusione dei lavori della
Commissione d´inchiesta parlamentare sulle stragi nazifasciste - dall´allora
maggioranza di centro-destra (Criminali di guerra in libertà, Un accordo segreto
tra Italia e Germania federale, 1949-1955, pagg. 170, euro 18,20, Carocci). Non
fu una tessitura politico-diplomatica - sentenziò nel febbraio del 2006 il
Parlamento italiano - a impedire i processi contro gli aguzzini tedeschi o a
vanificarne l´esito. Si trattò più semplicemente di negligenza da parte della
giustizia militare. Ed è da escludere - recita ancora la relazione di
maggioranza della Commissione - qualsiasi relazione tra il corso rallentato
dell´azione giudiziaria verso i criminali tedeschi con la pratica dilatoria
attuata dal governo italiano verso l´estradizione dei criminali italiani,
richiesta avanzata soprattutto dalla Jugoslavia. Anzi, sostennero i parlamentari
di centro-destra, sarebbe più opportuno concentrarsi sulle violenze commesse dai
partigiani di Tito contro gli italiani, da qui la proposta di istituire una
commissione di inchiesta sulle foibe. La politica ieri, la politica oggi. Ma le
cose stanno esattamente così? Non agì piuttosto, al principio degli anni
Cinquanta, una ragion di Stato che pose un freno alla giustizia militare?
L´"accordo segreto" cui allude il titolo di Focardi non è in realtà una novità
storiografica. Lo rivelò lo stesso studioso nel 2003 in un convincente saggio su
Italia Contemporanea. Nel novembre del 1950 Heinric Höfler, compagno di partito
e amico personale del cancelliere Adenauer, s´accordò con il conte Vittorio
Zoppi, segretario generale del ministero degli Esteri, per la liberazione dei
criminali di guerra tedeschi condannati con sentenza definitiva. Nel giro di
pochi mesi, attraverso decreti di grazia firmati dal presidente Luigi Einaudi e
controfirmati dal ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, i militari furono
rimpatriati in Germania. Tra essi, i quattro ufficiali del cosiddetto Gruppo di
Rodi, in testa il generale Otto Wagener, responsabili dell´uccisione sull´isola
greca di numerosi prigionieri di guerra italiani.
Nel nuovo lavoro di Focardi acquista centralità un curioso personaggio finora
rimasto sullo sfondo, il vescovo austriaco Alois Hudal, rettore del Collegio
teutonico presso la Chiesa di Santa Maria dell´Anima a Roma. Il prelato si
distinse nel dopoguerra per "l´attività caritatevole" al cospetto dei criminali
tedeschi in Italia, "poveri connazionali" secondo una sua bizzarra definizione.
Fu Hudal nel maggio del 1949 a scrivere una lettera a monsignor Montini, futuro
Paolo VI, per sollecitare la Santa Sede verso una sanatoria a beneficio dei
prigionieri di guerra tedeschi condannati in Italia, missiva cui fece
immediatamente seguito un´iniziativa del Vaticano a favore del "gruppo di Rodi".
Il profilo di Hudal si staglia nitidamente dietro le manovre diplomatiche di
questi anni, fino al suo "licenziamento" decretato nel giugno del 1951 dal
ministro della giustizia tedesco, il quale in una lettera lo ringrazia per "l´opera
disinteressata e piena di abnegazione", invitandolo a riconsegnare i soldi fino
a quel momento amministrati per le necessità dei criminali. «Un emissario di
fiducia del governo tedesco», sintetizza Focardi, che utilizza le carte
dell´archivo personale di Hudal già studiate da Matteo Sanfilippo.
In fondo, il governo tedesco fece con noi esattamente quel che l´Italia aveva
fatto con la Grecia. Nel marzo del 1948 anche le autorità italiane s´erano
adoperate per la liberazione dei nostri criminali di guerra responsabili di
sanguinose rappresaglie contro i partigiani e la popolazione civile greca.
Accordi naturalmente condotti in gran segreto, in paesi in cui erano ancora
molto vive le ferite impresse dal nazifascismo.
La "pista politica" è dunque quella che spiega l´impunità dei criminali -
italiani e tedeschi - pista incomprensibilmente negata dalla relazione
conclusiva approvata a maggioranza dalla commissione parlamentare sulle stragi
nazifasciste (che pure poteva tener conto delle preziose acquisizioni
storiografiche). La ragion di Stato e il contesto internazionale vengono invece
letti come fattori decisivi nella relazione di minoranza presentata dal
centro-sinistra, che fa riferimento proprio al caso del generale Wagener e
coimputati, raccontato estesamente in questo volume di Focardi.
Le nuove ricerche della storiografia europea consentono inoltre di cogliere
l´anomalia italiana in tutta la sua portata nel raffronto con gli altri paesi.
Se l´Italia fu capace di dare solo tre ergastoli (Kappler, Reder e Niedermayer),
di cui uno in contumacia, due sole condanne a più di 15 anni di reclusione (Wagener
e Mair), ben dodici assoluzioni su un totale di ventisei persone processate, un
piccolo paese come la Danimarca - dove l´occupazione tedesca fu certo meno
sanguinaria - celebrò tra il 1948 e il 1950 almeno settantasette processi, con
settantuno condanne. Le cifre prodotte da Focardi sono impressionanti. In Belgio
furono condotti trentuno processi contro una novantina di criminali, con pene
molto pesanti tra cui ventuno condanne a morte (solo due eseguite). In Olanda i
criminali di guerra processati furono duecentotrentuno, con diciotto condanne a
morte (cinque eseguite). In Francia i processi furono centinaia, circa cinquanta
i giustiziati.
Né provvidero i tedeschi a riscattare le vittime italiane. Tutti i fascicoli
aperti in Germania alla metà degli anni Sessanta si conclusero con "un non luogo
a procedere". Con l´eccezione di Caiazzo, nessuna strage di civili italiani ha
mai avuto un processo. Per la giustizia non ci sono colpevoli.
Simonetta Fiori
Klinkhammer "L'Italia ha un problema di
coscienza"
Lutz Klink-hammer, autore di studi fondamentali sull´occupazione tedesca in
Italia, fa riflettere su un aspetto paradossale della nostra storia: da una
parte siamo il paese che meno degli altri ha fatto i conti con i crimini del
nazifascismo, dall´altra non abbiamo rivali nella detenzione di due
personaggi-simbolo come Kappler e Reder. «Dagli anni Cinquanta in poi», dice lo
storico, «l´Italia si dimostrò il paese occidentale con l´atteggiamento più duro
nell´esecuzione della pena inflitta ai due criminali nazisti condannati
all´ergastolo, Herbert Kappler e Walter Reder. Nonostante le insistenti
richieste di Bonn, il governo italiano non acconsentì al rilascio del boia delle
Fosse Ardeatine, fino a quella strana "fuga" dal Celio».
Una durezza in realtà apparente. Per due criminali in galera, tutti gli altri
beneficiarono di un´amnistia occulta.
«Sì, la carcerazione di Kappler funzionò da evento simbolico, dietro il quale
far passare l´insabbiamento di tutte le altre stragi. Rimane il fatto che
l´Italia fu l´unico paese della nascente comunità europea a non concedere, per
tre decenni, il rilascio di un criminale di guerra tedesco».
Altri criminali furono rimpatriati o mai processati.
«Le ragioni dell´insabbiamento cambiarono nel corso dei decenni. Alla fine degli
anni Quaranta il rallentamento della giustizia serviva ad evitare la punizione
dei criminali di guerra italiani. Alla metà degli anni Sessanta, su esplicita
richiesta della Germania, le autorità italiane decisero di riaprire una decina
di casi, mentre centinaia rimasero occultati».
Il risultato finale è che quei crimini sono rimasti impuniti.
«Sì, l´altro aspetto dell´anomalia italiana è la ripresa tardiva dei processi
negli anni Novanta. Istruttorie e dibattimenti sono ancora in corso, ma è sempre
più difficile provare la colpevolezza. È passato troppo tempo per una condanna
certa».
L´anomalia rivela l´incapacità di misurarsi con quella storia.
«L´Italia ha un problema di coscienza. Quella guerra fu combattuta all´inizio
con i tedeschi e questo crea difficoltà e imbarazzi. In Germania c´è stata
Norimberga: in qualche modo alla riflessione siamo stati costretti. In Italia
c´è ancora chi inneggia a Mussolini».
S.Fio.
Repubblica
19.4.08