Cosa deve fare una
scuola laica
Non è la prima volta che si propone di sostituire un insegnamento di storia
delle religioni all'ora di
religione cattolica. Negli anni '80 Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, cattolici,
ritennero i tempi
maturi per questo passaggio culturale, ma l'occasione non fu colta perché,
una volta di più, la
politica italiana si mostrò più ansiosa di una legittimazione vaticana,
attraverso un nuovo
Concordato, che sensibile alle attese presenti nella società. Cosi la
situazione italiana rimane
lontana da quella di altri paesi europei dove sono obbligatori solo insegnamenti
di etica o
educazione civica, mentre da noi la religione rimane come insegnamento
confessionale, impartito
da insegnanti scelti dall'autorità ecclesiastica, che può revocarli in ogni
momento. Una situazione
anomala, alla quale ha cercato di porre qualche rimedio il Tar del Lazio, che ha
considerato
illegittima una ordinanza ministeriale che riconosceva un credito formativo agli
studenti che
avevano scelto l'ora di religione. La ragione della violazione si trova proprio
nel Concordato, dove
si afferma che quella scelta «non deve determinare alcuna forma di
discriminazione, neppure in
relazione ai criteri per la formazione delle classi». Per i giudici la
discriminazione è evidente,
perché non si assicura la possibilità di conseguire un credito formativo a chi
professa altre religioni
o non ne professa alcuna. Si riflette qui il principio secondo il quale
l'entrata della religione nello
spazio pubblico non può attribuire ad una confessione una posizione "dominante".
Per sciogliere questo antico nodo è tornata la proposta di un insegnamento che
elimini la ragione del
conflitto, guardando al fenomeno religioso in una prospettiva storica e
comparativa. Ma la ministra
della Pubblica Istruzione, dopo aver ribadito la regola sui crediti formativi in
un modo che non
consente di superare la sentenza del Tar, ha giustificato il rifiuto di un
insegnamento
multiconfessionale anche con l'argomento che «questo non avviene nei paesi
musulmani». Ma la
democrazia non può ispirarsi alla legge del taglione, il riconoscimento di
libertà e eguaglianza non
può essere subordinato agli atteggiamenti assunti da totalitarismi o
fondamentalismi.
La linea del Governo coincide con il rifiuto vaticano dell'insegnamento
paritetico delle religioni,
rafforzato dall'affermazione per cui «spetta alla Chiesa stabilire i contenuti
autentici
dell'insegnamento della religione cattolica». Parole che rivelano la debolezza
delle tesi di chi
sostiene che quell'insegnamento non ha carattere confessionale e che gli
insegnanti di religione
hanno uno status identico a quello degli altri professori. Per essi,
infatti, non vale la norma
costituzionale sulla libertà dell'insegnamento, per l'imposizione dall'alto dei
"contenuti autentici". E
non valgono le garanzie contro le discriminazioni, poiché una parola fuori posto
o uno stile di vita
non gradito possono far scattare la revoca del nulla osta ecclesiastico.
Così, nel cuore della scuola pubblica si apre una contraddizione grave. Mai come
oggi quella scuola
deve essere il luogo del riconoscimento reciproco, non di una separazione che fa
vedere l'altro come
diverso, preparando una società del conflitto. All'inizio del '900 Gaetano
Salvemini indicava la via
per sfuggire a questi rischi. «La scuola laica non deve imporre agli alunni
credenze religiose,
filosofiche o politiche in nome di autorità sottratte al sindacato della
ragione. Ma deve mettere gli
alunni in condizione di potere con piena libertà e consapevolezza formarsi da sé
le proprie
convinzioni politiche, filosofiche, religiose».
Stefano Rodotà la Repubblica 15 settembre
2009
Ora di religione.
Quella disputa che divide lo Stato dalla Chiesa
Circolari ministeriali, Tar, Consiglio di Stato, protocolli addizionali,
vertenze sindacali, vertici di
maggioranza, dibattiti in Parlamento, incontri segreti, presidenti e monsignori
scarrozzati in giro per
l'Italia a bordo dell'aereo – si è poi saputo – di Calisto Tanzi.
Ci sono in Italia questioni che sembrano create apposta per dimostrare non
solo l'impossibilità di
essere risolte, ma anche destinate a riemergere con vana regolarità in una
dimensione misteriosa,
senza più confini. Ecco: l'ora di religione, che in questi giorni il
governo di centrodestra ha scelto
come merce di scambio per farsi perdonare i peccati del premier, è una di queste
storie senza fine
nelle quali in realtà rifulge, debitamente ammantata di sacri principi, la
tignosissima inconcludenza
nazionale.
Solita solfa, dunque, e iper-groviglio a più voci. Il classico "relitto
concordatario" (Vittorio
Messori), imposto alla Repubblica dai negoziatori vaticani per dovere di firma,
estremo avamposto
dell'ex religione di Stato. E come tale accolto dai governanti italiani, Craxi
in testa, con un
sovrappiù di furbizia tipo: vedremo poi come aggiustare la faccenda. E si vede,
infatti.
Il nuovo Concordato è del 1984. Già nell'estate del 1986 si mosse il Tar del
Lazio, terrore di ogni
legislatore, precipitando l'ora di religione in pieno marasma. Tra moduli
ritirati e fiammate
anticlericali, dopo un plebiscito di adesioni (oltre il 90 per cento) si
compresero le insidie deposto
all'articolo 9 di quel celebratissimo "accordo di libertà": nella loro ambigua
nettezza, ce n'era a
sufficienza per esercizi di laicismo, scherzi da prete e pretesti per una guerra
di religione.
Fin dall'inizio il caos attuativo si articolò su vari livelli d'incandescenza:
materia alternativa, orario
delle lezioni, destino degli alunni esonerati. Ma sopra tutto divampava – come
oggi – la disputa sul
carattere obbligatorio e confessionale dell'insegnamento.
Nulla di drammatico, per la verità, a generazioni di italiani
aveva comportato la vecchia e cara
oretta di religione, prossima per importanza a quella di musica o di ginnastica.
Innocui ricordi:
scoperte, discussioni, omelie, libri letti sotto il banco, partite a carte,
chiacchiere e dormitine, anche.
In una loro preistorica canzone, Carlo Conti e Leonardo Pieraccioni raccontano
di un amore nato
durante l'ora di religione – esito non sai bene se gradito ai cardinali Bagnasco
e Bertone.
Anche rispetto agli insegnanti vale il detto: a ciascuno il suo. Ecco dunque una
gamma vastissima di
figure, autentiche e anche immaginarie, dal sacerdote orbo di Amarcord a don
Giussani, che nelle
aule del Berchet conquistò il futuro gruppo dirigente di Cl. Pochi libri e
niente voti (che l'ineffabile
Gelmini vuol riproporre). Condizione scolastica a suo modo proverbiale come
dimostra il titolo di
quel film di Bellocchio, L'ora di religione appunto, che pure con la materia non
c'entra nulla.
E forse le cose vanno meglio quando non ci si pensa troppo. Fatto sta che
nell'autunno del 1987 la
Santa Sede depositò la sua prima bomba a orologeria. C'entrava l'obbligatorietà
e l'ordigno faceva
tic-tac sotto il tavolo del povero Goria che tampinando l'allora Segretario di
Stato cardinal Casaroli
cercò affannosamente di disinnescare la crisi di governo, come si è detto anche
grazie alla
diplomazia aeronautica della Parmalat.
Dalle cronache vien fuori un rimarchevole cammeo della Prima Repubblica:
cardinalizio Spadolini;
sfuggente Andreotti; facile profeta Almirante nel prevedere l'ennesimo
"pateracchio". L'onorevole
Ilona Staller, al secolo Cicciolina, propose un'ora di educazione sessuale
alternativa; mentre a
gestire l'improvvida matassa alla Pubblica Istruzione c'era il ministro Galloni,
per la sua specchiata
calvizie detto "la testa più lucida della Dc", invocatissimo in tv da un'attrice
satirica travestita da
insegnante che con isterico abbandono esplodeva: «Galloooni! Oh Galloooni!».
Sul risultato per così dire finale ci si affida alla caustica penna di Ghino di
Tacco, cioè Craxi:
«Ho vinto io. No, abbiamo vinto noi. Hanno vinto tutti. Non ha
vinto nessuno. È finita pari. È finita pari
e dispari. Poi di seguito un crescendo di intrighi, strategie raffinate, storie
di scavalcamenti,
appiattimenti, confessioni, sconfessioni, revisioni e conversioni. Nel
frattempo, nel campo di
battaglia invaso dal fumo, è scomparsa proprio la principale materia che ha
originato il contendere,
e cioè l'ora di religione».
Si fece allora notare per la prima volta un giovane prelato, a nome Camillo
Ruini, tanto ambizioso
quanto terrorizzato dai processi di secolarizzazione. Dopo di che nella
ricostruzione è necessario
farsi schematici per evitare la più martellante ripetitività.
Nel 1988 intervenne di nuovo il Tar del Lazio, e poi il governo, e poi il
Consiglio di Stato, e poi
anche la Corte costituzionale, ogni entità dando sostanzialmente torto a quella
che la precedeva in
giudizio. Ed era di sicuro una grande questione di principio, ma nel frattempo
urgeva l'incerto
destino degli insegnanti, nominati dai vescovi e retribuiti dallo Stato; per cui
ai già bastevoli
contendenti si aggiunse la più abbondante varietà di sindacati, oltre ai
presidi, ai provveditorati e
alla magistratura che tutelava singoli studenti esonerati che venivano rispediti
a casa o tenuti a
scuola.
Quindi ancora il Tar, ancora il governo, ancora il Consiglio di Stato e la Corte
costituzionale, oltre
alla Cei che cominciava anche a preoccuparsi per una lenta erosione.
Non c'era più la Dc, oltretutto: e ciò spinse monsignor Ruini a riaffermare il
carattere
dell'insegnamento contro "l'ora del nulla". Con il che, anche per battere il
nichilismo, nel 1994 l'ora
di religione divenne "Insegnamento della religione cattolica", Irc. Come
se per salvare la fede e le
opere di Santa Romana Chiesa bastasse una sigla – e lo Spirito fosse un optional
o un pretesto per
attaccare briga (in attesa del prossimo Tar del Lazio).
Filippo Ceccarelli la Repubblica
15 settembre 2009