Cos'è il sistema mediatico.
[…] A ben vedere, tutta la ormai annosa disputa
sull'efficacia «elettorale» e, più in generale «politica», del potere mediatico
si basa su di un equivoco. Si finge di credere che la prevalenza
politico-elettorale venga posta (dagli sconfitti) in relazione con il possesso e
il controllo dell'informazione politica. Ma questa costituisce un aspetto minimo
della questione: è al più la dose di potere mediatico che concerne l'élite
politicizzata. Tutto il resto dell'immensa produzione - senza più
differenze tra emittenti private e pubbliche, perché queste ultime per
sopravvivere sono mera copia delle prime - è ormai un colossale veicolo
dell'ideologia, o per meglio dire del culto, della ricchezza.
Non importa più chi controlli:
è stato plasmato il gusto ed esso esige comunque un adeguamento totale. Il
dominio della merce è diventato culto della merce ed è tale culto che
quotidianamente crea, e alla lunga consolida, il culto della ricchezza. La
colossale massa di emissioni consacrate alla promozione delle merci è, a ben
considerare, il principale contenuto della gigantesca «macchina» televisiva. Non
importa di quale prodotto, meglio se di tutti. Quello che ad una minoranza di
fruitori appare come un disturbo (di cui attendere la conclusione per
«riprendere il filo») è invece il testo principale: ore e ore quotidiane di
inno alla ricchezza presentata, con mirabile efficacia, come status a portata di
mano.
Il lato geniale ed irresistibile di questo genere del
tutto muovo di «conquista dell'opinione» è che esso non si manifesta mai in
modo direttamente politico. Essa ha fatto tesoro della constatata sconfitta
dell'altro metodo: quello, per così dire, «concettuale» del «lavaggio del
cervello» esplicitamente propagandistico. Come s'è visto, dovunque il metodo
di indottrinamento diretto ha suscitato fastidio, estraneità e alla fine ripulsa.
Lo si può praticare con successo solo se lo si destina ad una ristretta élite
gravata di speciali responsabilità (è il caso della Chiesa cattolica nella
formazione dei suoi «quadri»): altrimenti sortisce l'effetto contrario.
Invece il metodo «subliminale», anche perché le opzioni che deve indurre a preferire sono di carattere elementare se non proprio infantile (più merci = più felicità), è di effetto certo: non fa che prospettare, ininterrottamente, immagini, brevi e di facile fruizione intellettuale anche per deficienti, di un mondo (fittizio) già reso perfetto e felice dalla sovrabbondanza delle merci di ogni genere.
Non meno efficace è il ritrovato, costante nell'intera straripante produzione pubblicitaria, di mostrare intorno ad ogni (singola) merce la vita felice di tutti i giorni (nello sua forma più luccicante e attraente) di infinite «persone qualunque»: le quali in realtà sono sapientemente selezionate al fine di determinare un immediato effetto di auto-identificazione, immedesimazione e conseguente spinta mimetica, al prodursi del quale «il gioco è fatto». Non c'è bisogno di un orwelliano «grande fratello» per orchestrare tutto questo: è una macchina che si autoregola e si moltiplica per il fatto stesso di essere, anche economicamente, sommamente redditizia.
Prima di indurre centinaia di migliaia di uomini a transitare al di qua dell'ormai affondata «cortina di ferro», o a varcare i mari rischiando anche la vita pur di sbarcare nel «paese di Bengodi» (si parlò a questo proposito, anni addietro, di spot people), quegli influentissimi testi - la cui produzione costa miliardi e che movimentano milioni e milioni di consumatori in tutto il mondo - avevano preliminarmente conquistato la mente, per non dire l'anima, innanzitutto dei cittadini di serie A, cioè di quelli che «già c'erano» nel paese di Bengodi.
I grandi creatori di pubblicità sono dunque i veri e a loro modo geniali «intellettuali organici» della vincente dittatura della ricchezza. Non ha molta importanza la patetica battaglia per pareggiare più o meno equamente gli spot elettorali: tutto il resto sono i veri spot elettorali. Essi indirizzano milioni di utenti a simpatizzare per quelle forze che gridano con santo sdegno: «lasciateci godere della nostra ricchezza!», e come unica «ideologia» trasmettono il più sollecitante dei messaggi: «cercate di diventare come noi!».
Luciano
Canfora ( tratto dal suo
libro "La democrazia, toria di un'ideologia" (Laterza) )