Il corpo come luogo
pubblico
Con il passare dei giorni si fa più netta la natura del conflitto intorno al
tema del testamento
biologico, che nella prossima settimana verrà discusso al Senato. Nel fuoco
delle polemiche che
hanno accompagnato le ultime giornate della vita di Eluana Englaro sembrava che
una legge
dovesse avere una finalità precisa, quella di risolvere le due questioni che
avevano appassionato e
diviso l'opinione pubblica: le modalità del testamento biologico, per eliminare
ogni dubbio
sull'effettiva volontà della persona; e l'ammissibilità della rinuncia
all'idratazione e alla
alimentazione forzata. Ma il disegno di legge della maggioranza ha reso
manifesta un'intenzione
diversa, più generale, e tanto più inquietante perché incide profondamente sui
diritti fondamentali
della persona, e così altera lo stesso quadro costituzionale. Ciò
di cui si discute è il rapporto della
persona con il suo corpo, dunque l'area più intima e segreta dell'esistenza,
alla quale la politica e la
legge dovrebbero accostarsi con rispetto e prudenza, consapevoli che vi sono
aspetti della vita che
la Costituzione ha messo al riparo da ogni intervento esterno, che ha voluto
intoccabili. Negli ultimi
anni, invece, in Italia si è venuto consolidando un orientamento diverso, che
descriverei ricorrendo
al titolo di un libro di Barbara Duden: Il corpo della donna come luogo
pubblico. Sull'abuso del
concetto di vita. Del corpo della donna il legislatore si è pesantemente
impadronito con l'autoritaria
e proibizionista legge sulla procreazione assistita, negando la libertà
femminile e creando davvero
quel far west legislativo che si diceva di voler combattere. Oggi, infatti,
migliaia di donne emigrano
ogni anno in altri paesi per sfuggire agli assurdi divieti di quella legge,
obbligate a pesanti costi
finanziari e umani, mettendo pure a rischio la salute loro e dei figli che
nasceranno.
Ora si vuole far diventare "pubblico" il corpo di tutti noi. Il rifiuto
di cure, diritto ovunque
riconosciuto e caposaldo della stessa soggettività morale, viene sostanzialmente
negato dalla
proposta della maggioranza. La sorte del corpo nel tempo del morire è
sottratta alla libera decisione
dell'interessato, viene affidata ad un medico investito del ruolo di funzionario
di uno Stato etico che,
appunto, ha proceduto alla "pubblicizzazione" del corpo.
Il testamento biologico diviene un simulacro vuoto, una formula che contiene il
suo opposto. Si
obbligano le persone ad un infinito iter burocratico, con obblighi continui di
recarsi dal notaio, di
chiedere firme del medico, di effettuare rinnovi periodici. Tutto questo per
approdare al nulla. Il
delirio formalistico non produce una volontà da rispettare, ma un "orientamento"
che il medico può
ignorare del tutto. E non solo viene esclusa la possibilità di rinunciare a
trattamenti come
l'alimentazione e l'idratazione forzata. Si finisce con il sottrarre alla libera
scelta delle persone
materie nelle quali il rifiuto è stato finora riconosciuto, dalla trasfusione di
sangue alla dialisi,
all'amputazione di un arto, al ricorso a tecniche meccaniche e farmacologiche.
Non è di una vicenda specifica, sia pur rilevantissima, di cui dobbiamo
preoccuparci. Siamo di
fronte ad una ideologia riduzionista del senso e della portata dei diritti
fondamentali, che vuole
impadronirsi dell'intera vita delle persone. Del nascere si è già impadronita,
ora vuole farlo per il
morire, e pone pesanti ipoteche sul vivere, come accade quando si rifiuta ogni
riconoscimento alle
unioni di fatto.
Mettendo così le mani sulla vita delle persone, si mettono pure le mani sulla
prima parte della
Costituzione che, a parole, si continua a proclamare intoccabile. Si manipolano
principi fondativi
del nostro sistema, che la Corte costituzionale ha dichiarato immodificabili. E
tutto questo avviene
mentre tutte le rilevazioni ci dicono che la maggioranza dei cittadini
interpellati ritiene che proprio
le decisioni sulla vita debbano rimanere patrimonio dell'interessato e della sua
famiglia. Si apre così
non solo una questione di rispetto della Costituzione, ma di rappresentanza
politica. Molti, sempre
di più e più spesso, si riuniscono, scendono in piazza. In quali luoghi della
politica ufficiale arriverà
questa voce?
Stefano Rodotà la Repubblica 22 febbraio 2009