Il coraggio
dimenticato
Chi racconta che l´arrivo dei migranti sui barconi porta valanghe di criminali,
chi racconta che incrementa violenza e degrado, sta dimenticando forse due
episodi recentissimi ed estremamente significativi, che sono entrati nella
storia della nostra Repubblica. Le due più importanti rivolte spontanee
contro le mafie, in Italia, non sono partite da italiani ma da africani.
In dieci anni è successo soltanto due volte che vi fossero, sull´onda dello
sdegno e della fine della sopportazione, manifestazioni di piazza non
organizzate da associazioni, sindacati, senza pullman e partiti. .
Manifestazioni spontanee. E sono stati africani a farle.
Castelvolturno, il 19 settembre 2008, dopo la strage a opera della camorra in
cui vengono uccisi sei immigrati africani. Le vittime sono tutte giovanissime,
il più anziano tra loro ha poco più di trent´anni, sale la rabbia e scoppia una
rivolta davanti al luogo del massacro. La rivolta fa arrivare telecamere da ogni
parte del mondo e le immagini che vengono trasmesse sono quelle di un intero
popolo che ferma tutto per chiedere attenzione e giustizia. Nei sei mesi
precedenti, la camorra aveva ucciso un numero impressionante di innocenti
italiani. Ma nulla. Nessuna protesta. Nessuna rimostranza. Nessun italiano
scende in strada. I pochi indignati, e tutti confinati sul piano locale, si
sentono sempre più soli e senza forze. Ma questa solitudine finalmente si rompe
quando, la mattina del 19, centinaia e centinaia di donne e uomini africani
occupano le strade e gridano in faccia agli italiani la loro indignazione.
Succedono incidenti. Il giorno dopo, gli africani, si faranno carico loro stessi
di riparare ai danni provocati. L´obiettivo era attirare attenzione e dire: "Non
osate mai più". Contro poche persone si può ogni tipo di violenza, ma contro un
intera popolazione schierata, no.
E poi a Rosarno. In provincia di Reggio Calabria, uno dei tanti paesini del Sud
Italia a economia prevalentemente agricola che sembrano marchiati da un
sottosviluppo cronico e le cui cosche, in questo caso le ´ndrine, fatturano
cifre paragonabili al Pil del paese. La cosca Pesce-Bellocco di Rosarno aveva
deciso di riciclare il danaro della coca nell´edilizia in Belgio, a Bruxelles,
dove per la presenza delle attività del Parlamento Europeo le case stavano
vertiginosamente aumentando di prezzo. L´egemonia sul territorio è totale, ma il
12 dicembre 2008, due lavoratori ivoriani vengono feriti, uno dei due è in
gravissime condizioni. La sera stessa, centinaia di stranieri – anche loro, come
i ragazzi feriti, impiegati e sfruttati nei campi – si radunano per protestare.
I politici intervengono, fanno promesse, ma da allora poco è cambiato.
Inaspettatamente, però, il 14 di dicembre, ovvero a due soli giorni
dall´aggressione, il colpevole viene arrestato e il movente risulta essere
violenza a scopo estorsivo nei riguardi della comunità degli africani. La
popolazione in piazza a Rosarno, contro la presenza della ´ndrangheta che domina
come per diritto naturale, non era mai accaduto negli anni precedenti. Eppure,
proprio in quel paese, una parte della società, storicamente, aveva sempre avuto
il coraggio di resistere. Ne fu esempio Peppe Valarioti, che in piazza disse:
«Non ci piegheremo», riferendosi al caso in cui avesse vinto le elezioni
comunali. E quando accadde fu ucciso. Dopo di allora il silenzio è calato nelle
strade calabresi. Nessuno si ribella. Solo gli africani lo fanno.
E facendolo difendono la cittadinanza per tutti i calabresi, per tutti gli
italiani.
Per
il pubblico internazionale risulta davvero difficile spiegarsi questo generale
senso di criminalizzazione verso i migranti. Fatto poi da un paese, l´Italia,
che ha esportato mafia in ogni angolo della terra. Che hanno fatto
sviluppare il commercio della coca in Sudamerica con i loro investimenti, che
hanno messo a punto, con le cinque famiglie mafiose italiane newyorkesi, una
sorta di educazione mafiosa all´estero. Oggi, come le indagini dell´Fbi e della
Dea dimostrano, chiunque voglia fare attività economico-criminali a New York che
siano kosovari o giamaicani, georgiani o indiani devono necessariamente mediare
con le famiglie italiane, che hanno perso prestigio ma non rispetto. Le mafie
straniere in Italia ci sono e sono fortissime ma sono alleate di quelle
italiane. Non esiste loro potere senza il consenso e la speculazione dei
gruppi italiani. Basta leggere le inchieste per capire come arrivano i
boss stranieri in Italia. Arrivano in aereo da Lagos o da Leopoli. Dalla
Nigeria, dall´Ucraina dalla Bielorussia. Le inchieste più importanti come quella
denominata Linus e fatta dai pm Giovanni Conzo e Paolo Itri della Procura di
Napoli sulla mafia nigeriana dimostrano che i narcos nigeriani non
arrivano sui barconi ma per aereo. Persino i disperati che per pagarsi un
viaggio e avere liquidità appena atterrano trasportano in pancia ovuli di coca.
Anche loro non arrivano sui barconi. Mai.
Quando si generalizza, si fa il favore delle mafie. Loro vivono di questa
generalizzazione. Vogliono essere gli unici partner. Se tutti gli
immigrati diventano criminali, le bande criminali riusciranno a sentirsi come i
loro rappresentanti e non ci sarà documento o arrivo che non sia gestito da
loro. La mafia ucraina monopolizza il mercato delle badanti e degli operai
edili, i nigeriani della prostituzione e della distribuzione della coca, i
bulgari dell´eroina, i furti di auto di romeni e moldavi. Ma questi sono una
parte minuscola delle loro comunità e sono allevate dalla criminalità italiana.
Avere un atteggiamento di chiusura e criminalizzazione aiuta le
organizzazioni mafiose perché si costringe ogni migrante a relazionarsi alle
mafie se da loro soltanto dipendono i documenti, le abitazioni, persino gli
annunci sui giornali e l´assistenza legale. E non si tratta di
interpretare il ruolo delle "anime belle", come direbbe qualcuno, ma di
analizzare come le mafie italiane sfruttino ogni debolezza delle comunità
migranti. Meno queste vengono protette dallo Stato, più divengono a loro
disposizione. Il paese in cui è bello riconoscersi – insegna Altiero Spinelli
padre del pensiero europeo – è quello fatto di comportamenti non di monumenti.
Io so che quella parte d´Italia che si è in questi anni comportata capendo e
accogliendo, è quella parte che vede nei migranti nuove speranze e nuove forze
per cambiare ciò che qui non siamo riusciti a mutare. L´Italia in cui è bello
riconoscersi e che porta in sé la memoria delle persecuzioni dei propri migranti
e non permetterà che questo riaccada sulla propria terra.
Roberto Saviano Repubblica 13.5.09