CONTRO LA SPINTA ALLA RESTAURAZIONE, RITROVIAMO LA SPINTA DEL CONCILIO
 

Mafia, illegalità e corruzione come segno della crisi della democrazia, dove gli interessi costituiti prevalgono sugli ideali. Interessi anche clericali, perché oggi abbiamo un rapporto della gerarchia in presa diretta con gli affari della politica, un nuovo gentilonismo che privilegia il rapporto con posizioni di potere ‘disponibili', smentendo il Concilio e la laicità della mediazione culturale del laicato. E se il presidente della Cei rinnova il non expedit invitando al non voto, c'è qualcosa che va riformato. Anche perché, mentre la gerarchia tratta con il potere smanioso del consenso cattolico, questo stesso potere ha condotto l'Italia ad un degrado senza pari. Nel tutto, il silenzio del laicato è assordante. Occorre dunque che questo laicato torni ad organizzarsi per fare da contrappeso alla restaurazione politica e religiosa, alla deriva verso una presenza diretta della Chiesa in politica di tipo autoritario. L'appello al laicato conciliare nell'intervento dello storico Pietro Scoppola, punto di riferimento del cattolicesimo democratico italiano.


La crisi della democrazia
Abbiamo appena ascoltato un intervento molto preciso e puntuale sul tema specifico della mafia e della invincibilità della mafia. Questa è la realtà con la quale misurarsi. Il nesso che ora cercherò di sviluppare ri-guarda il ruolo che la coscienza etica può svolgere, e in particolare il ruolo che la Chiesa può svolgere, per affrontare fenomeni quali mafia, illegalità, corruzione, ingiustizia.
La prima domanda che nasce spontanea, e sulla quale dobbiamo misurarci, riguarda la democrazia: come mai dopo sessant'anni di democrazia questi fenomeni si presentano tali e quali, anzi, più gravi di come si presentavano nell'Italia liberale? Tutti sap-piamo, ad esempio, che la mafia è un fenomeno radi-cato in Sicilia da secoli, non è una cosa recente. Perché dopo sessant'anni di democrazia il male non solo non è stato sanato, ma in qualche misura si è aggravato? Occorre dunque una riflessione sulla crisi della demo-crazia. Dobbiamo prendere coscienza che le democra-zie dell'Occidente, le democrazie dei Paesi ricchi, sono tutte in crisi. Sono in crisi proprio per effetto della famosa società dei due terzi. La democrazia nasce e si afferma quando la maggioranza è povera e si fa forte del numero per affermare i suoi diritti. Quando in una società la maggioranza è abbiente, e in alcuni casi ricca, la forza del numero gioca nel senso della conserva-zione degli interessi costituiti. Come in Sicilia, dove la mafia ha consenso. Il dramma, infatti, è che in Sicilia la mafia non è un fenomeno sovrastrutturale, ma è un fenomeno radicato, che ha un consenso profondo. E la democrazia in sé non è sufficiente a sradicare questo fenomeno perché i meccanismi del consenso rispec-chiano gli interessi costituiti.
Questo è un tema che ha dimensioni planetarie. Il dramma nasce dal fatto che i paesi democratici, che sono i paesi dell'Occidente ricco, sono quelli che utiliz-zano la maggior parte delle risorse, l'80%, mentre affrontano problemi di ordine planetario riguardanti un'umanità che, per l'80%, ha viceversa accesso solo al 20% delle risorse. Un rapporto rovesciato: il primo aspetto della globalizzazione è questo. Già nell'84 Norberto Bobbio, nel suo libro "Il futuro della demo-crazia", osservava con amarezza che una delle promes-se non mantenute della democrazia era quella di alimentare autonomamente e spontaneamente lo spirito democratico, promessa non mantenuta perché la democrazia spontaneamente non si alimenta.
La democrazia non è autosufficiente, la democrazia non produce i valori morali di cui ha bisogno per funzionare. La democrazia nasce da forti istanze etico-religiose (pensiamo alla democrazia americana, ai Padri Pellegrini), ma non è in grado di riprodurre queste istanze. Quando i meccanismi del progresso economico, sociale, eccetera, producono l'effetto per cui la rappresentanza degli interessi prevale su qualun-que motivo ideale, la democrazia va in crisi.
Guardiamo la democrazia americana: un grande paese democratico che trova al suo interno sempre le risorse per rispondere alla sfida degli eventi (e credo che vedremo presto una reazione dell'anima profonda americana), ma non c'è dubbio che oggi è l'esempio più vistoso di questo fenomeno di dimensioni mon-diali. Che ha una gravità eccezionale, perché si colloca nel momento di un confronto con l'altra parte del mondo, quella che non ha avuto accesso alla demo-crazia e allo sviluppo, nel momento in cui non ab-biamo più lo strumento istituzionale per questo con-fronto: la crisi dell' Onu è la crisi dello strumento giuridico in grado di gestire tale confronto.
Dobbiamo quindi collocare la nostra riflessione in questo quadro di dimensioni ampie, planetarie. Ci sono poi certamente fattori specifici italiani. La crisi della nostra democrazia non è soltanto una manifestazione del fenomeno più ampio cui ho fatto cenno. Qui c'è un problema di cittadinanza. Di cittadinanza fragile, di cittadinanza debole, per le tante ragioni che sono state esaminate e discusse in sede storica e sociologica: la difficile rinascita (o nascita) dopo il fascismo della democrazia in Italia, il ruolo complesso e per certi aspetti contraddittorio che i partiti hanno avuto, le identità di partito che hanno sostituito il senso con-diviso della cittadinanza, una crescita tumultuosa sul piano economico che non è stata accompagnata da uno sviluppo etico, morale.
E in questo la Chiesa è stata carente, perché negli anni in cui la Chiesa combatteva il comunismo, la minaccia comunista (anche quando la minaccia si era fatta meno incombente), in realtà si sviluppava un logoramento etico attraverso quei processi di secolariz-zazione che hanno corroso in profondità, in radice il tessuto etico del Paese. Ricordo una riflessione di Guido Carli: "l'Italia era un paese abbastanza virtuoso per essere povero, ma non abbastanza virtuoso per essere ricco". C'è molto di vero in questo.

Il ruolo dei cattolici
Che cosa ha fatto la Chiesa? E qui passiamo al secondo aspetto del tema: il ruolo dei cattolici. Qui stiamo attenti a non semplificare, a non dare giudizi sbrigativi, perché la realtà è a molte facce e bisogna tenere conto di tutta la complessità del fenomeno. La Chiesa ha avuto un grande ruolo per lo sviluppo della democrazia nel nostro Paese, per lo sviluppo della convivenza. Basti pensare a cosa sono stati i mesi, gli anni del passaggio, della transazione dal fascismo al post-fascismo gli anni della guerra civile.
La Chiesa è stata (Chabod ha scritto delle pagine splendide su questo) l'elemento che ha garantito il tessuto della convivenza a livello fondamentale, a livello di base, prima che le lacerazioni politiche tornassero a dividere il Paese. E questa è stata la premessa del successo della Democrazia Cristiana. La Democrazia Cristiana ha avuto un grande ruolo nella storia del nostro Paese. Il fatto che oggi non esista più non cancella quello che per molti anni è stato un ruolo positivo: pensiamo al fatto dell'aver giocato in senso democratico tutto il peso che il consenso della presenza cattolica offriva, nel confronto da un lato con l'eredità del fascismo, e dall'altro con la presenza di un comunismo segnato dal legame di ferro, come lo chiamava Togliatti, con l'Unione Sovietica, nel quadro di una situazione internazionale che era quello della guerra fredda. Sono grandi i meriti storici sui quali oggi non ci sono più dubbi a livello storiografico: mi sembra perciò giusto sottolineare questi meriti passati, riconoscere il ruolo positivo che la presenza cattolica ha svolto per lo sviluppo della democrazia in questo Paese, perché ha reso possibile un confronto democra-tico con forze come il comunismo che democratiche non erano e lo sono diventate grazie proprio a tale confronto democratico. L'anticomunismo di De Gasperi era un anticomunismo democratico. Ossia un anticomunismo che voleva che il confronto restasse nel quadro parlamentare, democratico, costituzionale. Oggi, quando ci si richiama all'anticomunismo dega-speriano, si dimentica questa distinzione fondamentale.
Poi c'è la decadenza, la crisi, il logoramento del si-stema. E c'è una situazione in cui la presenza cattolica si dimostra non più all'altezza di guidare il processo di transizione, di trasformazione. Noi abbiamo da 15 anni una transizione senza guida. E una transizione senza guida che dura 15 anni è una transizione che alla fine non può che corrompersi! E si è corrotta, si è corrotta al punto che siamo in una situazione peggiore di quella di partenza.
Ma ci rendiamo conto che noi avremo un Parla-mento nominato, sostanzialmente, dai partiti? E che all'elettore italiano toccherà soltanto dire quali sono le quote che spettano ad ogni partito che nomina i rap-presentanti? Nonostante l'esperienza delle primarie che abbiamo avuto, gli oltre quattro milioni di cittadini che sono andati a votare per decidere il leader dell'Unione, la invadenza della partitocrazia è tale e quale a quella che era all'inizio della transizione grazie in particolare sciagurata legge elettorale che è stata introdotta dalla destra. Già, il problema della destra italiana: questa destra senza storia, questa destra di tipo non europeo è un problema specifico italiano, non è un problema generale della crisi della democrazia.

La gerarchia in presa diretta sul potere
E qui allora le responsabilità della Chiesa sono, diventano complesse.
Oggi siamo in una situazione in cui la Chiesa è tentata, e di fatto incline a una deriva che la porta a privilegiare il rapporto con posizioni di potere che si presentano come disponibili a soddisfare domande e richieste della gerarchia, in cambio del consenso. È quello che noi storici chiamiamo la gentilonizzazione del rapporto fra lo Stato e la Chiesa, il ritorno al genti-lonismo, ossia il ritorno a una situazione, a un rapporto di scambio, che è la negazione di tutto quanto il Con-cilio ha affermato: il principio della competenza del laicato nel campo politico e del ruolo di mediazione che il laicato deve svolgere. Questa mediazione bene o male l'ha svolta per un lungo periodo la Democrazia Cristiana, oggi non la svolge più nessuno.
Oggi abbiamo un rapporto della gerarchia in presa diretta con gli affari della politica. E questa presa diretta si esercita preferenzialmente verso le forze che sono più disponibili, più visibili. Ci rendiamo conto del guasto che rappresenta, per un corretto equilibrio dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, il fatto che nel centro sinistra non c'è una presenza cattolica forte e visibile? E viceversa, dall'altra parte, c'è una presenza cattolica ostentata, con la quale è più facile intrattenere i rapporti.
Dobbiamo risalire una china, recuperare su una situazione di notevole degrado. Se pensiamo alla situazione degli anni '70 e '80, se pensiamo alla vivacità del dibattito di allora, ci rendiamo conto dell'arretra-mento di oggi! Ci rendiamo conto del silenzio, di questo pesante, assordante silenzio che caratterizza ormai la vita della Chiesa italiana, del laicato italiano, del laicato cattolico? Un silenzio al quale ha contri-buito indubbiamente - vedete come la storia è sempre complessa - il grandioso pontificato di Giovanni Paolo II. L'identificazione della sua figura con il ruolo stesso della Chiesa, la proiezione della sua figura a livello planetario (non dimentichiamo gli anni di passaggio di secolo e di millennio dominati dalla figura del Papa più che dalla figura di qualsiasi leader politico; non dimen-tichiamo i momenti della morte, i funerali): tutto que-sto, tutta questa grandezza ha rappresentato un peso terribile sulla vita fragile, delicata, delle singole chiese locali, dell'associazionismo, dell'esperienza laicale.
Dobbiamo dunque recuperare a partire dalla base, recuperare una presenza della base e del laicato nella società che è la premessa per una risposta al fenomeno mafioso e al fenomeno dell'illegalità in genere. Perché non si risponde al fenomeno mafioso e dell'illegalità solo a livello di legge o a livello di intervento della ma-gistratura: questo intervento rimane prezioso, non voglio certo diminuire il valore del ruolo che hanno svolto determinate Procure della Repubblica; ma questo intervento isolato non può dare tutti i suoi frutti, ha bisogno di un sostegno. E questo sostegno non c'è se questa grande agenzia etica - la chiamo così proprio per dare una visione laica del fenomeno - che è la Chiesa in Italia, con la sua ramificazione capillare, con i suoi vescovi, i suoi parroci, nel suo complesso non si mobilita, non si muove, non si rende consape-vole, non prende coscienza. E questa presa di coscien-za significa appunto risalire la china, tornare a una visione del Concilio, alla lezione del Concilio che è stata, dobbiamo dirlo, dimenticata, messa in ombra.
Quando abbiamo un presidente della Conferenza Episcopale che non solo legittimamente e giustamente si pronuncia sui temi della procreazione assistita, ma addirittura invita al non voto, ossia a una scelta con-creta, in qualche modo rievocando i fantasmi del non expedit ottocentesco, quando si arriva a queste situa-zioni evidentemente c'è qualcosa che non funziona, c'è qualcosa che va riformato. Non contro: è finita la contestazione, non ci sono più gli spazi della conte-stazione. È molto se si sopravvive.
Bisogna ripartire dalla base, ma il problema diventa estremamente delicato, estremamente difficile, nessuno di noi può presumere di avere delle formule. Da un lato ci sono i movimenti cattolici tutti d'un pezzo, che sono visibili, che sono forti, che sono presenti, dal-l'altro c'è il cattolicesimo che potremmo definire conciliare, quello che sente la responsabilità della mediazione a livello molecolare, di base, come respon-sabilità delle singole coscienze, e che rifiuta, come dire, l'idea dei legionari, l'idea delle milizie.

La restaurazione autoritaria e l'appello al laicato conciliare

Ma questo cattolicesimo conciliare è tutto fram-mentato. La sua ricchezza è il fatto di essere mole-colare, però le molecole si possono anche organizzare, si possono anche collegare e saldare insieme, si pos-sono mettere in un circuito, possono anche trovare una coscienza comune. Abbiamo bisogno di ridare a questo cattolicesimo italiano di base, che vuole restare fedele all'insegnamento del Concilio, la forza di rap-presentare il contrappeso alla deriva verso una pre-senza diretta della Chiesa in politica di tipo autoritario. Dobbiamo dare la spinta perché si trovino momenti di collegamento. Adista può svolgere una funzione importante in questo senso. Ma non solo Adista, bisogna creare mille forme di collegamento. Sono convinto che indietro non si torna. Ma la spinta a tornare indietro è già, e sarà fortissima.
La spinta alla restaurazione religiosa è già presente, ed è già forte. E bisogna che a questa spinta verso la restaurazione, viceversa, si contrapponga la coscienza di quello che è cambiato. Pensiamo alla Bibbia che è entrata nel circuito della vita cattolica. E il fatto della Bibbia in mano alle persone è un qualcosa che cambia profondamente, irreversibilmente la Chiesa, alla base. Pensiamo alle nuove liturgie, al nuovo modo di partecipare alla messa, alla grande rivoluzione della lingua: sono tutte cose che vanno difese! E vanno difese attraverso una partecipazione, una condivisione. Come ho cercato di spiegare nel mio libro La demo-crazia dei Cristiani, le due cose vanno insieme: riforma religiosa e crescita civile e politica.
Occorre dunque creare le condizioni culturali e politiche per uscire dalla situazione di degrado, questo dobbiamo dirlo con chiarezza, in cui la politica italiana è caduta negli ultimi anni.
In pochi momenti della nostra storia siamo giunti a tali punti di degrado. Le leggi fatte su misura dell'inte-resse della classe dirigente. Una legge elettorale fatta su misura per ridurre l'effetto della sconfitta prevista e calcolata. Un ministro della Repubblica il quale si van-ta di creare quei contraccolpi che ha creato, mi rife-risco tanto per non fare nomi al ministro Calderoli, se non fosse chiaro.
E qui vorrei inserire un cenno proprio al tema del rapporto con l'Islam, perché sarà il tema del futuro. Se non si vuole che il mondo vada in fiamme (ma così ci stiamo andando, il mondo sta andando in fiamme!), bisogna che ci sia un soprassalto di energie, di respon-sabilità in senso opposto alla logica dei fondamen-talismi religiosi. Non si può rispondere alla minaccia reale del fondamentalismo islamico contrapponendogli una sorta di fondamentalismo cattolico, tendendo e ce-dendo alla tentazione dell'identificazione fra cultura, civiltà e appartenenza di fede! Su questo la parola del pa-pa è stata chiara: chiara la parola di Giovanni Paolo II, chiarissima la parola del suo successore. Altro è una identità politica, culturale, altro è una appartenenza religiosa.
Ma ci sono voci che agiscono in senso opposto, fomentando la cosiddetta guerra di civiltà.
In particolare penso che, quando si rendono visibili, e in alcuni casi terribilmente visibili, i movimenti cattolici a forte identità collettiva (che in alcuni casi svolgono anche ruoli importanti, hanno funzioni molto positive, non voglio dare giudizi semplificatori) può facilmente rinascere la spinta verso l' integralismo. Il problema dell'integralismo è delicato perché siamo in fase di confronto con un Islam dominato dal fonda-mentalismo. Contro questo fondamentalismo pren-dono piede tendenze, forme di cattolicesimo ateo, di cattolicesimo non cristiano (come ai tempi di Maurras e della Action française), che costituiscono un fenomeno ricorrente e giocano pesantemente in questa direzione: servirsi del cattolicesimo e della Chiesa istituzione per un obiettivo politico.
Al fondamentalismo non si risponde con l'integra-lismo cattolico, con l'integralismo cristiano. Si risponde con il dialogo. Il che non toglie naturalmente che al livello delle leggi, della convivenza, si debbano garan-tire le condizioni di sicurezza per tutti. Io non nego affatto la funzione che lo Stato deve svolgere per ga-rantire le condizioni di convivenza in una società plu-rietnica, pluriculturale, come sta diventando l'Europa. Ma sul piano culturale, guai se noi dovessimo imma-ginare una risposta al fondamentalismo islamico in nome del cristianesimo con una nuova crociata.
Ecco, i problemi sono immensi. Sono i problemi della Sicilia, sono i problemi della nazione italiana, sono i problemi dell'Europa, di un'Europa che stenta a trovare il suo ruolo dopo il fallimento della Costitu-zione europea, non approvata. Sono i problemi di un'America che fa fatica a ritrovare la sua anima democratica, che sembra in qualche modo ormai dominata dalle nostalgie di vecchie concezioni imperia-listiche. Sono i problemi planetari, sono i problemi dell'Onu. E su tutto questo non c'è dubbio che la religione ha una parola da dire. La fede ha una parola da dire su tutto! È che tocca a ognuno dei credenti di far sentire questa parola. A tutti i livelli. In tutti gli ambienti. Con umiltà. Senza arroganza. Ma con la consapevolezza di una grande responsabilità e di un momento decisivo per la storia del mondo.

Pietro Scoppola     Adista documenti n.26  2006