Contro l’avanzata del neoguelfismo i laici non vengano meno al loro
impegno
Si dice che non capire la storia condanni a ripeterla. Non perché si riesca a sottrarsi alle nuove sfide
del presente. Ma perché di fatto si finisce per affrontarle mediante schemi culturali e politici del
passato. Come conferma anche l’attuale ritorno di neoguelfismo. Denunciato più volte su questo
giornale. Non per fomentare polemiche anticlericali. Ma per contribuire a mettere finalmente in
sintonia anche la cultura e la politica del nostro Paese con le acquisizioni più significative delle
società moderne. Più precisamente: col pluralismo garantito dalla stessa Costituzione e alimentato
dalla convivenza costruttiva tra differenti valori etico-politici. E’ un simile rapporto conflittuale tra
cattolicesimo e democrazia moderna che anche l’odierno guelfismo riporta alla luce. E persino
acutizza.
Ovviamente il guelfismo è un fenomeno complesso. Qui tuttavia basta richiamarne una
caratteristica decisiva che lo accompagna fin dal medioevo: la funzione –come si esprime Gramsci-
di «sindacalismo teorico» attribuita alla Chiesa. Presentata come l’istanza suprema cui si deve
ricorrere per dirimere le questioni intellettuali ed etiche. Ad una simile tutela finì per appellarsi
anche il guelfismo risorgimentale di Gioberti. Sostenitore di un cattolicesimo liberale avversato
dalla curia e dai gesuiti nostalgici della teocrazia. Ma intenzionato anche a «cristianeggiare la
società tutta quanta», come Gioberti scrisse espressamente nei Prolegomeni alla seconda edizione
(1846) del suo Primato morale e civile degli Italiani. Nel tentativo di difendersi dalle accuse dei
gesuiti, ma di fatto lasciando cadere anche ogni reale apprezzamento di valori etico-politici ispirati
e garantiti da un’effettiva separazione tra Stato e Chiesa.
Oggi, al cospetto delle cosiddette questioni eticamente sensibili (procreazione assistita, Dico,
testamento biologico), il neoguelfismo si presenta come rivendicazione di valori non negoziabili e
sostenuti da una gerarchia che si comporta da depositaria unica della verità sull’uomo. Mentre la
cultura e le istituzioni moderne laicamente emancipate dalla religione sarebbero minate da
un’«abdicazione dell’intelletto» che, da un lato, rinuncerebbe alla stessa ricerca della verità. E,
dall’altro, corroderebbe col relativismo nichilistico gli stessi diritti etico-politici conquistati da
cittadine e cittadini ritenuti dalla gerarchia mai politicamente e moralmente adulti.
Sia chiaro: in discussione non è il diritto della Chiesa ad un proprio ruolo anche pubblico. Né, ancor
meno, la testimonianza evangelica cui si sente profeticamente chiamato il popolo di Dio. O il ruolo
che il cristianesimo ha svolto –e svolge- nella promozione della dignità umana. Come ogni giorno ci
ricordano anche i teologi e i settori del mondo cattolico non dimentichi del Vaticano Secondo. In
discussione è la pretesa appunto neoguelfa di assegnare alla gerarchia la funzione di tutore etico-
politico delle moderne democrazie.
I rischi e le tensioni cui espone una simile incapacità neoguelfa di convivere laicamente con ragioni
e valori diversi da quelli cattolici, non sembrano difficili da cogliere. E dovrebbero risultare evidenti
proprio a chi, almeno a parole, si dichiara interessato innanzitutto al contributo di umana sensibilità
e solidarietà di cui il cristianesimo può essere capace.
Ma il neoguelfismo, alimentato sempre da una miscela di minorità verso la gerarchia e arroganza
verso la società civile, induce a guardare in tutt’altra direzione. Anzi: sorretti dalla componente più
politicizzata della Cei (ruinismo) e dagli atei devoti che ne amplificano le campagne politiche, oggi
i neoguelfi non esitano a presentare se stessi persino come unici paladini della vita. Minacciata dalla
presunta cultura del nulla e della morte che accomunerebbe tutti gli altri protagonisti della sfera
pubblica: dagli scienziati che congiurano nei laboratori, alle donne costrette di nuovo a difendere la
legge sull’aborto e la propria dignità da accuse di assassinio e da intimidazioni persecutorie che
evidentemente era pia illusione ritenere consegnate per sempre al passato.
Certo: persino più delle questioni religiose, proprio quelle eticamente sensibili di oggi sono
fortemente esposte ad essere utilizzate come un formidabile instrumentum regni. E persino per
calcoli bassamente elettorali. Come puntualmente vediamo accadere sotto i nostri occhi in questi
giorni. Perciò sarebbe davvero ingenuo sperare che le prossime battaglie elettorali non assecondino
le derive più oscurantiste e virulenti dell’attuale recrudescenza neoguelfa.
Un motivo in più, tuttavia, per ricordare ai laici l’opportunità del loro impegno. Consapevole delle
nuove sfide, persino epocali, che abbiamo di fronte. E perciò anche della minaccia che alla loro
ragionevole soluzione è portata non solo dalle campagne neoguelfe. Ma anche da ogni tentativo di
sterili accomodamenti con esse. In questo caso, proprio le soluzioni più costruttive continuerebbero
a rimanere di fatto precluse. Condannando ancora una volta l’Italia ad un deficit di moderna laicità
che le stesse sfide del presente rendono meno auspicabile che mai.
Orlando Franceschelli il Riformista 16 febbraio 2008