Contro il razzismo.

Una folla in festa che si è rappresentata in piazza con determinazione
Lingue diverse e migliaia di storie differenti ma un solo obiettivo: uguaglianza e giustizia
Roma invasa da duecentomila per «il diritto ad esistere»
Un corteo coloratissimo, tra i più grandi della nostra storia recente, che ieri ha illuminato la città con poche parole d’ordine: diritti e integrazione. E accanto ai migranti il popolo della Cgil.



Duecentomila. Sì, Roma ha visto manifestazioni anche molto più affollate. Ma se si misurasse il successo delle proteste di piazza dalla quantità di persone che vi aderiscono per la sola ragione di voler protestare (e non per essere iscritte a un sindacato, a un partito, non per il fatto di «far parte» di qualcosa) il coloratissimo corteo che ieri ha illuminato il centro di Roma sarebbe da classificare tra i più grandi della nostra storia recente.
Sicuramente il più variopinto. Con le sole bandiere della Cgil e dell’Arci a dare una qualche continuità cromatica al nastro di folla che ancora non aveva finito di srotolarsi quando è apparso il Colosseo. La coda del corteo, in quel momento, aveva appena cominciato a muoversi da piazza della Repubblica, un paio di chilometri più su.
Sicuramente il più rappresentativo. Se per rappresentatività di una protesta collettiva s’intende la quantità di storie e di esperienze che è capace di far incontrare. Il mondo, in questo caso. Coi suoi dolori e i suoi sogni confluiti in ormai più di vent’anni tanto tempo è trascorso da quando l'eterna «emergenza immigrazione» cominciò nelle nostre strade, nelle nostre aziende e nelle nostre case. Oltre che in altri luoghi i centri di identificazione e di espulsione dove si è dissennatamente pensato di poterlo recludere.
Di certo una delle proteste più chiare quanto a «piattaforma programmatica». L'uguaglianza e la giustizia e il loro modo di declinarsi nelle leggi di un paese. «No al razzismo, al reato di clandestinità e al pacchetto sicurezza», c'era scritto sullo striscione che, firmato dal «Comitato immigrati 17 ottobre», apriva il corteo. E in fondo era già tutto. Anche se poi veniva ripetuto in forme e anche lingue diverse: «I veri criminali non sono gli immigrati, ma sono i mafiosi a capo degli Stati», «Cristo è qui, quando ci sarà tutta la Chiesa?».
Quando, nei giorni scorsi, gli organizzatori avevano annunciato l’adesione di circa 500 associazioni e circoli, era sembrata un’esagerazione. Era vero, invece. C’erano sì associazioni consolidate come Amnesty International, Libera, Emergency, Beati costruttori di pace, Pax Christi. Ma ciò che appariva evidente è la frammentazione del mondo dell'immigrazione in una miriade di aggregazioni spontanee, a volte anche piccolissime ed effimere, che trovano il loro fondamento ideale ora nel solidarismo, ora in ciò che resta della sinistra più radicale, ora nei gruppi cattolici di base.
C’erano numerosi esponenti politici e sindacali di primo piano. Ma erano pochi quelli che, come il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, non testimoniavano solo il loro personale impegno ma quello di un’intera grande organizzazione di massa. C’era anche il segretario del Pd Dario Franceschini. «Quella per gli immigrati ha detto è una battaglia nostra da tanto tempo, per la cittadinanza, per il il permesso di soggiorno». Ma il Partito democratico non ha aderito, e alcuni dei manifestanti gliel’hanno fatto notare. È un bel tema da mettere nell'agenda dei prossimi mesi del Pd.
Sarà perché la fatica di apprendere una lingua straniera regala uno speciale timbro alle parole apprese. Ma nei discorsi pronunciati dal palco dai rappresentanti degli immigrati scelti dopo giorni e giorni di estenuanti trattative tra le organizzazioni promotrici certi termini logorati dagli abusi del linguaggio politico ritrovavano il loro significato originario.
La parola «diritto», quando a pronunciarla è chi si vede negata la possibilità di esistere, non evoca le leggi e i codici, ma la vita stessa. E anche certi scandali dell’opulenza e dell’amoralità, sentiti raccontare da chi vive con noi ma non è riconosciuto come uno di noi, prendono una luce nuova. Più fredda e cruda. «Le nostre donne non fiscono nel lettone di Putin ha gridato Abou Bakar Sehoumoro ma lavorano nelle vostre case». Ecco, sono cose che fanno provare un altro sentimento che si va estinguendo: la vergogna.
D’altra parte un tempo, nemmeno tanto lontano, lo si provava davanti alla sola possibilità di essere considerati razzisti. Adesso, invece, ha sottolineato Moni Ovadia, nella capitale d’Italia esistono gruppi razzisti «che si sentono addirittura legittimati dall’amministrazione comunale».

Giovanni Maria Bellu    l’Unità 18.10.09

 

 


Ida Magli, ma ci faccia il piacere


Nel vedere quei volti e sentire quelle voci che riempivano le strade di Roma, ho ripensato alle parole che l'antropologa Ida Magli ha scritto sul Giornale, e che un giorno forse verranno ricordate come uno dei manifesti del nuovo razzismo italiano.
Conviene rileggerne qualche brano, perché è impossibile restituirne il grado di aberrazione con altre parole: «Stiamo male perché siamo costretti a vivere nello stesso territorio con popoli diversi da noi, e diversi prima di tutto fisicamente. (...)L'estraneità fisica è la caratteristica maggiore che impedisce agli uomini di potersi "identificare" l'uno nell'altro, sentirsi psicologicamente "simili”. (...È)impossibile per un "bianco" identificarsi in un "nero": comprendere i sentimenti, le percezioni, i gusti, intuire il tipo di intelligenza, le reazioni, gli interessi. Se si aggiunge a questo dato di partenza, la differenza di lingua, di religione, di storia culturale, ci si rende conto che vivere sullo stesso territorio non significa vivere "insieme"».
Ecco, vedendo ieri quei colori mischiati in piazza, mi veniva da sorridere di compassione per la signora Magli e per la sua "brutale" culturalizzazione di un dato naturale. E penso alla mia amicizia con Jessy, nigeriano, che dopo traversie letteralmente incredibili, ha sposato Gloria, slovacca e biondissima, per mettere al mondo una splendida creatura.
Jessy e Gloria, come tante altre coppie miste, e come ancora le sempre più numerose relazioni e legami di qualsiasi tipo indifferenti al colore della pelle, sono la prova vivente di come le parole della Magli siano puro e densissimo razzismo. E per quanto mi riguarda, c'è l'empatia che ho sperimentato e la memoria vivida di tutti i volti che incontrato nei viaggi che ho fatto in quest'Italia già multiculturale, a Ida Magli piacendo.

Marco Rovelli    l’Unità 18.10.09