Il concilio
cancellato
Domenica scorsa ricorrevano cinquant'anni esatti dall'annuncio del futuro
concilio dato da papa Roncalli in una celebre allocuzione. È stata una
ricorrenza importante.
Come l'abbia celebrata il mondo vaticano risulta dalla prima pagina
dell'Osservatore Romano,
appunto di domenica. Il commento del suo direttore aveva questo titolo: «Il
Vaticano II e il gesto di
pace del Papa». Nel breve spazio di una smilza colonnina erano messi insieme il
ricordo
dell'annuncio di cinquant'anni fa e il «gesto di pace» con cui il papa regnante
ha cancellato la
scomunica del plotoncino dei vescovi ordinati da monsignor Lefebvre. Dopo avere
legato insieme le
due cose l'articolo si concludeva così: «A mezzo secolo dall'annuncio, il
Vaticano II è vivo nella
Chiesa». Singolare affermazione, visto che la ragione della scomunica «latae
sententiae» fulminata
nel 1988 da papa Giovanni Paolo II era stato il rifiuto di quei vescovi di
accettare il Concilio. E non
sembra che i seguaci di monsignor Lefebvre abbiano cambiato idea al riguardo.
Dunque chi ha cambiato idea è il Vaticano. Quel che se ne ricava è una
semplice constatazione: non
accettare il Concilio non costituisce una frattura con la Chiesa. Buono a
sapersi per tanti cattolici:
c'è ancora fra di loro qualcuno che non accetta il dogma dell'infallibilità
papale stabilito dal
Concilio Vaticano I? Bene, potrà prendere argomento da questa storia per
mantenere le sue riserve,
per fare per così dire «obiezione di coscienza», quella che secondo il vescovo
Poletto dovrebbero
fare i medici negli ospedali pubblici italiani per disobbedire alla sentenza
della Cassazione sul caso
Englaro.
Adesso possiamo mettere in serie tutti gli atti che hanno preparato questa
scelta. Sono stati molti. E
qui potremmo anche lasciare ai cattolici di tutto il mondo il compito di fare i
conti con le svolte ad
angolo acuto che il supremo timoniere imprime alla navicella di San Pietro. Ma
non ce lo possiamo
permettere. E non solo perché il modo in cui la Chiesa cattolica volta le
spalle all'eredità del
Concilio Vaticano II comporta conseguenze pesanti per i valori della tolleranza
e per il rispetto dei
diritti di libertà. In questa decisione di abbracciare come fratelli
quei quattro vescovi c'è qualcosa
che iscrive d'ufficio le autorità della Chiesa cattolica tra coloro che Pierre
Vidal-Naquet ha definito
«gli assassini della memoria». Lo capiremo meglio se si terrà conto della
singolare coincidenza tra
questa decisione papale e la doppia ricorrenza non solo del cinquantenario del
Concilio Vaticano II
ma anche dell'appuntamento annuale del «giorno della memoria». È proprio la
memoria della Shoah
che subisce un'offesa diretta e frontale da questa decisione di papa Ratzinger.
Non è certo un caso se
proprio un vescovo di quel gruppetto di lefebvriani, monsignor Richard
Williamson, ha scelto
questa ricorrenza annuale per fare pubblica professione di negazionismo. Come
abbiamo letto sui
giornali nei giorni scorsi, il vescovo ha dichiarato al canale televisivo
svedese Svt1 che secondo lui
«le camere a gas non sono mai esistite». Il monsignore si è addentrato con
passione in calcoli
precisi ai quali aveva evidentemente dedicato molto tempo: ha parlato di altezza
e forma dei forni
crematori dei lager e ha sostenuto che gli ebrei uccisi sarebbero stati non sei
milioni ma «solo» due
o trecentomila. Ma il suo non è un deprecabile caso privato, come vorrebbe far
credere l'ineffabile
direttore dell'Osservatore Romano. Monsignor Williamson non è un negazionista
occasionale. Lui e
i suoi compagni di ventura – lo svizzero Bernard Fellay, il francese Bernard
Tissier de Maillerais e
lo spagnolo Alfonso de Galarreta – seguirono monsignor Lefebvre sulla via del
rifiuto del Concilio
per ragioni che hanno a che fare proprio con la questione del giudizio della
Chiesa cattolica sugli
ebrei. Per questi uomini e per la piccola chiesa che hanno guidato finora
Papa Giovanni XXIII era
un infiltrato di una congiura giudaica, il suo concilio era il prodotto di un
complotto contro la vera
Chiesa, quella di San Pio V, quella della guerra senza quartiere agli eretici e
agli ebrei.
Forse non tutti sanno che le ragioni della scissione di
monsignor Lefebvre hanno un rapporto molto preciso
con lo sterminio degli ebrei. Ciò che spinse il prelato francese a ribellarsi
alla Chiesa fu la
dichiarazione sulla libertà religiosa e l'apertura verso l'ebraismo. Cercheremmo
invano la sua firma
sotto la «Nostra aetate», il documento fondamentale sulle relazioni tra la
Chiesa cattolica e le altre
religioni: un documento che si apriva con queste parole: «Nel nostro tempo in
cui il genere umano
si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l'interdipendenza tra i
vari popoli, la Chiesa
esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni
non-cristiane». E
proseguiva con giudizi positivi sulla religione mussulmana e soprattutto su
quella ebraica, voltando
le spalle a secoli di aggressioni contro gli ebrei e affermando solennemente che
«gli Ebrei non
devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò
scaturisse dalla
sacra Scrittura».
Quei documenti sono diventati sempre più desueti negli ultimi anni grazie a una
serie continua di
atti papali e di decisioni della Congregazione per la Dottrina della Fede. E la
marcia di
avvicinamento alle posizioni del nucleo dei lefebvriani si era resa evidente in
molte scelte
simboliche oltre che nell'impulso dato a quella Congregazione, dove si è
rinverdita la radice antica
dell'Inquisizione. Ma il direttore dell'Osservatore Romano si sbaglia se crede
di potersela cavare
con quelle parolette finali: secondo lui la bontà della scelta fatta «non sarà
offuscata da inaccettabili
opinioni negazioniste e atteggiamenti verso l'ebraismo di alcuni». E
invece lo sarà, anzi lo è già,
irrimediabilmente. Quella che è stata offuscata dalla decisione papale è
l'immagine della Chiesa
cattolica nella coscienza civile del mondo intero.
Adriano Prosperi la Repubblica
27 gennaio 2009