Con l'anniversario della morte si riapre un capitolo della storia culturale e politica italiana. Gli appuntamenti di questi giorni, per non dimenticare
Trent'anni senza Pasolini
 

Sulla morte di Pier Paolo Pasolini, avvenuta la notte tra il 1 e 2 novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia, che la verità fosse stata nascosta nel corso di questi anni, è stata opinione non solo dei soliti dietrologi, ma di persone che Pasolini lo avevano conosciuto bene, o di altre che hanno indagato a fondo sulla tragica fine dell’intellettuale friulano. E le circostanze, se di circostanze si trattano, hanno voluto che proprio nel trentesimo anno dalla sua scomparsa, nuovi elementi venissero alla luce per tornare a discutere della fine di un uomo scomodo per il suo modo di dire, di fare, di scrivere, di essere.
Avevamo già accenanto, in occasione della recente scomparsa del regista romano Sergio Citti, grande amico di Pasolini, di alcune ipotesi che confutano le conclusioni dei tre processi, tutti e tre archiviati, riguardanti l’omicidio all’Idroscalo. E a questo proposito, bisogna dire che gran parte del merito di queste nuove ricerche va attribuito all’amministrazion e del Comune di Roma.
In particolare, grazie alla decisa azione dell’assessore alla cultura Gianni Borgna, sono state attivate una serie di iniziative, che riconoscono tutte come obiettivo principale la riapertura del caso-Pasolini da parte della magistratura. In un’intervista a noi rilasciata dall’assessore, in occasione dell’inaugurazione di una mostra fotografica dedicata a Pier Paolo Pasolini, curata da Enzo Siciliano, e che sino al gennaio prossimo sarà ospitata dal museo di Roma a P.za S.Egidio, emergono dichiarazioni di assoluto interesse: “Come amministrazione del Comune di Roma, ci siamo costituiti “parte offesa” (è questo il termine tecnico), per chiedere alla magistratura la riapertura delle indagini riguardanti l’omicidio dello scrittore Pier Paolo Pasolini, sulla base di nuovi elementi da noi raccolti, che non possono essere in alcun modo trascurati dalla giustizia italiana. Oltre infatti alle ammissioni di Pino Pelosi, che nel maggio scorso ha confermato in un programma televisivo quello che molti sospettavano, e cioè di non essere stato lui ad aver ucciso Pasolini, una ricostruzione dettagliata delle ultime ore vissute dalla vittima, e una analisi approfondita degli ultimi scritti pasoliniani, in particolare dell’opera postuma “Petrolio”, possono sicuramente motivare e giustificare la nostra richiesta. A tutto questo, si aggiunga la disponibilità di altri elementi di indagine a nostro avviso determinanti, come il materiale audiovisivo raccolto dal regista Sergio Citti, giunto sul luogo del delitto poche ore dopo l’omicidio: materiale sequestrato dalla magistratura, ma mai portato in tribunale quale argomento di dibattimento processuale”.
Per limitarci al carattere squisitamente “letterario” di queste affermazioni dell’assessore Borgna, quali sono i passaggi del romanzo incompiuto dall’eloquente titolo “Petrolio”, che permettono addirittura di mettere in discussione le sentenze di ben tre tribunali? Bisogna innanzi tutto dir e che, oltre a ciò che viene scritto, di quel libro di appunti, come lo stesso Pasolini lo definisce, bisogna tener presente soprattutto quello che non viene scritto, o meglio, che nel testo non si trova più.
Se si apre infatti il volume all’appunto n.20, alla pag.88 dell’edizione Einaudi del 1992, data della prima pubblicazione, si troverà la descrizione del protagonista Carlo (che in una delle sue doppie personalità non può essere altro che Enrico Mattei, il presidente dell’Eni ucciso nel 1963), in procinto di recarsi a un ricevimento in una villa ai Parioli. Da qui, Pasolini inizia una digressione riguardante varie connivenze di potere dell’Italia dei primi anni ’60, che vanno a toccare direttamente l’allora vicepresidente dell’Eni, Eugenio Cefis, che prese poi il posto dello scomparso predecessore.
L’appunto n.21 invece è costituito soltanto dal titolo del paragrafo, “Lampi sull’Eni” (pag. 93), mentre l’appunto n.22 viene suddiviso in una serie di sottogruppi (a-b- c-c-d-f-g-h-i), nei quali le origini della famiglia Cefis (Troya nel romanzo) e lo schema delle connivenze accennate in precedenza, vengono riassunte per un successivo grafico; tra tutte, in queste righe una frase sembra essere rivelatrice di posteriori manipolazioni. Scrive infatti Pasolini a pag.97, dopo aver ricordato le industrie di natura fascista coinvolte nel complotto: “Per quanto riguarda le imprese antifasciste, ineccepibili e rispettabili, malgrado il misto, … ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato “Lampi sull’Eni”, e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria”. Dunque, da queste parole, bisogna dedurre che il paragrafo precedente non è, come accade per molti paragrafi del libro, composto soltanto da un titolo dalle intenzioni poi incompiute, ma molto più verosimilmente un paragrafo fatto sparire dopo la morte di Pasolini.
Si è riportato qui uno degli esempi più eclatanti, ma “Petrolio” è un testamento, più o meno consapevole, che di misteri potrebbe svelarne ancora molti. E tra le varie iniziative che si susseguono in questi giorni per l’anniversario della morte dello scrittore friulano, che scelse Roma come sua patria intellettuale, oltre a quella già ricordata, che comprende per tutta la sua durata una serie di incontri e filmati, editi e inediti, nella stessa sede di p.za S.Egidio, come la serata di lunedì 31 ottobre, alle ore 21, quando Carlo Lucarelli è salito sul palco del Teatro Argentina, per riproporre dal vivo la sua puntata di “Blu notte” dedicata alla ricostruzione e alle nuove ipotesi sull’omicidio Pasolini, che tanto successo ha riscosso tra gli addetti ai lavori, e tra il pubblico televisivo.
Si riapre la storia di “un delitto italiano”, dunque, come giustamente sottotitolava il film di Marco Tullio Giordana, e, in fondo, non poteva essere altrimenti.
Basti pensare alle ultime battute dell’intervista che lo stesso Pasolini rilasciò a Luisella Re e Lorenzo Mondo, rispettivamente per i q uotidiani “Stampa sera” e “La Stampa”, entrambe pubblicate il 10 gennaio del 1975: “Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio parlarne…basti sapere che è una specie di “summa” di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie… …contiene tutto quello che so, sarà la mia ultima opera; mi diverte moltissimo avere questo segreto”.
Pier Paolo aveva ragione: sarebbe stata la sua ultima opera, e forse quel segreto gli è costata la vita.

 

 Emiliano Sbaraglia       www.aprileonline.info   n° 41 del 02/11/2005