Con Craxi i conti non tornano


Nel dibattito che si è sviluppato intorno alla figura di Craxi si sente spesso ripetere che, al di là dei suoi guai giudiziari, egli fu uno statista che introdusse importanti innovazioni. In questo articolo voglio documentare che, quando guardiamo ai dati di politica economica, le innovazioni introdotte sono state estremamente dannose per il paese. Gli anni Ottanta, periodo in cui Craxi ha raggiunto l’apice della sua influenza, hanno visto un’esplosione della spesa pubblica, il cui livello non è più sceso nei due decenni successivi. Contestualmente è esplosa la pressione fiscale, guidata in modo particolare dalla crescita delle imposte dirette.   Nonostante l’accresciuta tassazione, la spesa crebbe comunque assai più velocemente del gettito tributario, per cui anche il debito pubblico esplose, rischiando di mettere il paese su un sentiero di insolvenza.

Il periodo di massima influenza di Craxi va dalle elezioni del 1979 a quelle del 1992, raggiungendo l’apice nel periodo 1983-1987 in cui fu alla presidenza del Consiglio. Nel 1980 il rapporto debito/Pil era pari al 56,9%. Il paese si trovò particolarmente esposto alla recessione mondiale e agli alti tassi di interesse dell’inizio degli anni Ottanta. È in questo scenario che inizia l’era Craxi. Visto il livello raggiunto dal debito pubblico alla fine degli anni Settanta era necessario iniziare ad avere avanzi primari di bilancio, ossia entrate tributarie superiori alla spesa al netto di interessi. Tali avanzi dovevano essere utilizzati per pagare la maggiore spesa per interessi, stabilizzando il rapporto debito/Pil. Non stiamo qui parlando   di scelte politiche, ma di mera compatibilità finanziaria. Questo non fu quello che successe. Negli anni Ottanta i governi italiani imboccarono senza esitazione la via dell’irresponsabilità, abdicando completamente ai loro doveri nei confronti dei governati.

La spesa passò dal 36,9% del Pil nel 1980 al 41,7% del 1983, restando poi intorno al 42-43% fino al 1992. Questi numeri però vanno valutati anche in riferimento all’andamento del ciclo economico. Il periodo 1980-1983 fu infatti caratterizzato a livello internazionale da una recessione che colpì duramente anche l’Italia. Per dato tasso di crescita della spesa è logico che il rapporto spesa/Pil cresca quando il Pil si riduce (come nel 1980) o cresce poco. Quando Craxi prese le redini del governo, nel 1983, ebbe la fortuna di trovarsi di fronte a un mutamento favorevole del ciclo internazionale. Era quello quindi il momento   di iniziare il rientro dagli eccessi di spesa. Craxi fece l’esatto contrario. Accelerò la dinamica della spesa in corrispondenza della più vivace dinamica del reddito, mantenendo invariato il rapporto spesa primaria/Pil.    Nel frattempo cresceva la spesa per interessi, indotta dai sempre più alti livelli di debito e dagli alti tassi di interesse. Come conseguenza, il rapporto tra spesa totale e Pil crebbe di circa 10 punti tra il 1980 e il 1987, anno in cui Craxi cessa di essere primo ministro, collocandosi al di sopra del 50% del Pil.

Incapaci di controllare la spesa   primaria, e con una spesa per interessi in costante crescita, i governi degli anni Ottanta decisero di alzare in modo drammatico la pressione fiscale. Nel periodo 1980-1992 l’aumento fu di più di 10 punti di Pil, passando dal 31,4% al 41,9%. Buona parte dell’aumento fu dovuto all’incremento delle imposte dirette, favorito dalla struttura progressiva dell’imposizione e dagli alti tassi di inflazione. Gli effetti di disincentivo al lavoro e alla produzione di mercato sono ovvi.   Ma il pur selvaggio aumento della tassazione non tenne il passo con l’ancor più selvaggio aumento della spesa. Il rapporto debito/Pil, pari al 56,9% nel 1980, balzò al 68,9% nel 1983. Poi Craxi divenne primo ministro in quattro anni il rapporto debito/Pil crebbe di ben 20 punti percentuali, giungendo nel 1987 al 88,5%. Come si ottenne tale incremento è presto detto. Il disavanzo di bilancio durante il periodo 1980-1992 fu in media pari al 10,8% del Pil, un livello assolutamente scandaloso. La media degli anni 1984-1987, quando Craxi fu primo ministro, fu un ancor più scandalosa: 11,4%. È difficile oggi credere che si potesse essere tanto irresponsabili.

La responsabilità di questo disastroso aumento è tutta e interamente   politica ed è da addebitare a Craxi in primo luogo. Avendo sperperato le proprie risorse nei periodi delle vacche grasse, il bilancio pubblico subì un altro duro colpo con la recessione dell’inizio degli anni Novanta. Anche se a quel punto il bilancio era vicino all’avanzo primario, il debito era ormai alimentato dalla spesa per interessi, che giunse a superare il 10% del Pil. Il rapporto debito/Pil raggiunse il 105,2% nel 1992, il 115,6% nel 1993 e il 121,8 nel 1994. È solo a partire da quell’anno che la situazione si stabilizzò, in parte grazie a un aumento della pressione tributaria ma soprattutto grazie alla riduzione internazionale dei tassi d’interessi e all’agganciamento dell’Italia all’area dell’euro.    L’argomento di chi afferma “Craxi sarà stato anche disonesto ma ha fatto buone cose” è quindi totalmente privo di base empirica.   Al contrario, ciò che Craxi fece fu estremamente dannoso. L’Italia venne trasformata in un paese ad alto debito, alta spesa e alta tassazione, situazione dalla quale non è più riuscita a uscire e che ha sensibilmente ridotto il suo potenziale di crescita. Forse...

 

Sandro Brusco    Il Fatto Quotidiano 24/1/ 2010