Come si decide sulla propria vita
Nell'intervenire sul recente dibattito scatenato dalla proposta di Ferrara di una moratoria sull'aborto
devo necessariamente fare ricorso alla mia esperienza personale di medico. Anche se la mia
specializzazione, la chirurgia dei trapianti, non ha direttamente a che fare con l'ostetricia e la
ginecologia, quando, da studente e poi da giovane medico, frequentavo il pronto soccorso del
policlinico universitario dove studiavo (...) ho visto morire donne per emorragia o per l'infezione
che seguiva all'aborto clandestino. Ho visto negli stessi anni anche delle giovani ragazze, che
avevano maggiori possibilità economiche, rivolgersi a una casa di cura romana, Villa Gina,
tristemente famosa per gli aborti clandestini, e altre forse ancora più benestanti che, invece, si
recavano a Londra, perché in Inghilterra esisteva già una legge sull'aborto. Quindi io credo – e su
questo mi sono confrontato anche con persone di fede e con visioni della vita differenti – che uno
Stato laico debba necessariamente avere una legge sull'aborto. Anche il cardinal Martini, in un
dialogo pubblicato sull'Espresso nell'aprile del 2006, ha affermato che uno Stato laico non può non
avere una legge sull'aborto e che la questione di coscienza è diversa rispetto alla legislazione di uno
Stato laico.
Le prime a soffrire profondamente di fronte all'aborto sono proprio le donne che si trovano ad
affrontare nella loro vita un momento così difficile e drammatico, e certamente né Giuliano Ferrara
né io né altri uomini possiamo anche solo lontanamente immaginare la sofferenza e il dolore, fisici
e psicologici, che un evento di quella natura possa portare nella vita di una donna. E, d'altra parte,
penso che in un mondo ideale l'aborto (intendo dire l'interruzione volontaria di gravidanza, che
ovviamente è cosa diversa dall'aborto terapeutico) non dovrebbe esistere. Devo affermare però che
questa idea della moratoria nei confronti dell'aborto mi lascia molto confuso e mi chiedo: qual è
l'obiettivo di questa moratoria? È, forse, quello di rendere illegale l'interruzione volontaria di
gravidanza e quindi tornare all'aborto clandestino? Forse non sono così intelligente da capire qual è
l'obiettivo finale, ma certamente, se fosse quello di abolire una legge equilibrata come la 194 dalla
giurisprudenza del nostro paese, sarebbe un gravissimo errore.
Non sono però d'accordo con la proposta, lanciata proprio dalle pagine di MicroMega, di abolire
l'obiezione di coscienza sull'aborto. Chi crede in una vita che supera la nostra condizione materiale,
nei confronti dell'embrione riterrà giusto il principio di precauzione. E uno Stato laico deve
rispettare questa posizione ed è anche per questo che la legge 194 è una legge equilibrata. Una
situazione molto diversa è invece quella dell'obiezione di coscienza nei confronti del testamento
biologico, dove, al di là di qualunque convinzione basata sui propri ragionamenti o sulla propria
fede, si tratta di rispettare, o non rispettare, le indicazioni date da un individuo esclusivamente su se
stesso. In questo caso, quindi, non si ha a che fare con un altro individuo. (...)
Se noi non abbiamo oggi una legge sul testamento biologico non è stato solo a causa della
contrapposizione tra centro-destra e centro-sinistra, ma anche a causa delle divisioni che ci sono
state su questo argomento all'interno della coalizione di governo. Io sinceramene non ho ancora
capito se chi sostiene che la legge sul testamento biologico può diventare un piano inclinato verso
l'eutanasia non è capace di leggere il testo e di capire effettivamente quali sono le sue implicazioni,
oppure se vuole sostenere ad arte che quella legge possa portare a dei risultati che invece proprio
essa stessa contrasta.
Io sono personalmente contro l'eutanasia. Nel maggio del 2000 – molti lo ricorderanno – mi venne
chiesto di entrare in sala operatoria per dividere i corpi di due sfortunate gemelle siamesi, due
persone che riconoscevano la madre, due individui da ogni punto di vista anche se condividevano il
cuore e il fegato. Io capivo che decidendo di uccidere una di esse si poteva tentare di salvare l'altra,
ma mi resi assolutamente indisponibile perché non ho studiato medicina per poi usare le mie
competenze per uccidere una persona, anche se l'obiettivo può essere compassionevole. Quella che
indicazioni sulle terapie che ritiene accettabili, indicazioni che valgano anche nel momento in cui
una persona non si può più esprimere. Esattamente quello che ogni cittadino può fare, sulla base
dell'articolo 32 della Costituzione, quando entra in un ospedale e firma il consenso informato. Se un
cittadino che deve fare una gastroscopia dice: «io non voglio un tubo che mi entri dalla bocca, mi
scenda giù per l'esofago e arrivi nel mio stomaco», nessuno potrà obbligarlo a sottoporsi alla
gastroscopia. Per quale motivo, invece, su una persona che non ha più nessuna possibilità di
recupero dell'integrità intellettiva deve esistere la possibilità di fare qualunque cosa, a prescindere
dalla volontà espressa in precedenza da quell'individuo? Questo è il vero punto di discriminazione.
Ignazio Marino la Repubblica 25 marzo 2008