Come cambia la Cei di Bagnasco

 

Parla il linguaggio del pastore il cardinale Bagnasco, nella sua relazione al parlamentino dei

vescovi, e non da «animale politico». E garantisce la neutralità della Chiesa nella campagna

elettorale. Sarebbe sbagliato non cogliere le differenze di tono. Rimangono intatte le posizioni sul

matrimonio tra uomo e donna, la contrarietà alle unioni civili, la difesa della vita dal concepimento

al suo termine, l'allarme per gli scienziati che usano embrioni come «materiale biologico», la paura

dell'ateismo pratico della società secolarizzata.

Ma tutto è inserito nell'alveo di un discorso formativo della coscienza cattolica e di un confronto

dialogico con la società pluralistica moderna. C'è un passaggio dell'intervento di Bagnasco, che

rivela un tono inusualmente pacato e non freddamente ex cathedra: «Riproporre criteri

fondamentali, oltre che essere connesso al nostro compito, appartiene al linguaggio dell'amicizia:

l'amico non può non segnalare un pericolo». Dunque non va considerato sempre oscurantistico

l'accenno ai rischi di una scienza svincolata dall'etica.

Una rondine non fa primavera. O può farla se la stagione è matura. Ma certamente la linea di una

Chiesa, impegnata nella formazione, che sottopone serenamente all'attenzione pubblica valori e

riflessioni morali, che esprime i suoi sì e i suoi no nel rispetto dell'autonomia della politica,

risponde meglio – assai meglio dell'interventismo tambureggiante degli ultimi anni – alla visione

della nostra Costituzione, secondo cui Chiesa e Stato sono sovrani e indipendenti nella propria sfera

e rispettano la sfera altrui.

Una Chiesa che, lasciando la pratica dei diktat politici, puntasse sulla formazione dei credenti e non

considerasse i politici cattolici una cinghia di trasmissione di schemi giuridici sanciti a priori dal

magistero, una Chiesa che illumina le coscienze, ma poi ne riconosce la libertà di giudizio ultimo

nell'esercizio del potere civile, diverrebbe interlocutrice della società in modo ben diverso da come

è stata nel recente passato.

Se il confronto è pacato, se l'accettazione della laicità delle scelte politiche, della neutralità partitica

della gerarchia ecclesiastica, della sovranità legislativa del parlamento sono riconosciuti, diventa

più facile il confronto tra cattolici e diversamente credenti. E si scoprirebbe che nelle teste e nei

cuori degli italiani c'è una trasversalità di attenzione ai problemi delle nascite, della famiglia, degli

imperativi etici con cui anche la scienza deve confrontarsi, che nulla a che fare con la

rappresentazione caricaturale di un paese spaccato tra guefli e ghibellini. Così come trasversale è

l'accettazione delle coppie di fatto e l'adesione alla libertà di scelta della donna nella sua gravidanza,

trasversale la preoccupazione per la salute del nascituro e la convinzione che la procreazione non

vada lasciata alla cecità del caso.

Tradotto in pratica, il discorso di Bagnasco permetterebbe a tutti un approccio nuovo. Specie se

condito dall'intuizione di mons. Ravasi, responsabile del dicastero vaticano per la Cultura, che non

si può comprendere la società moderna se non si accettano al tavolo anche i non credenti.

Ma questo richiede coerenza. Non devono esserci presuli che si mettono a tifare per partiti, che

dietro le quinte muovono il voto delle congregazioni, che oppongono veti al parlamento o si fanno

organizzatori di manifestazioni politiche. In fondo è facile. Non ha detto Benedetto XVI che la

Chiesa «non prende nelle sua mani la battaglia politica»? E risponde anche alla volontà profonda

degli italiani, che in tutti i sondaggi chiedono libera voce per la Chiesa e libertà di coscienza nel

decidere per sé e le proprie leggi.

 

Marco Politi         la Repubblica    11 marzo 2008